di Francesco Martone
Quando noi, pacifisti e antimilitaristi, pensiamo a un paese ideale, ad un'utopia concreta, il pensiero va al Costa Rica, paese senza eserciti e senz'armi, che ha addirittura inserito la neutralità nella propria Costituzione. Un'utopia concreta in un Centroamerica attraversato da violenza endemica, conflittualità più o meno latenti, una crescente militarizzazione della sfera pubblica. Un'utopia concreta che può essere presa a riferimento per delineare un'ipotesi di politica estera fondato su disarmo, pace e nonviolenza. Un'urgenza più evidente oggi, nel clima di guerra pervasivo che entra nelle nostre quotidianità, restringe i nostri diritti, abbatte i confini dell'orrore.
Che porta con sé pulsioni securitarie, l'illusione che alla guerra si possa rispondere con la guerra, o l'illusione di potersene tenere fuori, come in un limbo.
Che porta con sé pulsioni securitarie, l'illusione che alla guerra si possa rispondere con la guerra, o l'illusione di potersene tenere fuori, come in un limbo.
La chiave di lettura degli eventi e delle crisi oggi oscilla tra interventismo - di quello che negli ultimi anni ha scardinato equilibri regionali precari, ingerenza umanitaria - che con il pretesto di salvare civili ha aperto un vaso di pandora di conflitti e rivalità mai sopite, o la non-ingerenza che in virtù di un principio di sacralità della sovranità nazionale o forse di puro opportunismo politico, pretende di lasciare popolazioni civili inermi in balia del destino. Oppure versioni "light" che prevedono la partecipazione più o meno diretta a guerre guerreggiate, quali quella contro il Daesho quelle non combattute, ma gestite secondo un rigoroso approccio militare, che riguardano i flussi di rifugiati attraverso le frontiere d'Africa del Medio Oriente del Mediterraneo.
Oggi la domanda centrale è quella della sicurezza, come declinato assai bene anche nel dossier dell'ultimo numero di Mosaico di Pace. Su questo veniamo anche noi chiamati alla responsabilità, attraverso uno sforzo di analisi critica ed elaborazione che permetta di proporre un approccio "altro" alle relazioni internazionali. Che faccia cioè tesoro della storia, quella non raccontata negli annali di guerra, o nei libri "mainstream", assai avvezzi a rappresentare la politica estera e la storia come campi di battaglia armata o meno, tra deliri o strategie di potenza, di impero, di sfruttamento, e assai meno capaci di leggere la storia "altra". Quella di paesi che invece avevano ed hanno rinunciato alla politica di potenza, alla guerra, alle armi, ma che non rinunciano a cercare di contribuire alla costruzione della pace. Insomma neutrali ma attivi, neutrali dagli schieramenti delle potenze vecchie e nuove, a esempio la Nato ma attivi e partecipi con gli strumenti della diplomazia o della forza "disarmata" nella gestione, prevenzione e risoluzione delle controversie internazionali.
Più di recente la proposta di neutralità attiva è stato rilanciata da Un ponte per... nel suo documento "L'opzione per una neutralità attiva in Libia", nel quale si propongono una serie di passi, quali la de-escalation della logica di guerra e di uso della forza, la neutralità rispetto alle fazioni che si opponevano al governo di Al Serraj.
Neutralità attiva significa in questo caso creare le condizioni per un ruolo terzo di mediazione che prevede l'abbandono di ogni opzione militare, e mantenere misure volte a prevenire il flusso di armi, tra cui l'embargo all'export di armamenti verso la Libia, assieme al sostegno ad attività di peacebuilding.
Altri paesi in tempi di guerra fredda decisero di essere più o meno neutrali, si pensi ad esempio alla Finlandia, stato "cuscinetto" tra il blocco sovietico e quello atlantico. Non a caso ci si rifà spesso alla Finlandia neutrale quando si immaginano ipotesi possibili per lo status dell'Ucraina, presa tra due spinte contrapposte di assimilazione nell'Unione Europea e nella Nato da una parte e agganciamento al cono di influenza della Russia di Putin dall'altra.
La neutralità può quindi essere uno status - come dettato dal diritto internazionale - o anche una scelta di come stare nel mondo, e di come porsi nei rapporti internazionali. Negli anni scorsi, la guerra globale contro il terrorismo ha fatto però saltare gli ultimi "paletti" come nei casi di Norvegia o Svezia. Anche in altri paesi dove la neutralità era stata elemento fondativo quali la Svizzera e l'Austria si è iniziato lentamente a comprimere il concetto, a ridiscutere la pratica della neutralità armata, ad esempio. Il caso della Svizzera che si arma fino ai denti per proteggersi, e produce armi o ospita imprese o banche che esportano e commerciano in armi avvalendosi del segreto bancario, rende l'impegno di neutralità oggi assai opinabile. Purtuttavia la Svizzera non partecipa ad operazioni militari all'estero, mentre per altri paesi, l'entrata nell'Unione Europea ha comportato l'abbandono della loro storica neutralità in virtù dell'adesione agli impegni di sicurezza collettiva della UE o in altri casi della Nato. L'Irlanda ora sposa l'approccio di neutralità politica "militarmente attiva". Recuperare in questo contesto le ragioni di una pratica o un'idea di neutralità è cruciale per dimostrare come sia possibile lavorare per la pace e la costruzione di relazioni pacifiche tra i popoli senza necessariamente provvedervi attraverso l'uso dello strumento militare o aderendo in tutto o in parte alle strategie delle alleanze o dei sistemi internazionali di sicurezza.
Interessante a tal fine il dibattito sviluppatosi in Austria dove il tema della neutralità si innestò in una discussione più ampia sulla cultura della pace, che comporta non l'isolamento ma bensì al contrario una ridefinizione della neutralità "dal basso" come abbandono della politica di potenza per una politica di intervento attiva di altra modalità. Che però presuppone una costruzione del principio e della pratica di neutralità proprio dal basso, dall'iniziativa e dalla prospettiva dei movimenti e della società civile.
Nel suo "Critica della Politica Estera" Ekkehard Krippendorff specifica che nel contesto di una vera neutralità, non "variante della strategia di autoconservazione degli stati" le attività delle organizzazioni non-governative "andrebbero viste non come il completamento di una politica estera non violenta ma come l'essenza della stessa".
Bene è da questa prospettiva di neutralità generata dal 'basso' e che si alimenta delle pratiche e delle iniziative della società civile e presuppone una sorta di "ingerenza" positiva e di taglio pacifico e nonviolento, che vale la pena di partire. Con l'obiettivo di tentare di elaborare proprio "dal basso" assieme a coloro che nel nostro paese lavorano per la pace, il disarmo, la nonviolenza, un approccio ed una proposta concreta, politica, di paradigma alternativo per la politica estera del nostro paese. Il tema della neutralità ha attraversato le elaborazioni del movimento pacifista in Italia ed all'estero ha permeato anche parte delle relazioni internazionali, si pensi ad esempio al Movimento dei Non Allineati, ha caratterizzato il dibattito all'interno del mondo cattolico e socialista prima della prima guerra mondiale.
Questo patrimonio va recuperato come ricerca di memoria storica utile per una prospettiva futura. E' questo l'obiettivo del convegno organizzato da Transform! Italia con la collaborazione di Un ponte per... che si terrà a Roma il 10 settembre 2016, appuntamento inteso ad offrire una prima occasione di approfondimento teorico e di confronto con tutte le anime e le realtà del movimento pacifista, per poi valutare la possibilità di un secondo appuntamento seminariale di lavoro per meglio comprendere insieme come le varie campagne ed iniziative, da quelle sul commercio di armi disarmo, nucleare e convenzionale, corpi civili di pace e difesa popolare nonviolenta, per citarne alcune, possano trovare un terreno comune di relazione e rafforzamento proprio attraverso una definizione e proposta concreta di neutralità attiva per il nostro paese. Per maggiori informazioni: https://neutralitaattiva.wordpress.com/
Fonte: Huffington Post - blog dell'Autore
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