di Tamir Bar-On
Il suo nome è molto noto in Turchia, ma egli resta in larga misura un mistero per il resto del mondo. Egli è un eroe per molti kurdi e un criminale assetato di sangue per la maggioranza dei turchi. Abdullah Öcalan è il leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). Ex praticante del terrorismo, Öcalan ha riflettuto sulle mutevoli fortune della sua organizzazione dopo il suo arresto ad opera dello stato turco. Ha proseguito una svolta drammatica, che ebbe inizio negli anni ’90, da figura leonina del PKK a intellettuale che in gran parte rifugge dalla violenza del proprio passato. La transizione è notevole, dal momento che Öcalan era il nemico numero uno in Turchia dal 1984, anno in cui ebbe inizio la sollevazione violenta del PKK, fino allo spettacolare sequestro a Nairobi nel 1999, con conseguente arresto da parte delle autorità turche. Öcalan attualmente risiede nella prigione turca di Imrali, laddove ha redatto la sua opera in tre volumi Scritti del Carcere (Öcalan, 2007, 2011, 2012).
Per circa 15 anni Öcalan ha languito in una prigione turca quale unico detenuto, sorvegliato da 1500 soldati turchi. Abdullah Öcalan è una figura solitaria, collocata in una remota prigione turca al largo del Mar di Marmara. Egli ha pertanto moltissimo tempo a disposizione per ripensare le strategie della lotta per i diritti del popolo kurdo e per l’indipendenza.
Egli ha anche riflettuto su altre questioni di cruciale importanza: la guerriglia violenta e le tattiche terroristiche e le strategie del PKK, di ispirazione marxista (compresi gli attacchi dinamitardi suicidi, le brutali uccisioni di “collaboratori” presenti nei propri ranghi e le uccisioni indiscriminate di civili), la natura dello stato turco e i suoi fondamenti ideologici, le divisioni e la struttura feudale esistenti fra i kurdi, la storia della civiltà,e i nuovi modelli per risolvere la Questione Kurda e i problemi dell’umanità in generale. “Il PKK ha lanciato la maggior parte dei suoi attacchi nei confronti delle forze di sicurezza turche, ma ha anche attaccato altri siti turchi, in patria e all’estero, nonché civili kurdi che non cooperavano con il gruppo”, ha scritto Greg Bruno (2007) del Council of Foreign Relations.
Egli ha anche riflettuto su altre questioni di cruciale importanza: la guerriglia violenta e le tattiche terroristiche e le strategie del PKK, di ispirazione marxista (compresi gli attacchi dinamitardi suicidi, le brutali uccisioni di “collaboratori” presenti nei propri ranghi e le uccisioni indiscriminate di civili), la natura dello stato turco e i suoi fondamenti ideologici, le divisioni e la struttura feudale esistenti fra i kurdi, la storia della civiltà,e i nuovi modelli per risolvere la Questione Kurda e i problemi dell’umanità in generale. “Il PKK ha lanciato la maggior parte dei suoi attacchi nei confronti delle forze di sicurezza turche, ma ha anche attaccato altri siti turchi, in patria e all’estero, nonché civili kurdi che non cooperavano con il gruppo”, ha scritto Greg Bruno (2007) del Council of Foreign Relations.
Robert Pape (2003, p. 361) ha precisato che negli anni ’80 e ’90 il ricorso alla tattica del terrorismo suicida crebbe su scala mondiale “in larga misura perché i terroristi hanno appreso che è una tattica pagante”. Nonostante le credenziali secolari, il PKK di Öcalan si impegnò nel praticare il terrorismo suicida. Tuttavia, tale forma di terrorismo non era centrale nell’ambito delle operazioni del PKK. La campagna di attacchi suicidi del PKK ebbe inizio il 30 giugno 1995 e si concluse il 5 luglio 1999. Circa due terzi degli attacchi – una cifra fra 11 e 14 – furono intrapresi da donne e condussero a meno di 20 morti (Kurth Cronin, 2003, p. 17). Il PKK nutriva una preferenza, piuttosto, per la guerra di guerriglia, forma bellica irregolare nell’ambito della quale un piccolo gruppo di combattenti, quali civili armati o irregolari, utilizzano tattiche militari come imboscate, incursioni, attacchi mordi-e-fuggi, come anche ricorrono a una grande mobilità per combattere contro una forza militare tradizionale e più vasta. Nel 1984 le operazioni di guerriglia del PKK hanno inizio e comprendono un’incursione in una stazione di polizia presso Siirt, il 17 agosto, che fu seguita da un attacco con l’uccisione di tre membri della Guardia Presidenziale del Generale Evren a Yüksekova e da un’imboscata in cui furono uccisi otto soldati turchi a Çukurca. Quantunque fossero adottate dal PKK tattiche di guerriglia, ciò non significava che non si commettessero anche attacchi terroristici, il cui principale obiettivo erano dei civili. Quantunque la maggioranza delle attività del PKK volgesse l’attenzione nei confronti di guardiani di villaggio, poliziotti, postazioni militari, membri del PKK hanno altresì fatto ricorso alla tattica degli attacchi dinamitardi suicidi in località turistiche e in centri commerciali nelle città della Turchia occidentale, in special modo durante la stagione turistica. In aggiunta il PKK si è impegnato in attacchi terroristici suicidi contro civili, fra i quali è incluso uno attuato a Istanbul il 25 dicembre 1991 (11 morti, 20 feriti); e vi è un presunto attacco del PKK in data 27 luglio 2008 (17 morti, 154 feriti).
I terroristi suicidi usano la “logica strategica” del terrorismo suicida perché essa può strappare concessioni politiche come l’espulsione di “forze occupanti” dal proprio territorio o una limitata autonomia. Terroristi suicidi cercarono di indurre le truppe israeliane a lasciare il Libano negli anni ’80, a lasciare la Striscia di Gaza e la West Bank negli anni ’90; mentre altri hanno premuto sul governo dello Sri Lanka perché si creasse uno stato indipendente Tamil, dagli anni ’90 in avanti. Tuttavia Pape (2003, p. 361) insiste nel rilevare il fallimento del PKK quandò esso ricorse alla tattica del terrorismo suicida: “In tutti i casi, fatto salvo quello della Turchia, la causa politica terroristica ha prodotto guadagni maggiori dopo il ricorso a operazioni suicide rispetto a quel che avveniva prima”. Vale a dire che la tattica dell’attacco dinamitardo suicida non ha consentito di conseguire concreti guadagni quali l’autonomia o l’indipendenza per i kurdi, mentre ironicamente la cattura di Öcalan ad opera dello stato turco ha configurato lo scenario per una storica soluzione del conflitto turco-kurdo.
Per essere un uomo che ha vissuto con un’arma al fianco, Öcalan dedica pochissime pagine alla violenza nel suo scritto in tre volumi. Elemento nuovo di Öcalan è il suo approccio storico ai kurdi e, in senso più ampio, alle civiltà mediorientali. Questo documento porta avanti un’interpretazione gramsciana di Öcalan, fondata sui suoi numerosi scritti successivi alla cattura da parte dello stato turco; tuttavia argomenta anche che il leader del PKK si è sprostato verso una più di “autonomia democratica”, in tal modo scavalcando l’ex leader comunista italiano. Focalizzo in special modo l’attenzione sulla Road Map di Öcalan, perché essa determina il quadro contestuale per storici negoziati fra Öcalan e lo stato turco, al fine di dare soluzione al conflitto di lunga data fra turchi e kurdi.
Nato ad Ales, in Sardegna (Italia) nel 1891, Antonio Gramsci fu un teorico politico e un leader del Partito Comunista Italiano. Un eroe per i marxisti, in Italia e nel mondo, a causa della sua resistenza al regime fascista di Benito Mussolini, Gramsci scrisse le sue note dal carcere mentre era detenuto e morì in una clinica di Roma controllata dalgoverno nel 1937 (Gramsci, 1971, 1992, 1996, 2007). Utilizzo Gramsci per agevolare nella comprensione dei mutamenti nell’ambito culturale e civile che consentono di creare spazio politico per nuove sintesi ideologiche (Gramsci, 1971, pp. 445; 506-507). Seguendo Gramsci, utilizzo gli scritti di Öcalan per sottolineare il ruolo degli intellettuali nella storia. Idee intellettueli rivestono un ruolo-chiave nel conformare la storia e nel generare consenso fra la popolazione, nella società civile, in favore oppure contro un contesto ideologico regnante. Un intellettuale è persona la cui professione è incentrata sulla produzione e diffusione di idee.
Gramsci (1971, pp. 131-133) ha distinto fra intellettuali “organici” e “tradizionali”, con i primi congiunti a una particolare classe sociale (borghesia o proletariato) e i secondi collegati a un antico ordine socio-economico e a una “progetto egemonico”. Öcalan non è un agente della borghesia e tantomeno del proletariato in un senso dogmaticamente marxista, in quanto egli ha criticato proprio il dogmatismo partitico dei Paesi comunisti e il socialismo di mentalità ristretta del PKK in passato. Così, ad esempio, nella prima parte degli scritti Öcalan (2007, pp. 234-236) ha asserito che movimenti di liberazione socialisti e nazionali “hanno fatto un eccessivo utilizzo della violenza”; lo stato comunista monopartitico era uno “strumento per una stringente attuazione della comprensione totalitaria dell’attività di governo”; la “dittatura del proletariato”: era uno slogan “in larga misura motivato da scopi propagandistici”; e non può esservi “alcun socialismo senza la democrazia”.
I fattori teoretici che esercitano influenza su Öcalan sono svariati. La teoria democratica, l’anarchico ecologista Murray Bookchin, Immanuel Wallerstein, la Nuova Sinistra, la teoria femminista, Marx ed Hegel influenzano il pensiero di Öcalan. Così, ad esempio, l’attenzione di Öcalan è focalizzata in anni recenti sul confederalismo democratico e sull’autonomia democratica al di là dello stato, sotto l’influenza dell’anarchico ecologista Murray Bookchin (Akkaya, Jongerden, 2013). Il suo obiettivo è un modello di civilizzazione nel quale “la civiltà democratica” è un traguardo del modello di civilizzazione nel quale la “civiltà democratica” sarà meramente una componente di una sintesi civilizzatrice che ancora è nell’atto di emergere sul piano globale. Öcalan è favorevole alla “democrazia contemporanea” e ai principi federalisti, e nel contempo desidera una nuova sintesi storica delle civiltà mondiali (2007, pp. 255-256). Una nuova “democrazia del popolo”, argomenta Öcalan (2007, p.237), fallirà in Medio Oriente se non sarà “superiore” alla democrazia occidentale. Tale audace asserzione rafforza l’idea hegeliana che la storia si dispiega verso un progresso universale e civilizzatore e che la “democrazia contemporanea” è per il momento la più alta espressione di tale progresso. Se una nuova sintesi civilizzatrice emerge, sostiene Öcalan, essa avrà bisogno di costruirsi imperniata su un reale progresso storico, realizzato come conseguenza dell’emergere di una “civiltà democratica”: individualismo, stato di diritto, governo del popolo, secolarismo e diritti delle donne.
Sia nei suoi giorni di praticante della lotta armata che in quelli trascorsi nella sua cella di detenuto, Öcalan è figura unica per il fatto che il mondo ne sa poco. Lo stesso non può dirsi di Begin e Arafat, due eminenti leader mediorientali che hanno fatto ricorso alla lotta armata per “liberare” i loro popoli. Inoltre, mentre Öcalan è indiscutibilmente una voce della coscienza del popolo kurdo, perché invece la questione kurda è relegata al rango di questione secondaria in ambito internazionale, se comparata, per dire, con quella palestinese o tibetana o basca o persino con quella nazionale del Quebec? In un’epoca definita da Zbigniew Brzezinski (2007, pp.205-208) come “era anti-imperialista” (vale a dire un’era di “risveglio geopolitico a livello globale” e di decolonizzazione, nella quale non è più accettabile che si governino altri popoli, in ragione dei principi di autodeterminazione nazionale e di sovranità), appare alquanto strano che i kurdi siano stati tenuti fuori dalla lista di nazioni meritevoli di uno stato. A detta di un esperto riguardo ai kurdi, David Romano (2008, pp. 346), “i kurdi sono spesso descritti come ‘la più grande nazione del mondo priva di stato’,” e circa la metà dei 28 milioni di kurdi in Medio Oriente provengono dall’interno del territorio controllato dalla Turchia. Un altro eminente specialista riguardo ai kurdi, Michael Gunter (2000, pp. 849), puntualizza che i kurdi ricomprendono almeno il 20% della popolazione totale della Turchia e che la cattura di Öcalan “ha segnato un inizio del tutto nuovo del tentativo di risolvere il persistente problema kurdo della Turchia”. La tragedia dei kurdi è consistita in una storia di brutale repressione statale nonché di complicazioni pratiche nel cercare di conseguire diritti culturali o il riconoscimento statale da quattro stati sovrani: Turchia, Iraq, Iran e Siria.
Collegare Gramsci e Öcalan
Come sopra evidenziato, lo scopo di questo documento è di analizzare da una prospettiva gramsciana il terzo volume di scritti carcerari di Öcalan: la Road Map verso i negoziati. Utilizzo gli scritti carcerari di Gramsci, il suo esempio e le sue intuizioni teoretiche, al fine di spiegare la trasformazione del pensiero di Öcalan. In aggiunta, suggerisco che i contenuti della Road Map offrono ai kurdi, ai turchi e agli altri popoli nel Medio Oriente una via d’uscita dai percorsi senza sbocchi dell’autoritarismo, del nazionalismo acritico e dell’assimilazionismo statuale. Lo stato turco e il PKK hanno a disposizione una storica opportunità, offerta dalla Road Map, e potrebbero cogliere il frangente favorevole al fine di mutare radicalmente le relazioni turco-kurde. Qualora questo favorevole momento storico fosse colto, anche il destino dei kurdi al di fuori della Turchia potrebbe essere trasformato. In aggiunta, la Road Map ci offre un modello per la soluzione di conflitti etnici di lunga data nella regione, quantunque non vi siano due conflitti che possano essere risolti in maniera simile. Nel primo volume di scritti carcerari, Öcalan (2007, pp. 296-297) argomenta che “abbiamo raggiunto un momento storico nel quale possiamo “tentare una soluzione della Questione Kurda con mezzi democratici e pacifici”, mentre insiste nel sostenere che i kurdi costituiranno “una fondamentale forza apportatriche di pace e democrazia” per l’intero Medio Oriente.
Inoltre, argomento che la Road Map è un testo collegato alla vocazione meta-politica gramsciana. “Vocazione meta-politica” implica qui quanto segue: (1) intellettuali che rifiutino interventi politici diretti e attivismo di stampo parlamentare ed extraparlamentare e focalizzino le loro energie sul mutamento di cuori e menti e sulla “conquista”della società civile; (2) un attaccamento a quella che Robert Nozick (1974 in Zaibert, 2004, p. 113) ha argomentato essere “la fondamentale questione di filosofia politica, questione previa agli interrogativi su come lo stato dovrebbe essere organizzato”; e (3) una forma sofisticata di politica che non è allontanamento dalla politica, ma prosecuzione della “guerra” mediante strumenti “non-violenti” (Bar-On, 2013, p.3). Al fine di distanziarsi da strategie fasciste o bolsceviche di “assalto frontale allo stato”, Öcalan fa avanzare la nozione di “guerra di posizione” di Gramsci, ovvero la centralità di una politica di lotta ideologica (Bar-On, 2013, p. 3).
Gramsci (1971, p. 481) puntualizzò che la lotta politica è “enormemente piùcomplessa” della guerra perché include entrambi gli elementi, consenso e forza. Inoltre, Gramsci (1971, pp. 479-480) insisteva nel sostenere che “più grande è la misura dell’apocalittico, maggiore è il ruolo che deve essere rivestito da forze illegali”, o in senso opposto “quanto più grandi siano le forze istruite e politicamente organizzate, tanto più è necessario ‘coprire’ lo stato legale”. Gramsci (1971, p. 481) puntualizzò che vi erano “tre forme di guerra”: guerra di movimento, guerra di posizione, attività di guerra sotterranea. Egli spiega che la resistenza passiva di Gandhi è “una guerra di posizione, che in taluni momenti diviene guerra di movimento e in altri attività sotterranea” (Gramsci, 1971, p.481). Egli sottolinea anche che i boicottaggi rientrano nell’ambito delle guerre di posizione, gli attacchi sono un tipo di guerra di movimento, e la preparazione svolta in segreto di armi e truppe da combattimento è considerata come guerra sotterranea (Gramsci, 1971, p. 481).
La comprensione, da parte di Öcalan, della “guerra di posizione” è invero mutata a partire dalla sua cattura ad opera dello stato turco. Dovremmo ricordare che un novero di gruppi terroristici -dall’OLP all’IRA all’ETA- ha “in misura crescente rinunciato alla violenza e a obiettivi massimalisti alla luce della fine della Guerra Fredda, del venir meno dell’Unione Sovietica marxista-leninista e di cicli di violenza terroristica che hanno portato al rafforzamento della potenza degli stati” (Bar-On, 2009, p.257). L’appello di Öcalan per la diffusione globale della civiltà democratica, le mordenti critiche al nazionalismo di ristrette vedute e al marxismo dogmatico e il rifiuto dell’utilizzo della violenza dovrebbero essere considerate nel contesto di questi cambiamenti globali. Il processo di “conversione” di Öcalan dovrebbe essere analizzato con riferimento a forze esterne (vale a dire, la lotta armata che non ha funzionato e non consentirà ai kurdi di conseguire piena autonomia culturale o indipendenza), in combinazione con riflessioni interiori accelerate dall’esperienza della prigionia (Bar-On, 2009, p. 258). Quel che Öcalan condivide con le prospettive hegeliana e marxista è che la storia si delinea progressivamente in direzioni di contesti socio-economici o politici, più razionali e più elevati spiritualmente, su scala universale (Bar-On, 2009, p. 258).
Come Gramsci, Öcalan postula un punto di vista meno dogmatico riguardo alla storia, nel quale non vi è alcuna “fine della storia” (Fukuyama, 1989, p. 3-18) e le lotte politiche restano eternamente aperte e assoggettate a costante movimento e cambiamento. Egli anche, come Gramsci, è propositore dell’importanza della conquista della società civile, perché è lì che l’attività rivoluzionaria dovrebbe essere diretta nel mondo contemporaneo. Per Öcalan, la società civile “comprende lo strumento delle possibilità democratiche – che schiude la porta a sviluppi fin qui impossibili” (Öcalan, 2007, p. 227). È attraverso il terreno della cultura, inclusi i media, internet e il sistema educativo e la consapevolezza popolare, che Öcalan spera di condurre il popolo kurdo alla sua “terra promessa” di liberazione, in una maniera che risultava impossibile mediante la lotta armata.
L’appello di Öcalan per un cessate-il-fuoco, lanciato dalla prigione di Imrali nella primavera 2013, ha costituito il prosieguo della sua fede nelle possibilità di un radicale cambiamento attraverso la società civile e la “guerra di posizione”. Nello storico appello, Öcalan ha asserito: “Una nuova era ha inizio su di noi. Una porta si sta aprendo, da un processo di resistenza armata a uno di politica democratica” (21 marzo 2013). Egli ha enfatizzato che una “nuova mentalità” sta emergendo, fondata sulla triade di diritti democratici, libertà ed eguaglianza. Öcalan ha ribadito il suo rifiuto della violenza, nell’annuncio del cessate-il-fuoco: “Siamo giunti a un punto in cui diciamo: tacciano le armi, abbiano voce le opinioni e la politica” (21 marzo 2013).
Tuttavia, come per Gramsci, per Öcalan l’opzione di una falange armata non è completamente esclusa dal tavolo delle opzioni. Obiettivi militari e polizieschi sono stati attaccati con regolarità dal PKK nel 2012. L’utilizzo della falange armata del PKK dipenderà da se lo stato turco adempirà al proprio impegno verso i kurdi, nei termini della road map concordata, se rispetterà i diritti individuali, quali la libertà d’espressione e l’uguaglianza, e se garantirà ai kurdi diritti collettivi, che includano diritti legali, linguistici, d’istruzione e di trasmissione. Il desiderio della Turchia di unirsi all’UE l’ha condotta a cambiare molte delle proprie leggi, incluso il dispositivo sulla condanna a morte di Öcalan, come anche le sue norme sui partiti politici, sulla stampa, sulle associazioni (Alexander et al., 2008, pp. xvii). Tuttavia, con un’iniziativa che è stata vista come rivolta verso il PKK e i suoi campi terroristici in Iraq, nel 2007 il Parlamento turco ha revisionato la Legge per la Lotta al Terrorismo “ampliando sostanzialmente i crimini punibili in quanto offese terroristiche” (Alexander et al., 2008, p. xxii). Nell’ottobre 2007 il PKK annunciò un cessate-il-fuoco unilaterale, mentre era simultaneamente impegnato in attacchi terroristici contro la Turchia a partire dalla proprie basi in Iraq settentrionale. Questi attacchi del PKK condussero ad attacchi aerei turchi contro obiettivi kurdi in Iraq.
Öcalan (2008) argomenta che l’indipendenza non è una precondizione necessaria per il rispetto dei diritti culturali e linguistici dei kurdi: “Eguali diritti all’interno di una Turchia democratica” è lo slogan. Come Öcalan (2008: 39) ha scritto: “offro alla società turca una soluzione semplice. Noi chiediamo una nazione democratica. Noi non ci opponiamo a uno stato unitario e alla repubblica. Noi accettiamo la repubblica, la sua struttura unitaria e il laicismo [secolarismo]. Noi crediamo, tuttavia, che essa debba essere ridefinita come stato democratico rispettoso dei popoli, delle culture e dei diritti”. Rammentate che la “guerra di posizione” di Gramsci includeva elementi non-violenti quali i boicottaggi, mentre l’uso della forza potrebbe anche costituire un’opzione attraverso “un’attività bellica sotterranea”.
Analisi del terzo volume di scritti dal carcere: la Road Map
In questa sezione analizzo nella sua completezza la parte terza degli scritti dal carcere di Öcalan: la Road Map verso i negoziati. Argomento che la Road Map è coniugata con la vocazione meta-politica gramsciana, ma che i contenuti del documento sono proposte più radicali delle idee dell’ex leader del Partito Comunista Italiano. Come Öcalan ha puntualizzato (2007, 2011, 2012) nei suoi tre volumi di scritti carcerari, i kurdi hanno fronteggiato una duplice tragedia storica: 1) l’eredità dell’assimilazione nazionale e statuale per mano degli stati turco, iraniano, iracheno e siriano; e 2) il protratto fallimento nel risolvere la Questione Kurda in un modo che garantisse ai kurdi indipendenza, autonomia, confederalismo, o uguali diritti –civili, politici e culturali– all’interno dei quattro principali stati-nazione abitati da kurdi. L’eredità dell’assimilazione nazionale e statuale ha persino minacciato i kurdi di estinzione in Turchia, agli inizi del ventesimo secolo, e più recentemente in Iraq. In “Un problema dall’inferno”, Samantha Power (2003) esamina i principali genocidi del ventesimo secolo, includendo la poco nota campagna Al-Anfal, lanciata dal regime ba’athista di Saddam Hussein nel periodo 1986-1989 e che in base alle stime ha comportato l’uccisione di circa 180000 kurdi. Le grottesche fotografie riguardanti attacchi con gas chimici contro donne e bambini indifesi, ad Halabja, hanno prodotto choc nella comunità internazionale, ma pochi in Occidente invocarono l’azione contro il brutale regime ba’athista all’epoca, quando l’Occidente paventava la diffusione di un’altra teocrazia islamista in stile iraniano in Medio Oriente, nel contesto della guerra fra Iran e Iraq (1980-88). In Turchia, i kurdi come anche i turchi hanno pagato un prezzo gravoso. Dal 1984 al 1999, periodo dell’insurrezione del PKK, vu furono fra 31000 e 37000 morti (in maggioranza kurdi), 3000 villaggi distrutti e circa 3 milioni di sfollati interni (Gunter, 2000, p.849; 2007, pp. 166-167).
Nel leggere la Road Map si ricava una distinta sensazione che i kurdi e la Turchia sono sull’orlo di un precipizio che conduce a una storica soluzione per la Questione Kurda in Turchia. Come Öcalan scrive (2012, p. 14) nella prefazione alla Road Map, lo spirito di ottimismo ha permeato persino lo stato turco, con il Presidente Abdullah Gül che è giunto ad asserire quanto segue, nel 2009, riguardo alla Questione Kurda: “Dorà essere risolta – Non c’è altra via”. La guerra di guerriglia fra stato turco e PKK ha portato all’uccisione di molte persone innocenti. Tuttavia, invero si costruisce la pace fra ex nemici. Chi sarebbe stato in grado di immaginare gli Accordi di Oslo fra il leader dell’OLP, Yasser Arafat, e l’ex Primo Ministro israeliano Yitzhak Rabin? Chi avrebbe sognato di negoziati segreti fra lo stato turco e Abdullah Öcalan? Per molti turchi Öcalan è un terrorista e un criminale di guerra; un uomo che ha ordinato raccapriccianti attacchi dinamitardi suicidi contro civili turchi e soldati; un traditore della nazione turca. Per molti kurdi, d’altro canto, lo stato turco punta allo sterminio dei kurdi e Öcalan è un eroe perché si batte per la causa kurda.
La Road Map è un documento storico unico. Narra la storia del processo di dialogo segreto fra Öcalan e lo stato turco. Tali negoziati ebbero inizio nel 2009, ma furono interrotti a metà del 2011. Le proposte della Road Map per la soluzione del conflitto hanno poco a che fare con il marxismo o il nazionalismo del passato del PKK. Tali soluzioni certamente non minacciano il governo nazionalista, secolare e di orientamento islamista del turco Recep Tayyip Erdoğan alla stessa stregua di uno stato kurdo indipendente. Tuttavia l’interrogativo resta: la Turchia è preparata ad acconsentire alle proposte della Road Map di Öcalan per una “nazione democratica” e “una patria comune” per i Kurdi? Tali proposte più moderate –che respingono la lotta armata e il marxismo e fanno appello per uguali diritti politici, civili e culturali per i kurdi all’interno della Turchia– sono ancora troppo terrificanti per lo stato turco? Tali proposte sono inoltre problematiche per gli altri stati nella regione alle prese con un “problema kurdo”? Costituiscono una minaccia per le grandi potenze?
La Road Map è suddivisa in sei sezioni: introduzione, concetti, quadro teoretico e principi, il problema della democrazia e la soluzione di una costituzione democratica in Turchia, la Questione Kurda e le prospettive per la sua soluzione, piano d’azione, conclusioni. Il libro contiene anche utili note editoriali da parte di , organizzazione con sede a Colonia responsabile per la pubblicazione della Road Map. Infine, la prefazione alla Road Map è scritta da Immanuel Wallerstein (nato nel 1930), teorico di sistemi globali di rinomanza mondiale, che combina intuizioni del marxismo e del neo-marxismo, dello storico francese Fernand Braudel (1902-85) e della teoria della dipendenza.
La nota editoriale redatta dall’Iniziativa Internazionale rileva che le dure condizioni di detenzione di Öcalan a Imrali (egli, ad esempio, non può scrivere o ricevere lettere; non può effettuare nemmeno chiamate telefoniche, né ricevere visite, fatte salve quelle dei suoi avvocati e di fratelli e sorelle) hanno fatto guadagnare alla prigione il “soprannome” di “Guantanamo d’Europa” (Öcalan, 2012, p. 5). Ci viene anche detto che una delegazione statale turca “ha assicurato a Öcalan che Erdogan si è trovato d’accordo con il 95% della Road Map” (Öcalan, 2012, p. 7). Dopo le elezioni parlamentari del giugno 2011 il Partito della Giustizia e dello Sviluppo guidato da Erdogan (Adalet ve Kalkınma Partisi – AKP) ha conseguito il suo terzo mandato governativo, mentre il PKK stava predisponendo il proprio disarmo e Öcalan redigeva brevi protocolli volti all’istituzione di una commissione per la verità e la riconciliazione e alla creazione di una costituzione democratica (Öcalan, 2012, p. 7). Il governo turco non diede alcuna risposta scritta o verbale alle misure proposte da Öcalan, conducendo in tal modo il leader del PKK a ritirarsi dai colloqui nel luglio 2011 (Öcalan, 2012, p. 7). Lo stato turco ha riavviato le sue operazioni militari contro aree kurde (sono da annoverare accuse riguardo all’utilizzo di armi chimiche), conducendo alla perdita di ulteriori vite di civili, mentre arresti di massa hanno preso di mira membri di partiti politici kurdi, scrittori, accademici, giornalisti. In aggiunta, l’accresciuto isolamento di Öcalan, dal momento che 36 dei suoi legali sono stati arrestati e nessuno fra i suoi legali poteva fargli visita (Öcalan, 2012, p. 7). Come risultato, scrive ironicamente l’Iniziativa Internazionale in riferimento alle condizioni di prigionia di Öcalan: “Parlando in senso stretto, nessuno sa se sia ancora vivo” (Öcalan, 2012, p. 8). Le note editoriali si concludono ad ogni modo con una nota di maggior speranza, suggerendo che, quantunque “l’islamo-nazionalismo sia destinato a diventare componente intrinseca della società turca”, Öcalan “impersona la voce della ragione”; “la Road Map è ancora valida”; e s’insiste sul dato che “è la sola soluzione non-militare che sia stata proposta da qualcuno” (Öcalan, 2012, p. 8).
La prefazione di Wallerstein è un buon punto di partenza per la Road Map di Öcalan. Essa ci introduce alle principali questioni teoretiche di The Road Map, che sono più ampie della Questione Kurda. Studioso dell’economia mondiale capitalista con radici nell’Europa del 16esimo secolo e dell’emergeredi moderno sistema mondiale, Wallerstein scorge in tale sistema quattro contraddizioni: 1) la ricerca della sovranità statale; 2) il desiderio di tutti gli stati di diventare nazioni; 3) le richieste che gli stati siano democratici; e 4) le modalità con cui il capitalismo conserva il proprio equilibrio al fine di sopravvivere (Wallerstein, in Öcalan, 2012, p.10). Come Marx, Karl Kautsky (1854-1938) e Öcalan, Wallerstein è convinto che “l’azione politica avrà effetto sulla lotta in ambito mondiale riguardo a quale tipo di sistema sostituirà il sistema capitalistico mondiale ora condannato” (Wallerstein in Öcalan, 2012, p. 13). Tuttavia, prima che il sistema capitalistico mondiale decada, Wallerstein insiste nel sostenere che la soluzione della Questione Kurda in Turchia dipenderà dalla potente spinta dello stato turco per rafforzare la propria sovranità, sia all’interno che verso l’esterno; dal desiderio di molti, in Turchia, nello stato come nella società civile, di riaffermare un giacobinismo dogmatico che non riconosce il pluralismo nazionale o etnico; e dal modo in cui le lotte nel mondo intero incideranno sulla spinta kurda in favore dei diritti democratici e dell’autonomia. Sotto tale aspetto, è possibile che la crisi finanziaria del 2008-2009, Occupy Wall Street, il movimento degli Indignati in Spagna e Portogallo, le proteste popolari antigovernative in Grecia e la Primavera Araba abbiano tutte il potenziale per incidere sulla lotta kurda. Invero, le proposte di Öcalan per la soluzione della Questione Kurda riecheggiano preoccupazioni dei summenzionati dimostranti, in termini di desiderio di democrazia diretta piuttosto che rappresentativa, critica del potere sproporzionato del denaro nel processo politico, richiesta più radicale di democratizzare la società andando “oltre i precedenti progetti politici modernisti” e così mettere fine alla divisione fra governanti e governati (Gill, 2008, p.245). Mentre Gramsci e Öcalan un tempo vedevano il Partito Comunista come elemento-chiave nell’azione di lotta contro-egemonica, oggi Öcalan è un profeta di una democrazia maggiormente radicale e popolare, che sfida sia gli stati che le élites dogmatiche di sinistra. Öcalan è un propositore di “autonomia democratica”, la quale è una forma della democrazia che considera i cittadini nell’ambito della società civile come suo punto di partenza; si muove oltre le elezioni come elemento centrale per la democrazia; e sfida i rappresentanti intesi come agenti-chiave del processo democratico (ad esempio, i leader dei partiti, i politici, i funzionari statali, …).
In quanto sostenitore “dell’autonomia democratica”, Öcalan ritiene che società civile (includendovi le minoranze, i gruppi culturali, le comunità religiose, …) e forme dirette di democrazia sostituiscano élites politiche “rappresentative” quali agenti principali della democrazia e del mutamento sociale. Come Öcalan (2008, p. 32) scrisse in Guerra e Pace in Kurdistan, in riferimento alla “autonomia democratica” gli agenti “di questo tipo di autogoverno non sono autorità a base statuale”, bensì i popoli sovrani che cercano di conseguire l’autogoverno democratico in tutti gli aspetti della loro vita. Tale posizione riecheggia una tradizione democratica di lunga data, che argomenta che vi sono “diverse strade verso la democrazia”; democrazia non ricomprende elezioni meramente formali”; e la democrazia diretta è maggiormente rappresentativa ed equa, se comparata con forme “elitarie” di democrazia rappresentativa (Rosanvallon, 2008).
Ahmet Hamdi Akkaya e Joost Jongerden (2012) confermano l’orientamento di Öcalan verso la “democrazia radicale”, e argomentano che esso ha condotto a una profonda trasformazione ideologica del PKK negli anni 2000. Tali autori sostengono che il progetto per la democrazia radicale è fondato sull’idea di “politica oltre lo stato, politica oltre il partito, soggettività politica oltre la classe”. Come risultato, tale concezione della politica è in grado di minare, concepibilmente, la tradizione centralista presente nel sistema politico turco, come anche di sfidare la prospettiva statuale e dogmatica di classe della Sinistra in Turchia.
Mentre in passato l’obiettivo del PKK era una “lotta di liberazione nazionale” con la finalità di uno stato kurdo indipendente in Turchia, il suo fine oggi è un progetto di “democrazia radicale”. Democrazia radicale, sostengono Akkaya e Jongerden (2013) delinea il concetto di democrazia oltre la nazione e lo stato. In aggiunta, la democrazia radicale può essere sviluppata in tre dimensioni: la repubblica democratica (di Turchia), il confederalismo democratico (collegando i kurdi in Turchia con i kurdi presenti nel resto del Medio Oriente) e autonomia democratica (con entrambe le comunità, kurda e non kurda, che promuovono una società civile democratica oltre lo stato) (Akkaya e Jongerden, 2013). Nei suoi tentativi di superare uno sterile e dogmatico marxismo, Öcalan ha provato a pensare a prassi democratice al di fuori dello stato, del PKK (movimento o partito) e dell’attenzione focalizzata restrittivamente su una classe (Akkaya e Jongerden, 2013). Tale “democrazia radicale” non solo prova a lottare contro le istituzioni politiche esistenti e il pensiero della Vecchia Sinistra, ma offre un’alternativa al progetto neoliberale nel quale la civiltà del mercato soppianta crescentemente la democrazia. Il progetto di “democrazia radicale” non soltanto sta cambiando il PKK, ma sta anche influenzando i movimenti radicali, sociali e politici di sinistra, dai “movimenti di liberazione” dell’America Latina alle manifestazioni di protesta antiglobalizzazione in Nordamerica e in Europa (Akkaya e Jongerden, 2013).
Cengiz Gunes (2012, pp. 463-464) puntualizza che il PKK ha svolto un ruolo nei processi di democratizzazione in Turchia. L’annuncio del cessate-il-fuoco da parte del PKK nel 1999, sostiene Gunes (2012, p. 463), “ha prodotto una significativa riduzione della violenza politica nella regione. L’occasionale scoppio di violenza nel decennio scorso non è stato continuo né grave come le violenze precedenti”. Quantunque la violenza politica non sia scomparsa, fra PKK e stato turco, l’apertura democratica è stata importante nel limitare la violenza fra le due entità. “Il successo di qualsiasi iniziativa democratica per mettere fine al conflitto poggia sulla capacità della Turchia di generare un consenso in ambito nazionale per riconoscere e accogliere le richieste nazionali kurde e i diritti, come l’educazione nella lingua madre, il riconoscimento costituzionale dell’identità kurda, l’ampliamento dei diritti di trasmissione”, scrive Gunes (2012, p. 468). Egli puntualizza anche che una commissione per la verità e la riconciliazione potrebbe risultare necessaria una volta che la violenza si sia bloccata, al fine di trattare della violenza turca contro i kurdi, incluse le uccisioni extragiudiziali durante gli anni ’90 di 17500 persone, in base a stime, come anche della violenza esercitata nel colpo di stato del 1980 e, nel 1938, durante la rivolta di Dersim (2012, p. 468).
L’introduzione alla Road Map rende chiaro che democrazia e democratizzazione non sono tendenze meramente occidentali, bensì universali, “intrinseche in tutti gli esseri umani” e in tutte le società (Öcalan, 2012, p. 15). Tuttavia, in contrasto con la spinta universale per la democrazia, la Turchia è stata piagata da un “grave nazionalismo” e da “una dittatura burocratica oligarchica” che risale al periodo costituzionale nell’Impero Ottomano, 1908-1922 (Öcalan, 2012, p. 16). Öcalan formula l’accusa che in Turchia “per un secolo un’autocrazia oligarchica si è annidata nello stato” (Öcalan, 2012, p. 17). Insiste sostenendo che i processi di Ergenekon “determineranno il destino della democrazia turca” (Öcalan, 2012, p. 17). Ergenekon rappresenta uno stato all’interno dello stato, ovvero quella che Öcalan definisce “un’organizzazione clandestina, kemalista, ultranazionalista in Turchia, collegata con l’apparato militare, le forze di sicurezza, i politici e i media” (Öcalan, 2012 p. 17). Tale stato nello stato, argomenta Öcalan, è ricorso a colpi di stato e altre manovre politiche al fine di minare i diritti umani, i diritti dei kurdi, le lotte “delle classi oppresse”. Per Öcalan (2012, p. 17) il fine dello stato nello stato è stato di distruggere la democrazia e, più spietatamente, “di sradicare ogni cosa che sia correlata all’essere kurdi e al Kurdistan”.
Storicamente i kurdi erano considerati dai turchi come “turchi di montagna” (Gunter, 2000, p. 854). L’identità comunitaria kurda fu del tutto negata o denigrata, mentre l’assimilazionismo nazionalista fu in generale la regola in Turchia dagli anni ’20 agli anni ’90. Il PKK fu un prodotto delle aspre linee politiche assimilazioniste dello stato turco. Come argomenta Ertan Efegil (2011, pp. 27-28), tali indirizzi politici possono essere fatti risalire al fondatore dello stato turco, Mustafa Kemal (Atatürk), il quale perseguì una linea politica di “unità culturale” negli anni ’20, che condusse all’emergere di sollevazioni kurde, all’etichettatura dei kurdi come “separatisti etnici” e a misure militari su vasta scala per sopprimere tali ribellioni. Tale posizione è proseguita fino al 1992, allorquando il Presidente turco Turgut Özal criticò questa linea politica assimilazionista portata avanti dalle élites statali e descrisse il problema di crescente gravità come “questione” kurda e fece appello per il miglioramento delle condizioni dei kurdi in Turchia (Efegil, 2011, p. 28). L’apertura verso i kurdi fu proseguita nell’agosto 2005, in un discorso tenuto a Diyarbakır nel quale il Primo Ministro Erdoğan argomentò in favore di maggiori diritti democratici per il popolo kurdo.
Le speranze di democratizzazione in Turchia, tuttavia, sono state recentemente sostenute da potenze importanti quali gli Stati Uniti e l’Unione Europea, che scorgono i loro interessi come minacciati e sono “ora più ricettive riguardo a soluzioni democratiche” (Öcalan, 2012, p. 18). La prospettiva di Öcalan è stata corroborata da Cuma Çiçek, che argomenta che “le nuove condizioni geopolitiche”, come anche le aspirazioni regionali dell’AKP neoliberale e pro-islamico, facilitano “la conclusione del conflitto kurdo in Turchia” e la ricostruzione di relazioni fra kurdi iracheni e kurdi turchi (Çiçek, 2011, p. 15). Ad ogni modo Öcalan argomenta che la Turchia avrà bisogno di rimuovere le catene di Ergenekon e adottare una costituzione civile che garantisca i diritti fondamentali (per esempio, le libertà d’espressione e di associazione), e nel contempo di salvaguardare “gli attributi democratici, sociali e giuridici della Repubblica” (Öcalan, 2012, p. 18). Öcalan è cristallino nell’asserire che una tale costituzione sarebbe d’aiuto per reperire soluzioni per l’intera società turca e non condurrebbe a una secessione kurda, dal momento che saranno garantiti i diritti individuali e sociali dei kurdi.
Nella parte seconda Öcalan delinea i suoi concetti-chiave, i quadri teoretici e i principi, che consentirebbero presumibilmente la democratizzazione della Turchia e più in generale del Medio Oriente. Öcalan (2012, p. 19) in modo cristallino afferma che “soluzioni costituzionali” sono richieste in Turchia al fine di risolvere la Questione Kurda. Egli rileva anche che mentre la nozione di Kurdistan “ancora suscita paura”, fu tuttavia riconosciuta sia dai selgiuchidi che dagli ottomani (Öcalan, 2012, p. 19). Qualsiasi tentativo turco di negare l’uso di parole “kurdo” o “Kurdistan” condurrebbe unicamente a uno situazione senza vie d’uscita, insiste il leader del PKK.
Come Gramsci in altra epoca, Öcalan ha lasciato il mondo del marxismo dogmatico. Argomenta che la democratizzazione non è meramente “la dittatura del proletariato” o la guerra di classe, ma la protezione del discorso libero e del libero associarsi per tutti gli individui, indipendentemente dall’appartenenza di classe, dalla cultura, dalla lingua, dall’etnia o dalla fede religiosa (Öcalan, 2012, p. 20). Inoltre, mentre insiste nel dire che il problema kurdo può essere risolto all’interno del contesto di una repubblica turca secolare, Öcalan respinge altresì l’idea che su di esso si possa decidere definitivamente attraverso il progetto di stato-nazione (Öcalan, 2012, p. 20). Per Öcalan uno stato-nazione rappresenta l’omogeneizzazione, l’assimilazione e, nella versione peggiore, lo spettro del genocidio. Öcalan (2012, p. 21) sostiene insistentemente che la Turchia possa diventare persino “una nazione di nazioni”. È chiarissimo nel dire che i diritti collettivi dei kurdi o dei turchi devono essere in equilibrio con il rispetto dei diritti individuali.
Nella seconda parte Öcalan (2012, p. 28-35) delinea dieci principi per un sistema politico maggiormente democratico in Turchia: 1) nazione democratica; 2) una terra madre comune; 3) una repubblica democratica; 4) una costituzione democratica; 5) soluzione democratica; 6) principio di unità dei diritti individuali e collettivi e delle libertà; 7) indipendenza ideologica e libertà; 8) principio della storicità e del presente; 9) moralità e principio della coscienza; 10) autodifesa nella democrazia.
Una nazione democratica connota “identità culturali aperte e nazionalità flessibili”; non è forzosamente costruita da governanti e rispetta sia i cittadini che la società civile (Öcalan, 2012, p. 28). Ciò suona piuttosto simile al multiculturalismo sancito dallo stato in Canada. Öcalan è tuttavia interessato ad andare oltre la democrazia rappresentativa come correlata allo stato e ad andare verso la fioritura dell’attivismo democratico ai livelli più bassi della società civile.
Una patria comune negherebbe l’idea “fascista” d’una “cittadinanza uniforme”, mentre sarebbe “multilinguistica, multinazionale e plurireligiosa” (Öcalan, 2012, p.28). Tale posizione è ovviamente delineata la venerazione quasi religiosa del turco e della turchità all’interno della moderna e secolare repubblica turca.
Lo stato ideale per Öcalan (2012, p. 29) è una repubblica che non sia uno stato-nazione, ma piuttosto uno stato democratico. La repubblica democratica non può essere collegata all’etnicità, argomenta Öcalan. Turchità, curdità e islam sarebbero rispettati nella società civile ma non potrebbero far parte dei parametri costituzionali dello stato (Öcalan, 2012, p.29).
Una costituzione democratica proteggerebbe la società civile dalle tendenze assimilazioniste dello stato come anche “dall’enorme concentrazione di potere nello stato” (Öcalan, 2012, p. 29). Qui Öcalan focalizza l’attenzione sul potere del popolo e della società contro il potere egemonico dello stato. Egli ribadisce l’importanza della nozione di “autonomia democratica”.
Il principio della soluzione democratica proverà a democratizzare la società civile, mentre la società civile non punterà a rovesciare lo stato (Öcalan, 2012, p. 30). La soluzione democratica sgorga dalle forze della società civile piuttosto che da un congegno a guida statale. Cerca di proteggere la società civile; costituzionalmente è adibito alla salvaguardia di istituzioni democratiche; e non negherebbe l’esistenza dello stato. L’attenzione posta da Öcalan sulla società civile quale motore basilare per il mutamento storico riecheggia Gramsci ma anche Rosanvallon e altri propositori di forme più dirette di democrazia. Vi è persino una sfumatura anarchica nel pensiero del leader del PKK, con la critica del potere statale, delle burocrazie e del marxismo dogmatico, e con il desiderio di una partecipazione democratica dal basso verso l’alto.
Nessuna soluzione politica funzionerà, argomenta Öcalan, senza un adeguato equilibrio fra diritti collettivi (stato, società civile, kurdi, …) e diritti individuali. Con toni gramsciani Öcalan argomenta (2012, p. 31) che “l’egemonia ideologica” di quel che chiama “modernità capitalista” e “positivismo” deve essere superata. Sotto tale aspetto, la società civile può rivestire un ruolo-chiave nel minare la prevalente egemonia ideologica pro-statuale e pro-capitalista.
Il principio della storicità e del presente fa riferimento all’idea che la “modernità capitalista prova a distruggere la memoria umana e presenta il presente come se fosse eterno o, piuttosto, la fine del tempo” (Öcalan, 2012, p.33). Conseguentemente le soluzioni democratiche prenderanno in considerazione la società presente e la storia delle esperienze trascorse.
Il principio di moralità e coscienza racchiude l’importanza della religione e della moralità nel prendere decisioni in ambito democratico. La ragione astratta e le soluzioni amministrative semplicemente aggraveranno i problemi o, al peggio, condurranno a genocidi (Öcalan, 2012, pp. 33-34). Qui Öcalan rende indirettamente omaggio a La Dialettica dell’Illuminismo (1944), scritto di Adorno e Horkheimer (2002). La modernità era un processo dialettico consistente sia in avanzamenti culturali che in barbarie, argomentarono Adorno e Horkheimer. Per Horkheimer e Adorno, i tentativi del moderno Illuminismo di contrastare il mito con la ragione ha condotto alla “mitologia” di un mondo moderno dominato da fiducia eccessiva nella “ragione strumentale”. Sotto questa prospettiva, gli orrori dell’Olocausto possono essere interpretati come mero prosieguo del progetto di modernità, con la sua fede estrema e utopica nella “ragione strumentale” e il progresso tecnologico. Per Öcalan, la “modernità capitalista” racchiude anche, in modo contradditorio, processi talora progressivi talaltra barbarici, in cui l’orientamento conservatore e feudale dei kurdi può essere superato e in cui tuttavia le nuove strutture di dominio sono imposte attraverso la diffusione universale del capitalismo.
Infine, il principio di autodifesa nelle democrazie significa sfidare la modernità capitalista, l’industrialismo, “l’oppressione monopolista e lo sfruttamento dello stato-nazione” e la “guerra” contro l’ambiente (Öcalan, 2012, p.34-35). In futuro individui avranno bisogno di resistere al capitalismo e allo stato vivendo in “unità di autodifesa” (Öcalan, 2012, p. 35). Presumibilmente tali “unità di autodifesa” sarebbero condotte da organizzazioni della società civile piuttosto che dal PKK, al quale Öcalan ha rivolto critiche per la lotta armata, il dogmatismo e i principi socialisti ciechi verso le realtà storiche (ad esempio, la caduta dell’Unione Sovietica comunista).
Nonostante una maggiore apertura del governo turco verso la problematica kurda, non vi è stato “alcuno sviluppo positivo rilevante verso una soluzione della Questione Kurda” (Çiçek, 2011, p.15). Nel 2009 e nel 2010 lo stato turco arrestò 1500 esponenti politici kurdi, compresi sindaci, vicepresidenti, ex parlamentari e direttoti della sede centrale e di sedi locali dal Partito della Società Democratica (DTP). La Corte Costituzionale mise anche al bando il DTP per presunti legami con organizzazioni terroristiche e per aver “messo in discussione “l’indivisibile integrità” dello stato. Vi furono anche arresti di membri dell’Unione delle Comunità del Kurdistan (KCK), una “unità di autodifesa” del PKK, come anche ebbe luogo la persecuzione giudiziale di ragazzi di età ricompresa fra i 13 e i 18 anni, in tribunali per adulti, nell’ambito della legge sul controterrorismo, per aver lanciato pietre contro membri delle forze di polizia. Alcuni ragazzi sono stati condannati alla carcerazione per alcuni anni (Çiçek, 2011, p.16).
La parte terza tratta del problema della democrazia e della soluzione di una costituzione democratica. Öcalan argomenta che le moderne democrazie rappresentative, inclusa l’UE, costituiscono avanzamenti nella storia umana, ma “lo stato monopolista mantiene dal vertice il suo dominio” (Öcalan, 2012, p. 36). Le libertà individuali sono state, paradossalmente, ridotte nell’era moderna a causa di una triade formata da capitalismo, industrialismo e monopolio del potere burocratico statale. Ecco perché Öcalan insiste nel sostenere che le nuove libertà possono essere conseguite attraverso “l’autonomia democratica” delle voci della società civile.
Il problema della democrazia della Turchia deriva dall’adozione dell’Islam, insiste Öcalan. Da un lato, l’aristocrazia militare e religiosa ha ricevuto privilegi dal monopolio statale del potere. Dall’altro, i poveri nelle città e nei villaggi sono stati esclusi dal potere statale. Mentre l’Islam sunnita divenne ideologia ufficiale delle classi dominanti, pochissimi nell’ambito della società civile poterono resistere all’egemonia ideologica della dottrina sunnita.
Il moderno stato turco combina il potere ideologico delle antiche civiltà storiche (l’Islam, ad esempio) e altresì la modernità capitalista. A detta di Öcalan, lo stato turco è così divenuto “capitalista, fascista e borghese” (Öcalan, 2012, p. 39). Inoltre egli insiste nel sostenere che il Comitato d’Unione e Progresso divenne il prototipo del Partito Fascista Italiano e del Partito Nazional-Socialista Tedesco? Brutali guerre di classe e genocidi contro armeni e kurdi furono merce corrente dello stato turco. Öcalan non fornisce alcuna prova di come lo stato turco costituì un prototipo per i regimi fascista e nazista. Inoltre, mentre lo stato turco è stato storicamente monopolista e autoritario, l’asserzione di Öcalan che lo stato turco sia divenuto fascista suscita la domanda su quando ciò sia avvenuto? Se il fascismo, nella sua forma di regime, fu creato in Italia nel 1919, quando fece la sua apparizione in Turchia? E suscita altri interrogativi: la Turchia è ancora uno stato fascita? O è meramente uno stato semi-autoritario? O è una democrazia? In che modo gli storici del fascismo classificano lo stato turco, sia agli inizi del 20esimo secolo che più recentemente? Ha Öcalan una tendenza, comune agli studiosi marxisti (o ex-marxisti), a considerare tutti i regimi capitalisti e modernisti come fascisti, oscurando in tal modo le differenze fra regimi fascisti e non-fascisti, come anche fra regimi totalitari e autoritari? (Payne, 1995)
Il problema di democrazia della Turchia fu, storicamente, aggravato da Mustafa Kemal e dalla fondazione della Repubblica Turca, nonché dalla tendenza giacobina dello stato turco. Öcalan argomenta che il giacobinismo favorì l’avanzata degli interessi della borghesia, ma che si trattava di un movimento popolare che aveva tendenze dittatoriali e che contrassegnava diversi regimi, dalla moderna Turchia alla Rivoluzione Francese, e persino l’Unione Sovietica bolscevica e la Germania nazista.
Nonostante la natura autoritaria dello stato turco, Öcalan cita le opportunità perdute in riferimento al problema kurdo. Argomenta che sia Mustafa Kemal che la Grande Assemblea Nazionale Turca, rispettivamente nel 1924 e nel 1922, accettarono l’autonomia kurda. Puntualizza che l’Impero Britannico giocò un ruolo-chiave, unitamente allo stato turco, nel minare l’autonomia kurda. I britannici provarono a escludere, nella nuova Repubblica Turca guidata da Mustafa Kemal, la rappresentanza kurda, socialista e islamista; Kemal era invece un realista che accettava il nuovo patto. Dal 1950 al 2007, la Turchia fu sotto la sfera d’influenza degli Stati Uniti e della Gladio. Öcalan sta provando a conquistarsi il favore dei suoi interlocutori turchi, asserendo che a potenze straniere, piuttosto che alla Turchia, sia principalmente da imputare la storica oppressione nei confronti dei kurdi? In aggiunta, non sovrastima Öcalan i poteri delle forze straniere nel minare i desideri di autonomia e autogoverno dei kurdi?
Quando l’Unione Sovietica comunista crollò, argomenta Öcalan, “vi fu un progetto per utilizzare la Turchia quale modello per la modernizzazione della tradizione islamica” (Öcalan, 2012, p. 51). È vero che un partito islamista, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Adalet ve Kalkınma Partisi – AKP) ha governato la Turchia dal 2002 e che essa comunque conserva una tradizione secolare e repubblicana, con estesi legami con l’Occidente. La lotta del PKK non è per il socialismo o per l’indipendenza, insiste nel sostenere Öcalan, ma contro tendenze anti-democratiche dells giacobina Repubblica Turca. In aggiunta, il leader del PKK puntualizza che Mustafa Kemal ha provato a contrastare l’ispirazione del fascismo italiano nell’ambito del Partito Repubblicano del Popolo. Non è questo, ancora una volta, un tentativo di conquistari il favore dei turchi che considerano Mustafa Kemal quale eroe turco del ventesimo secolo? Quando fu catturato dalle autorità turche, Öcalan asserì sorprendentemente quanto segue: “Amo realmente la Turchia e il popolo turco. Mia madre era turca. Sinceramente, farò tutto quel che posso per essere d’aiuto” (in Gunter, 2000, p. 852). I vari scritti di Öcalan hanno insistito sulla conservazione dell’unità, dell’indipendenza e dell’integrità territoriale della Turchia. Risalendo fino al 1993, quando dichiarò un cessate-il-fuoco unilaterale, la posizione di Öcalan si è evoluta da allora: dall’esplicita separazione dei kurdi verso un rifiuto del separatismo e un’attenzione focalizzata sulla storica “fratellanza” fra kurdi e turchi.
Öcalan, tuttavia, argomenta che lo stato turco essere collocato all’interno del contesto delle maggiori potenze egemoniche: gli imperativi dell’Impero Britannico, dal 1925 al 1945, degli Stati Uniti, dal 1945 al 2010, e delle strutture capitalistiche globali (ad esempio, FMI e Banca Mondiale), unitamente alla Gladio della NATO, che Öcalan definisce come “reali governanti” della Turchia (Öcalan, 2012, p. 55). Quale risultanza delle tendenze assimilazioniste e giacobine dello stato turco e dell’influenza delle potenze egemoniche, la Turchia ha “annichilito” i membri del Partito Comunista nel periodo della Guerra Fredda (Öcalan, 2012, p. 55). Anche gli islamisti furono presi di mira cn arresti e deportazioni, ma un processo di modernizzazione islamista ha condotto alla creazione del movimento di Erbakan, nel 1969, e infine alla sua partecipazione al governo sotto la guida del Primo Ministro Necmettin Erbakan (1926-2011), nel 1996-97. Il governo di Erdoğan ha cementato la Turchia come modello di islamismo secolare in Medio Oriente. Fu dato per assunto che alla Questione Kurda si era “messo fine” dopo il periodo delle ribellioni che decorse dal 1920 al 1938, ma il PKK avviò il processo volto a evidenziare l’esistenza dei kurdi mediante metodi violenti, e in seguito con ulteriori metodi non violenti, dal 1980 al 2010 (Öcalan, 2012, pp. 56-57).
Nella quarta sezione Öcalan evidenzia le questioni cruciali che circondano il problema turco e le prospettive di soluzione della questione turca. Öcalan un tempo pensava che uno stato fosse la risposta ai mali dei kurdi, ma ora ritiene che “lo stato è la fonte maggiore di problemi” (Öcalan, 2012, p. 63). Tale posizione, ancora una volta, dovrebbe essere vista alla luce del rifiuto, da parte di Öcalan, della democrazia rappresentativa e del sostegno a una “autonomia democratica” procedente dal basso verso l’alto. In breve, lo stato assimilazionista negava l’esistenza di kurdi, mentre si ricercava protezione culturale mediante la preservazione di stili di vita kurdi, con attenzione focalizzata su agricoltura e allevamento, e il “rifugio” delle montagne (Öcalan, 2012, p. 64). In breve, la cultura kurda era preservata al di fuori dello stato, nella società civile. Egli insiste nel sostenere che i kurdi vogliono superare i periodi in cui si era molto vicini al “genocidio culturale” ad opera dello stato turco, e nel contempo vogliono diventare “amici strategici” o “partner” dei turchi (Öcalan, 2012, pp. 68-69).
Öcalan sostiene di aver appreso dallo stato turco e dalla sua carcerazione. Per Öcalan la lotta armata è identificata come “una lotta per la verità” (Öcalan, 2012, p.78). Del resto, non ha forse anche Gramsci appreso dalla prigionia, attraverso i suoi scritti e il ripensamento delle strategie finalizzate a sconfiggere il capitalismo? La “verità” che la lotta armata ha svelato non è quella che i kurdi hanno bisogno di uno stato (dal momento che un tale stato potrebbe riprodurre lo stato turco assimilazionista), ma piuttosto “l’esistenza dei kurdi” (Öcalan, 2012, p. 78). Il PKK è oggi maggiormente impegnato nel reperire soluzioni democratiche all’interno della Turchia piuttosto che interessato alla lotta armata, al conseguimento di uno stato-nazione o al socialismo. Sotto questo aspetto, Öcalan ha sopravanzato l’attaccamento di Gramsci al Partito Comunista Italiano. Tuttavia permangono interrogativi riguardo alla personalità autoritaria di Öcalan e alla repressione sessuale associata all’organizzazione. Ad esempio, Romano puntualizza che negli anni ’90 “mentre un’Assemblea Nazionale Kurda sarebbe stata d’aiuto per sviluppare istituzioni kurde autonome e la legittimazione delle richieste dei gruppi kurdi, Öcalan era amareggiato dall’idea, nel momento in cui diveniva palese che tali istituzioni non sarebbero rimaste sottoposte al suo pieno controllo” (Romano, 2008, p. 347; Marcus, 2007). “L’autonomia democratica” e le soluzioni basate sulla società civile che Öcalan propone nella Road Map minerebbero il potere dello stato turco, del PKK e di tutti i cosiddetti rappresentanti “democratici” dei Kurdi.
Tre soluzioni principali sono state proposte per la Questione Kurda: assimilazione nazionale (o annichilimento), uno stato-nazione federalista kurdo che ricmprenda Turchia, Siria, Iraq e Iran, e una soluzione di nazione democratica. Öcalan chiama all’ultima opzione indicata, nel contesto dei dieci principi evidenziati precedentemente.
Il nome che Öcalan indica per la soluzione di “autonomia democratica” è KCK. KCK è acronimo che indica l’Unione delle Comunità del Kurdistan (Koma Civaken Kurdistan), gruppo-ombrello che racchiude organizzazioni kurde democratiche presenti nella società civile. Come precisato in precedenza, gli arresti di esponenti del KCK si sono intensificati nel 2009 e nel 2010. È il KCK che, presumibilmente, prenderà il posto del PKK allorché la lotta armata non sarà più necessaria. È in questa importantissima sezione che Öcalan insiste nel sostenere, in maniera non ambigua, che la soluzione democratica significa che egli accetta “istituzioni e confini attuali della Repubblica Turca come legittimi” (Öcalan, 2012, p. 93). Egli respinge altresì l’idea di una Turchia unitaria, federale o confederale. Argomenta, invece, che “gli aspetti democratici, di uguaglianza e di libertà della cittadinanza della Repubblica Turca non debbano essere unicamente definiti nella costituzione e nelle norme, ma debbano anche essere attuati in ambito istituzionale” (Öcalan, 2012, p. 93). La soluzione deve rispettare i diritti culturali, sia individuali che collettivi, ma deve anche coinvolgere l’intera società, piuttosto che risultare da un approccio incentrato sullo stato e procedente dall’alto verso il basso. I kurdi, inoltre, dovrebbero avere il loro posto all’interno del “Popolo” o della “Nazione” di una Turchia costituzionalmente definita (Öcalan, 2012, p. 94).
Come parte della soluzione del KCK, Öcalan puntualizza che l’esercito deve essere utilizzato unicamente per far fronte a minacce esterne, piuttosto che contro i kurdi. Inoltre, il KCK può essere allargato per includervi altre comunità culturali in Turchia – Armeni, Assiri, Turcomanni – mentre una confederazione flessibile può comprendere Turchia, Siria e Iraq. La Grande Assemblea Nazionale deve assumere, nella soluzione del KCK, un ruolo-guida.
La quinta sezione delinea il piano d’azione per l’attuazione della soluzione kurda di Öcalan. È interessante che Öcalan parli contro il Governo Regionale del Kurdistan iracheno in quanto la finalità di questo è di “controllare Iraq, Siria, Iran e Turchia” (Öcalan, 2012, p. 102). Nella prima fase, Öcalan è pronto a imbrigliare i suoi combattenti del PKK al fine di pervenire a una soluzione democratica. Nella seconda fase una commissione per la verità e la riconciliazione dovrebbe essere condotta dalla Grande Assemblea Nazionale Turca. Nella terza fase, argomenta Öcalan (2012, p. 104), un ricorso alle armi non sarà necessario, i kurdi potranno far ritorno dall’esilio, gli ex-combattenti del PKK e i rifugiati potranno conseguire uno status di piena cittadinanza, nel contesto del KCK. Öcalan insiste nel sostenere che Stati Uniti, UE e ONU possono prestare assistenza alla transizione verso una soluzione democratica.
Tuttavia Öcalan (2012, p. 104) puntualizza che se vi fosse una Commissione per la Verità e la Riconciliazione, egli dovrebbe essere rilasciato. Saranno pronti i turchi, che guardano Öcalan con sospetto poiché in passato ha sostenuto la lotta armata, gli attacchi suicidi, il nazionalismo kurdo e il marxismo, per compiere un tale balzo di fede?
Nella conclusione Öcalan (2012, p. 107) dichiara che, qualora l’attuale governo del partito AKP risolvesse la Questione Kurda, “la Turchia avrebbe l’opportunità di costituire un modello” per l’intero Medio Oriente. Kurdi e palestinesi, come anche altre minoranze mediorientali, dai copti agli assiri in Iraq, giustamente domandano dove sia la loro Primavera Araba? Quei gruppi finora trascurati insistono nel sostenere che i processi di democratizzazione devono anche concedere loro uno status eguale sul piano politico. Öcalan (2012, p. 108) argomenta che una finestra di opportunità è stata aperta per risolvere la problematica kurda, allorché le operazioni della Gladio turca collegate alla NATO, agli Stati Uniti, a Israele e all’UE si sono concluse nel 2007. Qualora questa finestra sia lasciata aperta, i negoziati segreti avviati fra lo stato turco e Öcalan condurranno i kurdi fuori da una storia fatta di occupazione, assimilazione, colonialismo e invasione, in direzione della democrazia, verso l’uguaglianza e la libertà.
Conclusioni
Questo documento ha analizzato la Road Map di Abdullah Öcalan sotto una prospettiva gramsciana. Ho argomentato che la Road Map è pervasa di numerose influenze, da “autonomia democratica” e femminismo a Immanuel Wallerstein ed Hegel. Tuttavia una lettura gramsciana della Road Map ci consente di scorgere come i cambiamenti nelle mentalità e nella società civile siano il preludio a un mutamento politico rivoluzionario. Gramsci ha sottolineato il ruolo di idee egemoniche e contro-egemoniche nella società civile piuttosto che meramente quello dell’apparato repressivo statale nella conservazione delle democrazie liberali e capitaliste. Öcalan è convinto che per la prima volta nella storia il conflitto kurdo-turco possa essere risolto attraverso le discussioni e senza ricorrere alle armi. Tale posizione si è rafforzata, quale risultato della carcerazione di Öcalan nel 1999, ma ha la propria origine nel rivolgersi, da parte di Öcalan, verso “l’autonomia democratica” agli inizi degli anni ’90. La sua pretesa è che la “civiltà democratica” si stia diffondendo nel mondo intero e che ciò sarà d’aiuto ai kurdi nella loro lotta per i propri diritti.
Quel che è notevole, riguardo alla Road Map di Öcalan, è il fatto che ha presentato allo stato turco un quadro per la soluzione del “problema kurdo”. Pur con la sua difesa strenua dei palestinesi, il Primo Ministro Erdoğan non ha difeso i kurdi in simile maniera all’interno del suo Paese e potrebbe aver perduto una storica opportunità non considerando seriamente le proposte di Öcalan. Lo stato turco prosegue nel negare l’esistenza del genocidio armeno. Ciò non depone bene al fine del riconoscimento dei diritti culturali e delle minoranze da parte dello stato turco. Il recente fallimento dello stato turco nel sostenere con serietà i kurdi di Kobani (Siria) contro il genocida Stato Islamico (IS) provoca ulteriori tensioni fra kurdi e turchi. Öcalan, dall’altro lato, emerge come costruttore di pace. Questa è una notevole transizione per un uomo che una volta viveva con l’arma al fianco; un uomo che per un periodo ha attribuito valore alla tattica letale degli attacchi suicidi; un uomo che si è impegnato nella lotta armata e ha provveduto all’esecuzione di “traditori” all’interno dei propri ranghi. La prigione di Imrali è una pillola amara da inghiottire per Öcalan, ma ha forse trasformato il leonino leader del PKK in un autentico Gramsci dei nostri tempi.
L’appello di Öcalan per il cessate-il-fuoco, nella primavera del 2013, ha ulteriormente cementato la sua evoluzione dalla lotta armata verso la nonviolenza e l’importanza “dell’autonomia democratica”. Öcalan è stato impegnato a propugnare una “rinascita” del Medio Oriente, distante dallo statalismo e dall’autoritarismo, ben prima che avesse inizio in Tunisia nel dicembre 2010 la Primavera Araba. La Road Map di Öcalan offre speranza per i kurdi, per i turchi e per tutte le forze “subalterne” presenti in Medio Oriente. Öcalan è un nuovo frutto degli intellettuali organici a “forze subalterne che aiutano a organizzare i lavoratori, i contadini e i popoli indigeni”, come anche altri gruppi finora trascurati, nella società civile: dalle donne ai kurdi in Mdio Oriente (Gill, 2008, p. 182). Öcalan rappresenta una più vasta ondata di movimenti nel nuovo millennio, che Stephen Gill, studioso di Gramsci, ha definito “Principe postmoderno”, ovvero “un insieme di forze politiche progressiste in movimento” (Gill, 2008, p. 182). Tali movimenti, includenti una serie di movimenti indigeni in America Latina, Occupy Wall Street, taluni elementi nell’ambito della Primavera Araba, stanno proponendo forme maggiormente innovative di azione politica, che mettono in discussione la divisione fra governanti e governati (Gill, 2008, p. 237-248).
Mentre l’attenzione posta da Öcalan verso l’importanza della società civile riecheggia le sue proposte contenute nella Road Map, per una forma maggiormente pluralista, inclusiva e flessibile di politica, che respinga la globalizzazione neoliberale, il nazionalismo statalista, e il Partito Comunista trasforma le idee dell’eroe comunista italiano. Tale trasformazione contraddice il ritratto che Marcus (2007, p. 181) delinea di Öcalan: un uomo assorbito da stesso, lacunoso, leader spietato, determinato a togliere di mezzo qualsiasi attività “che potrebbe sottrarre la lotta kurda al suo diretto controllo”. Nonostante la sua carcerazione, Öcalan ha “singolarmente dato forma alla questione kurda all’interno della repubblica turca” (Kiel, 2011, p. 1). Tuttavia, le sue proposte democratiche radicali per un, se attuate, condurranno a una perdita di potere reale da parte di Öcalan, del PKK e dei leader e degli stati mediorientali. Nell’abbracciare “l’autonomia democratica”, dal basso verso l’alto, e nel respingere il dogmatismo del partito o dello stato, Öcalan è più rivoluzionario di Gramsci. Come ho scritto precedentemente, “la ‘conversione’ di Öcalan alla ‘civiltà democratica’ è autentica, dato che proviene da una serie di crisi, incluse quelle relative alla dismissione del marxismo-leninismo quale ideologia animatrice, dopo il 1989, alla sua ignominiosa cattura e all’intransigenza politica sia del PKK che dello stato turco, nel contesto di una guerra di guerriglia (Bar-On, 2009, p. 250). In aggiunta, la sua conversione alla democrazia radicale è basata su “acume tattico nel contesto di circostanze politiche mutate. La carcerazione ad opera dello stato ha accelerato la conversione di Öcalan, con la sua fuoriuscita dall’orbita dogmatica marxista”. (Bar-On, 2009, p. 258)
Tuttavia, una “conversione” politica coronata da successo, nel contesto di una “sacralizzazionedella politica” (Gentile, 2006), è un processo complesso che richiede maggiore ricerca. In un precedente scritto (Bar-On, 2009, 244-245), ho evidenziato numerosi prerequisiti per “conversioni” politiche vittoriose: (1) una serie di importanti crisi e il crollo (politico-istituzionale, socio-economico, ideologico, culturale, spirituale, generazionale o un invasione esterna); (2) una crisi di fede nella prevalente ideologia egemonica (vale a dire, la capacità di ispirare fiducia ed entusiasmo si dissolve nel tempo, emergono nuove circostanze in assenza del passato fervore rivoluzionario e vi è mutamento generazionale); (3) la “conversione” dell’ideologo alla nuova fede (con propaggini della vecchia ideologia che forse affiorano nel nuovo quadro ideologico); (4) spazio politico per la nuova ideologia; (5) propositori dinamici dell’ideologia capaci di attirare una massa o elementi-chiave di una elite al seguito; (6) un ambito cultural-civile che promuova le nuove idee in una sorta di “contagio mimetico”; (7) la forza di volontà di “reali credenti” devoti a qualsiasi costo; (8) coesione organizzativa che conduca l’ideologia a un nuovo apice di successo; (9) collusione o parziale collusione delle autorità istituite; e (10) una dose di quel che Machiavelli ha definito fortuna (vale a dire, buona sorte, opportunità, ovvero circostanze al di fuori del proprio controllo).
Sarebbe interessante utilizzare tale menzionato modello al fine di seguire la traccia dell’inusuale conversione di Öcalan dal marxismo dogmatico alla democrazia radicale. Una simile analisi potrebbe evidenziare l’autenticità o la non autenticità della conversione di Öcalan alla democrazia radicale; le crisi che tale conversione ha prodotto; e, infine, se tale conversione influenzerà i kurdi, i turchi e l’intera area. È anche importante notare che le conversioni politiche significano anche che la “conversione” dell’ideologo si dirige verso “una nuova fede”, con appendici della vecchia ideologia che forse affiorano nel nuovo contesto ideologico. Nel caso di Öcalan, quel che è rimasto del suo passato ideologico è il sostegno al secolarismo e all’egualitarismo, il potere del popolo di fare la storia e l’idea hegeliana che la storia si evolve, il disdegnare il capitalismo, e il bisogno di nuovi contesti politici ed economici per l’umanità.
Intervento alla conferenza “Sfidare la Modernità Capitalista II Amburgo 3-5 Aprile 2015. Tamir Bar-On è docente presso il Dipartimento Relazioni Internazionali e scienze umane, Università Tec, Monterrey, Campus Querétaro, Messico
Fonte: UIKI onlus via Rifondazione Comunista
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