di Dante Barontini
Se dovessimo cercare di prevedere le mosse del governo su Alitalia – dopo il voto e la decisione del Cda di annullare la prevista ricapitalizzazione e avviare le procedure di legge per la messa in liquidazione della compagnia – da quello che il ministro Martina ha messo in mostra durante la trasmissione condotta da Lilli Gruber su La7, ci sarebbe da disperare. L’intelligenza umana sembra infatti bandita dalle poltrone dell’esecutivo. Guardando poi alle altre dichiarazioni consegnate alla stampa da tutti i protagonisti del SI, asfaltato nel referendum tra i lavoratori, il quadro si complica un po’, ma non troppo.
Si capisce che i ministri sconfessati (Delrio, Poletti e Calenda, un trio che nessuno si augura di avere come amministratore di condominio) stanno coltivando seriamente l’ipotesi della vendetta sui lavoratori. Ossia: commissario liquidatore, sei mesi (o più) per trovare un compratore (che pretenderebbe ovviamente condizioni contrattuali e salariali peggiori di quelle già schifose attuali) e poi chiusura, licenziamenti, ammortizzatori sociali ridotti al minimo. Vietato anche solo nominare la parola “nazionalizzazione” o “intervento dello Stato”. Anche se, sempre dal governo, si ammette la necessità di un “prestito ponte” – soldi pubblici, che non rientreranno mai, ma regalati all’azienda per continuare ad operare nel frattempo.
Lo stesso Gentiloni ha sentito bisogno di ritornare sulla questione, nonostante la figuraccia doppia rimediata sul referendum (intervento ricattatorio ad urne aperte e risultato opposto a quello sperato): "Sulla questione Alitalia bisogna dire la verità, l'ho già detta prima, lo dico anche adesso: non ci sono le condizioni per una nazionalizzazione".
Solo Repubblica enfatizza oltre misura lo smarcamento di Renzi – non è diventato buono o “di sinistra”, deve semplicemente far cadere o mettere sotto pressione il governo, subito dopo le primarie – che “non esclude altre soluzioni”. Punto.
Più articolata la posizione di Confindustria, espressa da una serie di servizi su IlSole24Ore, che insiste molto sul prestito-ponte e poi vedere se si trovano altre soluzioni. Anche qui non c’è un’improvvisa svolta “buonista”, ma solo preoccupazione per uno dei soci più importanti di Confindustria, ossia Benetton. Il “padrone” degli aeroporti romani, attraverso le sue entrature istituzionali, sta facendo notare che la stragrande maggioranza del traffico aereo su Fiumicino dipende dai voli Alitalia. Un blocco della compagnia sarebbe dunque un danno economico pesante, almeno nell’immediato. Ovvio che una destinazione come Roma non resterebbe a lungo “scoperta”, e che gli slot occupati attualmente dalla compagnia verrebbero facilmente venduti ad altre. Ma ci vuole tempo: le compagnie interessate dovrebbero decidere di ampliare il proprio parco rotte, investire nei servizi di terra dedicati (check in, ecc), comprare gli slot “all’asta”, destinare personale verso l’Italia, ecc, ecc, ecc. Nel frattempo, Fiumicino languirebbe e i ricavi di mr. Benetton, anche.
Sì, va bene, direte voi… ma Martina che c’entra? C’entra come “cultura di governo”, ovvero come pensiero comune di questo governo. A chi gli chiedeva perché escludere la nazionalizzazione (lo Stato francese detiene tuttora il 16% dell’azionariato di Air France-Klm, controllando di fatto a compagnia, per esempio), ha risposto con la più suicida delle battute: “ma allora dovremmo farlo per tutte le aziende che chiudono…”.
Straordinario, per un politico che fin lì aveva chiuso ogni discussione spiegando che a lui piace “trovare soluzioni concrete, non facili slogan”. Anche se poi, spiegando il ruolo svolto dal governo nella “trattativa” poi bocciata dai lavoratori, non era andato al di là del “mettere intorno allo stesso tavolo azienda e sindacati”.
Diciamo la verità. Se il ruolo di un governo fosse davvero soltanto questo, basterebbe assumere un centralinista, un portiere d’albergo e un cameriere, indispensabili per dare l’appuntamento, la sede e un minimo di confort durante la riunione. Governare è un altro mestiere.
Quello che Martina e il resto dei ministri non dicono è che questo svilimento del ruolo dipende dall’appartenenza subordinata all’Unione Europea, ad un sistema di trattati ordoliberisti – di impronta teutonica – che vieta agli Stati di occuparsi di economia reale. Un modo di affrontare la crisi che – come spiega Guido Salerno Aletta, editorialista di Milano Finanza, in un'analisi sulle elezioni francesi – ha portato ad “anni di politiche economiche insensate, nel disperato tentativo di tenere alte le Borse drenando verso di esse tutto il risparmio, senza dare fiato all’economia reale. Con i debiti pubblici che succhiano risorse tributarie, attraverso il saldo positivo del risparmio pubblico”. E che, se sarà proseguito ancora per qualche tempo, disegna un futuro mortifero: “Non aver voluto fare i conti con le radici profonde della crisi mondiale ed europea, che deriva dalla globalizzazione violenta, dalla caduta delle barriere commerciali, dalla competizione tra sistemi sociali dotati di alte protezioni dei lavoratori con altri cannibaleschi, e dagli squilibri commerciali e nella accumulazione, sta provocando l’implosione del sistema: prima dei partiti tradizionali, ora dei sistemi politici ed in prospettiva delle stesse istituzioni”.
Ecco, di fronte a un panorama fatto di imprese che chiudono, delocalizzano, fuggono, licenziano, creando un deserto popolato di disoccupati di ogni età, un governo appena appena “normale” – anche in ambito capitalistico – è obbligato a “cercare soluzioni concrete” intervenendo direttamente. Nazionalizzando le imprese, tutte le imprese che rischiano la chiusura, in modo da restituire loro una funzionalità economica. Producendo ricchezza, altrimenti non si può neanche rastrellare tasse e distribuire reddito.
E il panorama italiano, da anni, è fatto di chiusure e vendite, anche in settori strategici. L’elenco è sconfinato, dalla Fiat “americanizzata” all’Ilva, dalla Lucchini ad Almaviva, dall’Alitalia ai marchi del “lusso”. A chi serve un governo – uno Stato – che assiste senza muovere un dito o che al massimo muove la polizia quando la gente, alla disperazione, protesta?
Di sicuro non a noi, non ai lavoratori e ai disoccupati o “disoccupandi” di questo paese.
Ringraziamo dunque volentieri il ministro Martina di aver fatto vedere di che pasta è fatto questo club di “amministratori di condominio da evitare con cura” che si ostina a farsi chiamare “governo”.
Fonte: contropiano.org
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