di Antonio Recanatini
Collocare il razzismo come fenomeno di una sola fase della storia, dividerlo e interpretarlo, può condurre solo a un’analisi ovvia, superficiale e, molto spesso, fuorviante. Il nazismo come sistema di potere, rientra nella parabola naturale di un concetto, di un criterio, di una cultura votata al senso del possesso e difesa del proprio status, a discapito del diverso e del nobilissimo intruso. L’analisi storica sarebbe una corsa nel tempo, poiché il male è un principio iniettato nel nostro quotidiano e condiviso da sempre, in modo più o meno evidente e coerente. Se ancor oggi certi epiteti nazisti riscuotono consenso, successo; se ancor oggi entrano dalla porta principale del potere, con estrema facilità, forse l’analisi neanche dovrebbe focalizzare il periodo storico, ma l’uomo nella sua personalissima visione della realtà, l’uomo nel sistema e l’uomo forgiato a difendere le sue lacune o fragilità.
Michel Foucault intravedeva nel razzismo una strategia di difesa personale, aggiungerei talmente personale da trovare nelle armi di distruzione di massa sia l’offesa, che la difesa del proprio territorio.
Michel Foucault intravedeva nel razzismo una strategia di difesa personale, aggiungerei talmente personale da trovare nelle armi di distruzione di massa sia l’offesa, che la difesa del proprio territorio.
Una società apparentemente consolidata teme, comunque, di aprire le porte all’intruso e, per quanto possa essere riluttante, ognuno di noi, in qualche modo, difende il suo territorio, perché teme l’intruso. Il razzismo, invece, è il peggio dell’uomo che si ricompone, quando il pregiudizio supera di gran lunga l’intelligenza. Sicuramente l’intelligenza non è un prodotto da grandi magazzini, ma la stupidità vaga nell’aria e gonfia il petto degli sprovveduti e degli avvolti.
I casi come quelli di Goro e Gorino, Follonica, le reazioni dei dipendenti Lidl e le consuete chiacchiere da bar non vanno accomunati nel candore degli usi e costumi, tanto meno nell’intolleranza, ma nel razzismo ingerito come sistema, cultura, usanza e opportunismo storico.
Se fossimo davanti a un computer dovremmo riprogrammarci tutti.
Da tempo, ormai, pratichiamo accezioni linguistiche razziste per suggellare la diversità, definiamo e classifichiamo in gay, romeno, albanese, uomo di colore e clandestino; ora, l'eretica e becera nomenclatura include una variante, tra il dispregiativo e la suggestiva tolleranza cattolica: emigranti, migranti, clandestini, scimmie ecc ecc.
Rifiutiamo, impunemente, di valutare l'uomo come persona, incappiamo nelle distinzioni non per illuminare la tragedia, ma per issare la bandiera dell'ipocrisia nuda e cruda. Troppo spesso, includiamo nuovi vocaboli per nascondere la vera entità del nostro male: il pregiudizio. Va da sé che il pregiudizio sia umano, quindi migliorabile, nascondendoci dietro connessioni di facciata, non eviteremo fisime e fanatismi, ma la verità nel suo aspetto più crudo. Educare al rispetto della persona deve essere il primo gradino da salire e da sfatare, il primo passo per orientare, riprogrammare un sistema razzista nel profondo.
Il razzismo maschera bene il suo vero volto e trova sempre dei canali percorribili, logici nella visione superficiale, convenzionale. Julius Evola, sicuramente non un comunista, teneva molto a filosofeggiare sull’intrusione, sull’incidenza del corpo estraneo a un sistema strutturato con la sua morale, costume e vizio. In pratica, avrebbe giustificato oggi le reazioni di chiunque, infatti in questo sentiero di giustificazioni vanno a depositarsi i cori razzisti allo stadio, il negro violentatore, l’albanese ladro, il napoletano scippatore o semplicemente l’immigrato.
Fonte: lacittafutura.it
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.