di Carlo Clericetti
Marine Le Pen pensava a un referendum sull’euro, e queste elezioni presidenziali ne sono state una sorta di surrogato. Il fronte critico con l’Europa ha preso circa il 45% (il 21,5 di Le Pen più il 19,6 di Melenchon, più qualcos’altro dei sovranisti), gli altri una netta maggioranza. Il risultato finale, quello che si saprà tra due settimane, dopo il ballottaggio, appare a questo punto scontato: se pure tutti coloro che hanno votato il candidato di sinistra convergessero sulla leader del Front National – cosa improbabile – e si aggiungesse quel 5% circa di altri partitini, la destra europeista resterebbe comunque in grande vantaggio. Un risultato a sorpresa tipo Brexit sembra al di là delle ipotesi plausibili.
Tre dei candidati a questa prova elettorale provenivano dal Partito socialista francese. Hamon, il candidato ufficiale del partito; Macron (ex ministro dell’Economia nel governo Valls) che ne è uscito l’anno scorso; e Melenchon che l’ha abbandonato già da molti anni. Niente meglio di questo fatto illustra la deriva di quello che fu il partito della sinistra riformatrice e che oggi va ad aggiungersi alla lunga lista dei partiti socialisti che hanno imboccato la truffaldina “terza via”, la via del cedimento al liberismo che porta inevitabilmente al suicidio, come questo risultato prova ancora una volta. Melenchon è uscito quando è apparso chiaro che il Psf aveva scelto quell’orientamento; Macron – uomo di destra già quando fu scelto come ministro – ha abbandonato la nave non per dissensi ideologici (come prova l’immediato appoggio offertogli ora da Hollande), ma perché aveva capito che sarebbe miseramente naufragata. Hamon, che quando a sorpresa vinse le primarie fu definito “radicale”, è un Bersani d’oltralpe: i suoi propositi progressisti non poggiano su una analisi dell’errore storico compiuto dalla ex sinistra quando ha aderito all’idelogia di quelli che fino ad allora erano stati considerati avversari politici. Troppo tardi e troppo poco, hanno sentenziato gli elettori: il candidato del partito che nella scorsa tornata ha conquistato la presidenza della Repubblica ha ottenuto stavolta poco più del 6%, 2.300.000 elettori su 33 milioni di votanti.
Le cartine con cui Repubblica ha proposto un confronto visivo sulla conquista dei distretti elettorali cinque anni fa e oggi sono impressionanti: l’arancio che segnala i collegi attribuiti ai socialisti nel 2012 è completamente scomparso, le tre sparute macchie rosse nella cartina del 2017 sono di Melenchon. Non molto meglio è andata ai gollisti di Fillon (blu), che tengono in soli 5 collegi: hanno ceduto quasi dappertutto al Front National (viola), che però ha dilagato anche in zone che prima erano arancio. Tutto il resto è di Macron (rosa): la Francia ha votato quasi unanimemente a destra, dividendosi solo tra europeisti e sovranisti. In realtà la sinistra-sinistra, grazie al successo di Melenchon a cui si possono sommare i voti di formazioni minori, sfiora un quarto dell’elettorato, ma con il sistema maggioritario di collegio rischia, alle prossime legislative di giugno, di ottenere un bottino di deputati assai magro.
Nella storia si verificano a volte eventi improbabili. La vittoria di Melenchon, a differenza di quella di Trump e della Brexit – per cui si erano manifestate condizioni che le rendevano possibili – sarebbe stato uno di questi. Se ci fosse stata, la via della riforma dell’Europa sarebbe diventata praticabile. Era questo, giova ricordarlo, il “Piano A” del suo partito, mentre la rottura era solo il “Piano B”, da mettere in atto solo se e dopo che una trattativa per cambiare le regole e la politica dell’Unione fosse fallita. E’ bene ricordarlo a chi definisce “anti-europeiste” queste posizioni, che sono invece contrarie solo a “questa” Europa.
Ma il miracolo non c’è stato, e la possibilità di una riforma dell’Europa diventa se possibile ancor più irrealistica. Questo probabilmente darà più forza a una delle due tendenze che si confrontano nella sinistra (quella vera) europea, ossia quella che si pone come obiettivo strategico un’uscita concordata dall’euro, una volta verificato che non ci sono le condizioni per cambiare i Trattati. E’ la sinistra del “Plan B”, a cui aderisce appunto Melenchon e rappresentata in Italia da Stefano Fassina di Sinistra italiana. Si è già incontrata quattro volte, l’ultima a Roma poco prima del vertice europeo per i 50 anni dell’Unione. L’altra tendenza fa capo invece a Yanis Varoufakis (“Diem25”), esclude un’uscita dall’euro o dall’Unione e propugna la disobbedienza alle regole europee. In Italia appare più vicino a queste posizioni il segretario di Si, Nicola Fratoianni.
La probabile vittoria di Macron, insomma, rafforza l’attuale linea politica europea, e infatti tutti gli altri leader, Merkel in testa, si sono affrettati a congratularsi con il vincitore del primo turno. Ciò significa che l’Europa proseguirà nella sua linea autodistruttiva, e che le (ex) sinistre che l’appoggeranno si auto-distruggeranno ancora più rapidamente. Ci sarà una progressiva crescita dell’instabilità politica, la cui prossima manifestazione saranno proprio le prossime elezionii italiane. Quanto a Macron, si può arrischiare una scommessa: a meno di cambiamenti importanti, che oggi non sono alle viste, è probabile che conquisti la presidenza francese, ma è altrettanto probabile che non gli riuscirà un secondo mandato.
Fonte: Soldi e Potere
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