La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 25 aprile 2017

Cambiamo la ricetta dell’economia. Intervista a Zaloa Pérez

Intervista a Zaloa Pérez di José Antonio Cano
È possibile una economia sociale e solidale che non sia femminista? E perché?
"Il confronto con il patriarcato è un aspetto essenziale della costruzione di proposte sociali, economiche e politiche alternative a quelle attuali e la situazione di diseguaglianza delle donne deve, anche al giorno d’oggi, essere riconosciuta, denunciata e affrontata. Per noi, è evidente che l’Economia Sociale e Solidale – ESS – deve contribuire al progetto femminista di costruzione di società che non siano né sessiste né patriarcali poiché non si avrà una proposta alternativa che si costruisca senza trasformare le relazioni di potere e di diseguaglianza tra donne e uomini, e perché la miglior ricetta per rompere con la logica capitalista passa attraverso il recupero dell’importanza dei corpi, degli affetti e degli oggetti delle nostre cure."
Tutti i progetti di economia solidale o sociale rispettano i principi dell’economia femminista?
"L’Economia Femminista – EF – offre al dibattito della ESS delle dimensioni che sono inerenti al sistema capitalista e che riproduciamo nei nostri spazi alternativi, come, in particolare, la divisione sessuale del lavoro e la separazione tra produzione e riproduzione. Nella maggior parte delle organizzazioni possiamo vedere chiaramente questa divisione sessuale del lavoro e la diversa valorizzazione dei compiti svolti in base a questo schema. Vediamo anche come si rendono invisibili i compiti riproduttivi, che da un lato, rendono sostenibili le nostre cause, ma che senza dubbio non hanno alcuno spazio nei nostri discorsi e non diventano una categoria politica. Inoltre, nell’ambito delle persone di cui abbiamo cura e degli usi del tempo persiste una profonda ingiustizia nei confronti delle donne, che assume la sua massima espressione nella tripla giornata che affrontiamo quotidianamente: militanza, lavoro di riproduzione e lavoro retribuito."
Che cosa manca e che passi dobbiamo intraprendere?
"Il dibattito è già sulla tavola, però non è facile da condurre, perché dobbiamo trasformare non solo ciò che facciamo e come lo facciamo, ma dobbiamo anche cambiare noi stesse. Con l’occasione dell’8 Marzo dobbiamo elaborare delle proposte che permettano di avanzare su questo percorso. Cominciando, intanto, a generare una coscienza critica nelle nostre organizzazioni, rivedendo il concetto stesso della egemonia maschile che esiste anche nel nostro movimento e richiede anche una revisione dei privilegi di genere. Dobbiamo guardare al nostro interno per individuare dove sono le disuguaglianze e per cominciare ad eliminarle , trasformando i processi lavorativi e rivedendo la cultura organizzativa. Dobbiamo anche mettere sul tavolo il dibattito sui salari, fare attenzione al linguaggio e alle immagini o produrre dei protocolli di comportamento che impediscano la violenza maschile."
E, al contrario, che cosa può apportare l’economia solidale al femminismo?
"La ESS può offrire uno spazio di pratica economica alternativa, un laboratorio nel quale sperimentare nuove forme del fare, che abbiano la potenzialità di favorire l’accesso delle donne a lavori remunerati e degni, forme di organizzazione meno gerarchica e più flessibili nella organizzazione del lavoro. Tuttavia, è evidente, che se non trasformiamo le nostre strutture, che pure sono molto più orizzontali, ma che si sostengono ancora all’interno di relazioni eteropatriarcali e generazionali e se non interveniamo anche nella sfera del privato assumendoci le nostre responsabilità affinché la vita possa proseguire, tutte queste potenzialità possono trasformarsi in una trappola per le donne."
È possibile il femminismo senza un cambiamento del modello economico?
"Dobbiamo partire dal fatto che non esiste un unico femminismo e che non possiamo parlare di una sola proposta femminista. Ciò detto, la ESS e la EF possono condividere la riformulazione dell’economia in modo che possa collocare le persone e la qualità della loro vita al centro, e la EF, in collaborazione con l’ecologia, svolge un ruolo pioneristico nel proporre la sostenibilità della vita come nuovo paradigma del pensiero economico della trasformazione. Uno slogan femminista degli anni più recenti è stato: ”non chiediamo una fetta della torta, ma vogliamo cambiare la ricetta” In questa prospettiva il cambiamento del modello economico non è solo necessario ma è anche urgente."
Quest’anno l’incontro “Idearia” di Cordoba è dedicato all’economia femminista, e uno dei suoi aspetti riguarda la costruzione di nuovi immaginari per la vita. Che significa quest’ultimo obiettivo? Come possiamo raggiungerlo?
"Lo sviluppo capitalistico e il pensiero neoliberista sono riusciti a togliere valore alla stessa vita. Abbiamo una grande necessità di immaginare altre forme di agire che sradichino queste visioni collettive costruite dal capitalismo e dal patriarcato onde permettere che la vita si riproduca e sia trattata con ogni cura. Credo che il difficile non sia riuscire a immaginare come sarebbe una società non androcentrica e non patriarcale, ciò che è complicato è pensare in termini di progetti concreti e anche mettere in discussione l’egemonia di questi discorsi per i quali ha valore soltanto quella attività che sia traducibile in termini di risultati materiali."
Com’è un consumo critico femminista? In quali spazi si può costruire?
"Si realizza a partire da un atteggiamento critico verso il sistema capitalista eteropatriarcale e da alcuni valori che possono contrastare l’egemonia, e ciò comporta che la nostra è anche una battaglia culturale. Deve essere realizzata in modo cosciente, tenendo presente le conseguenze dei nostri atti, informandoci su cosa consumiamo e prendendo le distanze dall’idea di un benessere legato al consumo. La possibilità di limitarlo, di impegnarsi a consumare beni e servizi prodotti in economie di trasformazione e di contribuire al cambiamento del resto degli attori economici attraverso azioni come il boicottaggio, da anche una dimensione di trasformazione. Se inoltre non è un atto isolato, e invece è una iniziativa di massa e possiamo incorporare la dimensione collettiva (consumo in forme cooperative o associative), il potenziale politico di questo consumo si moltiplica."
Come possono le imprese rispettare dei valori di economia sociale e solidale convivendo con un modello di economia capitalista di mercato?
"Si deve tener conto del fatto che il punto di partenza per la costruzione di una economia alternativa è sempre in termini di reazione. È molto difficile costruire qualcosa che non prenda come riferimento i mercati dell’attuale sistema socioeconomico. La proposta dovrebbe essere quella di non attribuire più una posizione centrale ai mercati capitalistici patriarcali e di porre invece al centro i processi che rendono possibile la sostenibilità della vita, però questa ipotesi prevede cose molto differenti a seconda di quali sono gli spazi nei quali si effettua il tentativo, in particolare quando si tratta di spazi che intendono diventare una via per “guadagnarsi la vita”."
Come si entra in contatto con persone estranee al mondo della economa solidale e in che modo si possono si possono sensibilizzare sulla necessità di un nuovo modello di consumo?
"Costruendo una cittadinanza attiva, critica, e trasformatrice che si colleghi al movimento dell’economia solidale per la trasformazione, attraverso il suo lavoro, remunerato, volontario o militante, o del suo consumo. Possiamo parlare di una strategia di circoli concentrici, di una sensibilizzazione e un coinvolgimento delle persone più vicine al movimento, affinché esse, a loro volta, comincino a contagiare i rispettivi circoli più vicini… è un po’ l’immagine degli strati della cipolla, ma lavorando dall’interno del movimento verso l’esterno."
L’economia solidale si è diffusa nei cosiddetti “Comuni del Cambiamento”, è più facile partire dal locale?
"Storicamente in molti municipi hanno cominciato a svilupparsi esperienze di sviluppo locale, di Acquisti Pubblici Socialmente Responsabili, di sostegno a reti dell’economia solidale , ecc. Attualmente si sono collegati i cosiddetti Comuni del Cambiamento, che dispongono nelle loro strutture amministrative di persone che provengono da ambienti che sono in relazione con l’economia solidale e che quindi hanno una migliore conoscenza dei loro temi. La scala locale è quella più adatta e può costituire il punto di avvio per processi di trasformazione di livelli superiori."
È necessario introdurre l’economia solidale nell’agenda politica nazionale?
"Se stiamo parlando di un cambiamento di modello è evidente che la scala nazionale come pure quella internazionale sono importanti. Abbiamo esperienze latinoamericane di inserimento della ESS in testi legislativi e costituzionali e anche esperienze di istituzionalizzazione della ESS in Europa, casi di decostruzione di politiche pubbliche tra movimenti sociali, sindacali, ESS e Stato, ecc. che stanno contribuendo in vari modi a promuovere la ESS e che possono favorire un cambiamento di paradigma. Come dice Boaventura de Sousa Santos “le esperienze di economia solidale sono abbastanza utopiche da sfidare la realtà esistente, ma sono anche abbastanza reali da non poter essere eliminate facilmente”."

Fonte: comune-info.net 

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