di Marco Travaglio
Quasi sempre, per un politico o un amministratore pubblico, avere un’indagine a carico è molto più grave che dire una bugia. Nel caso di Paola Muraro, ex consulente dell’Ama e da due mesi assessore all’Ambiente della giunta Raggi, è vero il contrario: la sua bugia è peggio dell’inchiesta per presunti reati ambientali e concorso in abuso d’ufficio. Il nostro giornale l’ha intervistata due volte, il 2 agosto e il 4 settembre. Ed entrambe le volte la Muraro ha raccontato frottole: non solo a noi e ai nostri lettori, ma a tutti i cittadini, ai quali aveva il dovere di dire la verità.
Quella verità che ieri ha finalmente ammesso nell’audizione davanti alla commissione Ecomafie, quando un commissario le ha sbattuto in faccia una comunicazione della Procura che attesta come l’assessora abbia saputo fin dal 18 luglio di essere stata iscritta nel registro degli indagati dal 21 aprile almeno per la parte dei presunti reati ambientali (e non – pare – per il concorso in abuso). Lo ha saputo perché lei stessa, tramite il suo legale, aveva chiesto di conoscere la sua posizione in base all’articolo 335 del Codice di procedura penale. E i pm le avevano risposto che c’era un fascicolo a suo nome.
Quella verità che ieri ha finalmente ammesso nell’audizione davanti alla commissione Ecomafie, quando un commissario le ha sbattuto in faccia una comunicazione della Procura che attesta come l’assessora abbia saputo fin dal 18 luglio di essere stata iscritta nel registro degli indagati dal 21 aprile almeno per la parte dei presunti reati ambientali (e non – pare – per il concorso in abuso). Lo ha saputo perché lei stessa, tramite il suo legale, aveva chiesto di conoscere la sua posizione in base all’articolo 335 del Codice di procedura penale. E i pm le avevano risposto che c’era un fascicolo a suo nome.
A quel punto, come ha rivelato a sua volta Virginia Raggi, la Muraro ha informato la sindaca che, in una riunione con lei e con l’allora capo di gabinetto Carla Raineri, si era riservata diprendere una decisione non appena fossero rese note le carte con le accuse a suo carico: non trattandosi di un avviso di garanzia, ma di una semplice iscrizione nel registro, i fatti addebitati alla Muraro sono tuttora ignoti. E quelli che si leggono sui giornali – i mancati controlli sul malfunzionamento di alcuni impianti di smaltimento e trattamento dei rifiuti di Roma, che avrebbero favorito il perpetuarsi del monopolio del re della monnezza Manlio Cerroni – non sono certo sufficienti per giustificare le dimissioni di un assessore. Bastava che, dopo aver avvertito la sindaca, la Muraro avesse detto la verità: non tanto al M5S (a cui non è iscritta), quanto ai cittadini attraverso i giornali che la intervistavano. Soprattutto se è vero – e non c’è motivo di dubitarne, fino a prova contraria – quel che va ripetendo da due mesi: e cioè che si è semprecomportata correttamente, non ha nulla da nascondere, ha segnalato ai vertici Ama tutte le storture che andava scoprendo nella fogna di Rifiutopoli, dunque sono altri a doversi preoccupare. Invece, il 2 agosto, quando il nostro Luca De Carolis le domandò “Teme di essere indagata?”, rispose: “Ho piena fiducia nella magistratura”. Cioè svicolò.
Ma fu più precisa e tranchant due giorni fa, quando ormai la notizia della sua iscrizione era uscita dalla Procura e molti giornali la scrivevano. Domanda del Fatto: “Assessore, si scrive e si sussurra di un possibile avviso di garanzia per lei”. Risposta:“Non ho ricevuto nulla e non mi risulta nulla”. Che non avesse ricevuto nulla è vero: l’avviso di garanzia non c’è mai stato. Ma che non le risultasse nulla è falso: l’iscrizione le risultava eccome, infatti l’ha ammesso in Parlamento ieri, quando non poteva più negarlo. Che cosa le costava dire subito “sì, so di essere iscritta nel registro degli indagati, spero di essere sentita presto dai magistrati per chiarire la mia posizione”? Nessuno, a parte qualche doppiopesista peloso e qualche giustizialista a corrente alternata dell’ultima ora, le avrebbe chiesto di dimettersi. Lo stillicidio di voci e indiscrezioni che pende da due mesi sul suo capo si sarebbe interrotto. E lei avrebbe potuto continuare a ripulire Roma, come ha iniziato a fare in queste settimane con buoni risultati dopo l’emergenza ereditata dalle disastrose gestioni precedenti. Invece ora quell’inchiesta della Procura, doverosa ma – per il poco che se ne sa – tutt’altro che infamante, diventa molto imbarazzante proprio perché la Muraro la conosceva e, mentendo, la negava. E le bugie dei politici e dei pubblici amministratori sono sempre inaccettabili. Tantopiù in una giunta a 5Stelle che ha sempre predicato non solo l’onestà (che, riguardo alla Muraro, non è in discussione fino a prova del contrario), ma anche la trasparenza (che invece è stata platealmente calpestata).
Il sindaco di Parma Federico Pizzarotti è stato sospeso ed è tuttora appeso a una procedura di espulsione per aver taciuto al Movimento e ai concittadini un avviso di garanzia per abuso d’ufficio (l’inchiesta riguarda anche lì una vicenda non infamante: la nomina dei nuovi vertici del Teatro Regio; ed è nata dall’esposto di un senatore del Pd). Il caso della Muraro è diverso per tre motivi: l’assessora è un tecnico esterno, dunque non risponde alle regole del Movimento; ha informato la sindaca Raggi; e non ha ricevuto avvisi, ma ha “soltanto” saputo di un’iscrizione.
Probabilmente la Raggi ha sottovalutato l’indagine o non ha voluto costringere la Muraro a rivelare una notizia ancora riservata in piena bufera, anche se avrebbe fatto molto meglio a farlo. E la Muraro aveva persino il diritto di non parlarne e di non rispondere sul punto alle domande dei giornalisti. Ma, quando ha accettato di rispondere – per esempio – al Fatto,doveva dire la verità. Invece non l’ha fatto e ora dovrebbe trarne le conseguenze, cioè dimettersi. Non per l’inchiesta, che nessuno sa che esito avrà e, non riguardando tangenti, appalti truccati, mafiosità o altre accuse infamanti, non è roba da dimissioni, almeno fino all’eventuale rinvio a giudizio. Ma per la bugia. Che, fatte le debite proporzioni, è come Talleyrand (o Fouché) definì la decisione di Napoleone di far rapire e giustiziare il duca di Enghien. “È stata peggio di un crimine: è stata un errore”.
Fonte: Il Fatto Quotidiano
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