La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 5 settembre 2016

Una pistola fumante: la Costituzione di Trichet

di Giuseppe Aragno 
Un filo rosso percorre la Costituzione: uno spirito sociale e antifascista. Come e perché si è giunti alla decisione di cambiare? Non è un’idea nuova, ma quest’ultimo tentativo si inserisce in uno specifico contesto internazionale e diventa progetto operativo dopo un evento anomalo, che ha una data precisa. Cominciamo dal contesto internazionale. Ormai è storia: dal dicembre del 2001 al luglio del 2003, la Convenzione Europea cerca invano soluzioni ai problemi istituzionali dell’Europa unita. I suoi membri, però, non sono eletti direttamente dai popoli ed è paradossale: l’organismo, nato per dare una mano di vernice democratica al processo di unificazione, non è un modello di democrazia.
La Convenzione scrive una Costituzione, ma prima i Federalisti, che non sono certo nazionalisti, poi buona parte dell’opinione pubblica, puntano il dito: non è una Costituzione, si dice, ma un insieme di norme su economia e mercato. L’unica Istituzione eletta dal popolo è il Parlamento europeo, privo però di un vero potere di iniziativa legislativa, che spetta a una Commissione composta di membri di nomina governativa. Presto diventa chiaro che il documento non rispetta le Costituzioni democratiche delle nazioni aderenti, spesso più avanzate, e vincola i cittadini e gli Stati, più che le Istituzioni europee. Tutto sommato, è una discutibile bibbia neoliberista, che dà preminenza assoluta ai temi economici e capitalistici, non fa riferimento al ripudio della guerra e scarse, quando non assenti, sono le garanzie per lavoratori, immigrati e welfare state.
Sottoposta a referendum, la Costituzione riceve uno dietro l’altro i no della Francia e dei Paesi Bassi. Ero a Parigi, al tempo del «Grand debat» sull’identità europea e sul referendum per la Costituzione. Nulla di più lontano dal nazionalismo. Francesi erano Schuman, Monnet, Delors e Mitterrand. Se ora in Francia c’è la Le Pen, è perché l’Unione, invece di mutare registro, ha ripudiato il progetto. Dal punto di vista storico, la Convenzione Europea è l’equivalente di Costituente e la prova del fallimento storico dei tentativi di garantire legittimità democratica all’Unione e renderne le Istituzioni realmente rappresentative dei cittadini degli Stati membri. Ma la storia pesa sul futuro e non a caso l’Europa ha perso il Regno Unito e non ha una Costituzione.
In questo contesto si colloca un evento cruciale. Il 5 agosto 2011 Berlusconi, Presidente del Consiglio in carica, riceve una lettera riservata dal banchiere Jean Claude Trichet, cittadino francese senza ruoli politici riconosciuti dalle nostre leggi; a Trichet fa da spalla Draghi, un italiano di cui si sa solo che ha le mani in pasta nel disastro greco e nessuno l’ha eletto in ruoli politici. Rispettivamente presidente e vice presidente della Banca Centrale Europea, i due si occupano di monete, cambi, regolarità dei sistemi di pagamento e vigilanza sugli enti creditizi negli Stati membri. Nessun titolo per «consigliare» scelte politiche ai capi di Governo.
La lettera contiene una terapia per malati da rianimare; i farmaci sono misure antispeculazione che l’Italia deve attuare «con urgenza», per «rafforzare la reputazione della sua firma sovrana e il suo impegno alla sostenibilità del bilancio e alle riforme strutturali». Intrugli miracolosi da medico cerusico: liberalizzazioni; riforma del mercato del lavoro e della contrattazione collettiva, per adeguare salari e condizioni di lavoro alle pretese delle aziende; revisione delle norme sul licenziamento, tagli per sanità, giustizia e istruzione, riforma delle pensioni, e, se occorre, riduzione degli stipendi. Per ricette come queste è andato in malora ormai mezzo mondo e, ciò che più conta, i farmaci sono inconciliabili con le regole di casa nostra. I rischi d’incostituzionalità sono dietro l’angolo, perché da noi il lavoro è valore fondativo della Costituzione, che lo tutela, fissa principi di sufficienza e proporzionalità della retribuzione, riconosce pari diritti a lavoratori e lavoratrici e affida alla repubblica il compito di curarne la formazione e l’elevazione professionale. Né va meglio per le liberalizzazioni, che potrebbero fare i conti con la tutela della salute dell’individuo, dell’interesse collettivo e della salubrità dell’ambiente, minacciati dall’inquinamento che con il «libero mercato» ha molto da spartire. Senza contare la necessità di «stabilire equi rapporti sociali», il trasferimento «allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti di […] imprese che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energie» che «abbiano preminente interesse generale». Certo, la Costituzione non assegna ai lavoratori e alle loro associazioni le terre espropriate, come propone alla Costituente il socialista Jacometti, e non accoglie l’invito a «rompere il sistema» giunto da Di Vittorio; l’on. Taviani, anzi, rassicura l’Assemblea: non c’è un «intervento dello Stato per la socializzazione»; tuttavia, quando il liberale Epicarmo Corbino chiede di riferire l’imposizione di limiti alla proprietà in generale, abolendo la parola «privata», la risposta è rivelatrice: «il pericolo che si smarrisca il senso della funzione sociale riflette […] la proprietà privata».
Per quanto riguarda, poi, l’istruzione, complemento necessario del suffragio universale, essa ha un ruolo vitale e Calamandrei individua in un articolo che la riguarda, il n. 34, il più importante della nostra Costituzione. L’apparente semplicità del testo – «La scuola è aperta a tutti. I capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi» – è un baluardo contro ogni tentazione autoritaria; è la scuola, infatti, solo la scuola che «può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali», sicché la classe dirigente non «sia una casta ereditaria, chiusa, una oligarchia, una chiesa, un clero, un ordine», ma risulti «aperta e sempre rinnovata dall’afflusso verso l’alto degli elementi migliori di tutte le classi, di tutte le categorie». Prima di tutto, quindi, scuola di Stato, perché, recita l’art. 33, è la Repubblica che «detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi». La scuola di Stato, però, non è estranea al disegno di una società democratica ed è, anzi, lo strumento principale per la realizzazione di due articoli fondamentali, il n. 3 per il quale, «tutti i cittadini hanno parità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica, di condizioni personali e sociali» e il n. 51, che così recita: «tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge». A scuola, nella scuola di Stato, si forma il sentimento di eguaglianza civica e si crea il rispetto di tutte le opinioni e di tutte le fedi. «Quando la scuola pubblica è così forte e sicura», scrive Calamandrei, allora, ma allora soltanto, la scuola privata non è pericolosa. Allora, […] può essere un bene».
Trichet e la sua lettera rientrano perfettamente nell’area privata che Calamandrei definisce «pericolosa»; è l’esponente di una scuola economica che abolisce la mediazione e sostiene una concezione classista e autoritaria della società. Per Trichet contano le leggi del mercato e la sua idea di società si fonda su principi che non si discutono e non prevedono conflitto. Per la nostra Costituzione il conflitto è un valore e la mediazione una legge di cambiamento; per Trichet la libertà si misura sul mercato, mentre la Costituzione della Repubblica regola il mercato e lo subordina ai diritti della società nel suo insieme. Trichet è l’equivalente di quello che Calamandrei definisce «partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura». Non a caso Renzi si è inventato la «buona scuola» e ha messo in ginocchio la scuola statale. Formando i giovani al senso critico e all’autonomia di pensiero, educa alla «resistenza» e produce «conflitto».
L’Europa di Trichet non ha una Costituzione, l’Italia ce l’ha, è antifascista ed è pensata per contrastare ogni forma di autoritarismo. Non potendo farne a meno, come si è potuto fare per l’Europa, bisogna se non altro cambiarla. E’ questo l’ultimo, velenoso intruglio che Trichet «consiglia» al nostro Governo. Un veleno che Renzi somministra volentieri al Paese con intenti eversivi: rompere gli equilibri e rafforzare il Governo.

Fonte: didaweb.net fuoriregistro 

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