di Werner Raza
L'elezione di Donald Trump alla Presidenza degli Stati Uniti, così come la paragonabile inesorabile ascesa del populismo di destra in Europa, ha sollevato serie questioni circa il futuro della democrazia. Nel suo nuovo libro, Branko Milanovic (BM) discute la relazione fra diseguaglianza globale e il futuro, rispettivamente, del capitalismo e della democrazia. Anche se BM pensa che ineguaglianza e capitalismo possono coesistere, egli è scettico rispetto alla democrazia. Mentre descrive la forma di plutocrazia Americana come “il mantenimento della globalizzazione insieme al sacrificio di elementi chiave di democrazia”, vede il populismo Europeo come “il tentativo di preservare un simulacro di democrazia insieme a una riduzione dell'esposizione alla globalizzazione”.
Comunque, l'elezione di Trump ci insegna che la plutocrazia e il populismo possono eventualmente stare insieme. Guardando il famoso “grafico a forma di elefante” di Milanovic, è immediatamente chiaro perchè ciò può succedere. Se ne possono trarre tre importanti osservazioni: primo, notevoli incrementi di reddito nelle economie emergenti, in particolare in Cina e India, hanno fatto emergere una nuova classe media nel Sud Globale. Secondo, il reddito della classe media nei paesi dell'Ovest avanzato ha ristagnato. Terzo, il reddito dell'uno per cento più ricco, cioè dei super ricchi del globo, è anch'esso sostanzialmente cresciuto, sebbene secondo BM la sua grandezza è ancora sottostimata.
Comunque, l'elezione di Trump ci insegna che la plutocrazia e il populismo possono eventualmente stare insieme. Guardando il famoso “grafico a forma di elefante” di Milanovic, è immediatamente chiaro perchè ciò può succedere. Se ne possono trarre tre importanti osservazioni: primo, notevoli incrementi di reddito nelle economie emergenti, in particolare in Cina e India, hanno fatto emergere una nuova classe media nel Sud Globale. Secondo, il reddito della classe media nei paesi dell'Ovest avanzato ha ristagnato. Terzo, il reddito dell'uno per cento più ricco, cioè dei super ricchi del globo, è anch'esso sostanzialmente cresciuto, sebbene secondo BM la sua grandezza è ancora sottostimata.
L'elefante, Trump e la classe lavoratrice
Da questi fatti discendono due interpretazioni politiche. Una narrativa di sinistra ne trae una linea di conflitto politico nella UE e negli USA fra la popolazione lavoratrice e la ricca elite e invoca una redistribuzione, dai ricchi agli strati medi e bassi della popolazione. Ovviamente, una tale interpretazione costituisce una minaccia ai privilegi delle elites plutocratiche. Il populismo di Donald Trump dovrebbe quindi essere visto come una strategia Gramsciana di egemonia basata su una lettura alternativa del grafico a forma di elefante. Il suo marchio di populismo combina due elementi. Primo, attraverso lo sfruttamento del fatto realistico che ampi segmenti della classe lavoratrice americana non hanno beneficiato della globalizzazione, egli contrappone la classe media americana ai lavoratori delle economie emergenti invocando antagonismi come “Noi Americani” contro “gli immigrati Messicani” o “i nostri posti di lavoro” contro “le importazioni a basso costo dalla Cina”. Dunque, egli trasforma una questione economica in una questione identitaria e distoglie l'attenzione dall'antagonismo di classe fra ricchi e poveri. Secondo, su questa base Trump ha promosso il progetto politico definito in “Prima l'America”, il quale ricostruisce una comunità ideale di Americani che “lavorano duro”. Il progetto egemonico del populismo quindi combina una narrativa di una comunità politica ideale lungo linee di demarcazione nazionali, etniche, culturali o religiose con limitate promesse materiali in termini di più posti di lavoro per i suoi membri. La cultura politica diviene contrassegnata dall'enfasi sul culto del comando, dimostrazioni di forza da parte dell'autorità e uso brutale del linguaggio abbinato alla negazione dei fatti e all'intimidazione degli oppositori.
La relazione inversa fra l'iper-globalizzazione e la democrazia
Allora, qual'è la prospettiva di un'agenda politica alternativa che si prefigga un progetto egualitario, sia fra stati nazionali che al loro interno? Dani Rodrik ha introdotto il “trilemma politico dell'economia mondiale” come uno strumento euristico per l'analisi delle opzioni politiche disponibili sotto la globalizzazione. I tre elementi del trilemma sono (i) la sovranità nazionale, (ii) l'iper-globalizzazione, cioè la profonda integrazione economica dell'economia mondiale, e (iii) la politica democratica. Il trilemma presuppone che solo due dei tre elementi sono compatibili. Dunque, se il pensiero di un sostanziale trasferimento di poteri al livello internazionale insieme all'idea di creare una qualche forma di conduzione (governance) democratica globale è impossibile dato che persisterebbe la prevalenza degli stati nazione, e non è desiderabile il pensiero di una combinazione fra politica nazionale populista/autoritaria insieme a un approfondimento dell'iper-globalizzazione, allora la fondamentale relazione inversa che qualsiasi progetto politico progressista deve affrontare è quella fra iper-globalizzazione e democrazia. Per i democratici questa scelta dovrebbe essere inequivocabile. Su questo sfondo, l'attuale dibattito sul populismo di Trump appare fuorviante. In modo riduttivo, la stampa liberale ritrae il nucleo economico dei progetti di populismo montante come consistenti nel protezionismo. Tuttavia, rifiutando di firmare il TTP e criticando il NAFTA, e indicando al contempo la disponibilità a negoziare accordi bilaterali in futuro, Trump ha avanzato un approccio mercantilistico che cerca di incrementare per gli USA i guadagni della globalizzazione. Di conseguenza, ha inaugurato un'agenda di deregolamentazione per l'iper globalizzato settore finanziario USA e di riduzione fiscale per il settore delle imprese in generale, evidentemente per migliorare la posizione Americana nella competizione internazionale.
Allo stesso modo, la strategia delle forze populiste al governo nella UE (come in Ungheria e Polonia) non è rivolta contro l'integrazione economica, ma contro il federalismo politico, cioè il trasferimento del potere al livello sopra – o internazionale, mentre nello stesso tempo erode la divisione istituzionale dei poteri e la partecipazione democratica nei rispettivi paesi. Quindi, l'obiettivo strategico del populismo sia negli USA che nella UE è orientato a stabilire una combinazione autoritaria di stato nazionale e iper-globalizzazione. Mentre è restrittivo riguardo alla mobilità del lavoro ed ha un approccio politico più interventista, si può dedurre che esso non sia diretto contro la globalizzazione economica per se, ma contro la liberal democrazia e la governance globale.
I richiami liberali alle forze che si oppongono al populismo affinchè concentrino i loro sforzi per la difesa dell'iper-globalizzazione potrebbero dimostrarsi disastrosi per la sinistra politica. Senza negare l'accresciuto potenziale per il conflitto, un progetto politico progressista dovrebbe dare il benvenuto a un ordine mondiale multipolare e concentrarsi nella lotta per la democrazia rinvigorendo il suo potenziale per una società più solidaristica ed egualitaria.
Accanto al rafforzamento della partecipazione democratica, al sostegno ai diritti umani e all'espansione dell'inclusione sociale e dell'equità, vi deve essere una regolazione più stringente dell'iper-globalizzazione. In certe aree, una parziale de-globalizzazione e ri-regionalizzazione delle attività economiche, per esempio nel settore finanziario, nell'agricoltura o nei servizi pubblici, pare raccomandabile. In contrasto al populismo di destra, un tale progetto sarebbe inoltre basato sul rispetto delle democrazia, avrebbe gli strumenti per gestire la globalizzazione e sarebbe realistico rispetto alla prevalenza pro tempore dello stato nazione.
Articolo pubblicato su Social Europe
Traduzione per facciamosinistra! a cura di Sergio Farris
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