di Sergio Farris
Lunedì si celebra il 1° Maggio, la festa dei lavoratori. Mai, come in questo periodo di incertezza politica, è necessario scegliere da che parte schierarsi. L'INPS conferma che, indebolite su richiesta del capitale le tutele dei lavoratori, aumentano i licenziamenti. Nel contempo aumenta il precariato e diminuiscono le assunzioni stabili (Osservatorio sul precariato, 27/04/2017). Il diritto costituzionale al percepimento di una retribuzione comunque idonea a garantire un'esistenza libera e dignitosa, si fa sempre più flebile. Sette milioni e 209mila persone in Italia vivono in stato di grave deprivazione materiale (ISTAT, 19/04/2017).
Una volta di più, il sistema capitalistico dimostra di essere un'entità le cui esigenze risultano prioritarie rispetto al diritto degli individui di vivere in modo autonomo. Gli individui sono solo appendici funzionali alla finalità del sistema, quella di accrescere una quantità iniziale di denaro immessa in esso dagli 'investiori'. Come insegnò Marx, le persone credono di lavorare per l'appagamento delle proprie necessità e per essere in grado di accedere ai beni associati a una vita confortevole. All'interno del sistema capitalista, in realtà, gli individui lavorano per la preservazione del sistema stesso e per la protrazione delle condizioni atte a consentire la riproducibilità del capitale. Coloro che lavorano sono soltanto ingranaggi di un apparato il cui funzionamento deve prevalere rispetto all'esistenza umana. Ogni individuo è, a sua volta, un mercificato fattore di produzione che si trova coercitivamente innestato in un sistema che gli è estraneo. Come ebbe modo di scrivere Hegel: “le attività degli individui nel mondo modificano sia il mondo sia le loro stesse identità”.
Durante l'epopea del neoliberismo, molti si erano spinti ad affermare che, oltre al superamento delle fluttuazioni economiche (l'estinzione delle crisi), le rampanti tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni avrebbero avuto il pregio di archiviare, nel letamaio della storia, la categoria concettuale 'marxiana' dell'alienazione. Il rapporto di lavoro non sarebbe più stato riducibile alla fredda interazione fra l'uomo e la macchina, il cui prodotto risultava del tutto avulso rispetto all'opera creatrice del primo. Ma i neoliberisti hanno avuto troppa premura di celebrare 'la fine della storia'. Le politiche di liberalizzazione e di deregolamentazione (ovvero l'imperativo di lasciar fare al mercato) sono sfociate nella 'Grande Recessione'. E nonostante l'avvento del lavoro cognitivo che ha accompagnato, almeno nei paesi di più antica industrializzazione, un intenso calo quantitativo del lavoro 'manuale', la parziale partecipazione attiva dei lavoratori al 'prodotto', è stata accompagnata da precarietà diffusa e dal calo delle retribuzioni in molti settori. E' cambiata la forma ma non è cambiata la sostanza.
Tornando a Marx: oggi, più che mai, i lavoratori devono essere capaci di vedere che gli interessi del sistema capitalista non coincidono con i propri.
E, aggiungiamo, in una fase di messa in discussione del capitalismo nella sua forma attuale, i lavoratori devono essere capaci di resistere alle sirene delle 'nuove' destre. Non deve ingannare la promessa di una protezione dalla globalizzazione liberista in cambio del sacrificio della democrazia. Democrazia e lavoro dignitoso sono consustanziali. La linea di demarcazione resta quella fra capitale e lavoro, laddove, per le 'nuove' destre, la linea di demarcazione è l'identità nazionale, in costanza se non addirittura con un ulteriore sbilanciamento dei rapporti economici a favore dell'impresa capitalista.
L'orizzonte di lungo periodo dei lavoratori deve continuare a prevedere il sovvertimento dei rapporti di produzione che contrassegnano il capitalismo in qualunque forma esso si presenti o si riorganizzi, ovvero il superamento della sua immanenza.
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