di Carlo Clericetti
Hanno deluso i dati sulla crescita nel secondo trimestre, sia in Italia che in Europa. La ripresa ha già il fiatone e la strada che ha davanti appare in salita, perché la svalutazione dello yuan decisa dalla Cina avrà ripercussioni negative su tutti i paesi dell'area e su quelli produttori di materie prime, il che non è certo una buona notizia per il futuro delle nostre esportazioni. Cioè proprio il fattore che, secondo la politica economica praticata e imposta dalla Germania, dovrebbe essere quello trainante per tirarci fuori dalla crisi infinita.
Se i governi europei si sono preoccupati di questi fatti non lo hanno dato minimamente a vedere, forse perché continuano ad essere convinti che lo sfoggio di ottimismo infonda fiducia agli imprenditori, che così si mettono a investire come matti (che poi finora sia successo il contrario non li scoraggia). O forse perché a una crescita anemica ormai ci hanno fatto l'abitudine, e dunque un dato negativo in più non li smuove più di tanto.
A questo proposito un grafico pubblicato in un articolo che abbiamo già citato per altre ragioni merita di essere messo in evidenza. Confronta la crescita dal 1999 ad oggi (cioè dalla nascita dell'euro) dei paesi che hanno adottato la moneta unica e di alcuni di quelli rimasti fuori. Ed ecco cosa ne risulta.
C'è bisogno di commenti? Ora, se questa crescita asfittica fosse accompagnata da una piena occupazione, una estensione del benessere dei cittadini, una riduzione dei tassi di povertà, non avremmo nulla da obiettare. Sì dà il caso, però, che sia accaduto il contrario. La conclusione è una sola: l'Europa sta pervicacemente perseguendo un "modello di sottosviluppo".
Fonte: La Repubblica - blog dell'autore
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