di Giacomo Russo Spena
Quel che era un sogno è diventato un incubo. Nessuno osa più difendere l’attuale architettura dell’Europa. Eccoli i numeri della vergogna: 120 milioni di persone vivono in condizioni di povertà, 50 milioni quelle che soffrono privazione materiale e poi i continui tagli draconiani a spesa sociale e sanitaria mentre aumentano disoccupazione, giovanile e non, e disuguaglianze. La crescita economica? Un miraggio. Siamo nell’era della post democrazia stretti, sempre più, dalle tenaglie dell’austerity e, come reazione, dal populismo xenofobo in salsa lepeniana. Lo dimostrano, per ultimo, le elezioni presidenziali francesi. L’Ue ha imboccato un vicolo cieco tanto che per il filosofo Etienne Balibar l’Europa di oggi “è morta come progetto politico, a meno che non riesca a rifondarsi su nuove basi”. Ma perché, e come, siamo arrivati a questo punto?
Adriano Cutraro, Federico Greco, Mirko Melchiorre, tre giovani filmmaker, ci aiutano a capirlo tramite il loro Piigs, una pellicola di 75min – in uscita nelle sale cinematografiche il prossimo 27 aprile – che ha il pregio di illustrare tramite interviste, ricostruzioni storiche e dati, narrati dalla voce fuori campo dell’attore Claudio Santamaria, i motivi del naufragio europeo. Le politiche di austerity vengono messe sul banco degli imputati.
I tre autori nel loro lavoro fanno parlare esperti ed economisti del calibro di Noam Chomsky, Yanis Varoufakis, Erri De Luca, Vladimiro Giacché, Federico Rampini, Stephanie Kelton (economista capo del budget del senato degli Stati Uniti e consulente economico di Bernie Sanders), Warren Mosler (insider finanziario, esperto di sistemi monetari), Paul De Grauwe (London School of Economics) ed altri. Dialoghi utili per far luce sui danni dell’austerity, per un pubblico che in larga parte soffre di analfabetismo economico.
Il sottotitolo del docufilm – girato in 6 anni e reso possibile grazie ad un progetto di crowdfunding – potrebbe essere “la crisi economica spiegata agli italiani”. Sì, perché il loro Piigs svolge, in primis, una funzione pedagogica, per quanto i tre registi si scherniscono definendosi semplicemente indagatori e generatori di dubbi: “L’impreparazione in campo economico non è un problema solo italiano, forse da noi può essere più accentuato, altrimenti non sarebbe giustificata la passività con la quale gran parte dei governi e delle popolazioni hanno accettato l’imposizione di regole che stanno smantellando diritti sacri e conquistati in decenni di lotte”.
Di chi la colpa? Il problema sarebbe culturale e generazionale e, in questo, grandi responsabilità le ha chi avrebbe dovuto formare le coscienze critiche delle persone e quindi, scuole, università, tv, cinema e organi d’informazione, “basti pensare al caso italiano dove per vent’anni si è solo parlato di Berlusconi e di corruzione ma nessuno ha mai sentito parlare di cosa fosse il trattato di Maastricht, di Lisbona, il Fiscal Compact e di quanto questi avrebbero avuto un impatto sulle vite di tutti noi”.
Così un apparato di super ricchi ha imposto il proprio dominio su finanza, società e media. Al motto di There is no alternative, la Troika ha ordinato riforme strutturali e misure economiche per risollevare le sorti dei cosiddetti Piigs (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna). Paesi in crisi considerati “maiali” per l’alto tasso di corruzione, sprechi ed indolenza: “In fondo la crisi economica se la sono meritata”, il pensiero in voga a Bruxelles. Il documentario ricostruisce come le Istituzioni abbiano accentrato poteri e commissariato gli Stati in questione.
La Grecia è stata, per prima, utilizzata come cavia o, meglio, laboratorio delle politiche del rigore palesatesi in smantellamento del welfare, distruzione del pubblico, tagli, privatizzazioni e compressioni salariali.
Una “cura da cavallo” in nome dei conti in regola, eppure, oltre agli immani disastri sociali, anche i numeri non quadrano. Dopo 5 anni di austerity, e prima della vittoria di Syriza, il tasso di disoccupazione era al 26%, quello giovanile quasi al 60, le famiglie avevano perso il 40% del potere d’acquisto e il rapporto tra debito e Pil altissimo, vicino al 170%. Mentre i tossicodipendenti erano aumentati del 300%, raddoppiati i suicidi e sanità e istruzione erano diventati un lusso per pochi greci. Un disastro economico e sociale, ben documentato in Piigs.
Le tecnica di lavoro del docufilm sembra avvicinarsi a quella di Michael Moore anche se i tre filmmaker confessano di non essersi ispirati a lui: “Piigs è cresciuto molto in montaggio, come è normale che sia per un documentario, e la svolta è arrivata quando tutti e tre abbiamo visto La grande scommessa, probabilmente uno dei film più importanti del decennio, passato sostanzialmente sotto silenzio in Italia: ‘Allora è possibile raccontare con leggerezza e ritmo cose complicate come l’economia!’, ci siamo detti. La parte sana di Hollywood stava tentando la nostra stessa operazione: mentre loro si concentravano sulle loro ferite (Lehman Brothers, 2008), noi stavamo analizzando le nostre come l’ingresso nell’Eurozona, la firma dei trattati, l’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione, l’accettazione del commissariamento italiano da parte della Troika attraverso Monti, Letta e Renzi”.
A parte la Grecia, anche in Europa la situazione è peggiorata dal 2007 ad oggi: ci sono 7 milioni di disoccupati in più, la riduzione del debito pubblico è fallita mentre il debito pubblico è aumentato di 30 punti, da 65 a 95, in rapporto al Pil. Le misure di austerity hanno aggravato la situazione e generato profonde ricadute sociali.
Eppure si continua su questo solco nonostante i conclamati danni. “Le conseguenze dell’austerity sono accettabili per chi le decide – spiega nel docufilm Noam Chomsky – una di queste conseguenze è indebolire il mondo del lavoro, smantellare lo stato sociale e tutti quei contributi socialdemocratici che l’Europa ha regalato alla civiltà moderna dopo la Seconda Guerra mondiale”. C’è chi si arricchisce con l’austerity, accumula ricchezze e potere come segnala l’ultimo rapporto di Oxfam sulle diseguaglianze dove si evince che otto super paperoni detengono la stessa ricchezza netta (pari a 426 miliardi di dollari!) di metà della popolazione più povera del mondo, vale a dire 3,6 miliardi di persone.
“Se in una stanza ci sono 100 cani ma solo 95 ossi, come faranno i 5 cani che rimangono senza osso? Questo diventa un problema macroeconomico se rapportato alla società attuale”, affermano i tre registi che in Piigs raccontano l’esperienza di una cooperativa sociale a rischio chiusura per i tagli imposti dal Patto di Stabilità: “Eravamo alla ricerca di una storia simbolica che avesse in dote quegli elementi che ci consentissero di renderla universale. Un giorno scopriamo per caso la cooperativa sociale Il Pungiglione, che a causa dei tagli al welfare rischia di chiudere, lasciando a casa 100 lavoratori e senza assistenza più 150 ragazzi disabili. Progressivamente ci siamo resi conto che questa realtà, oltre a essere rappresentativa delle gravi conseguenze delle politiche di austerity sul tessuto sociale, ha tutte quelle peculiarità in grado di rendere una storia di provincia la storia di tutti”.
Comuni senza fondi, servizi tagliati, azzeramenti degli stanziamenti per il sociale e dietro l’angolo incombe la guerra tra poveri. L’ultimo contro il penultimo. L’autoctono impoverito contro il migrante. Piigs, individuando ai piani alti i responsabili della crisi, funge da antidoto all’emergere di nuovi razzismi.
Le politiche d’austerity, intanto, proseguono camminando sulle macerie. L’Europa sembra governata da ayatollah del rigore, fondamentalisti che hanno tra i padri teorici l’economista americano Milton Friedman: “Il neoliberismo – affermano i filmmaker - considera lo Stato un ostacolo, un intralcio al libero mercato e all’iniziativa privata, pertanto è un nemico da arginare. Il cambio di rotta non è una questione tecnica ma politica, perché, come abbiamo dimostrato, i dogmi economici che ci sono stati imposti fino ad ora non hanno alcun fondamento scientifico”.
Nel docufilm si ricostruisce, sempre tramite interviste e con la narrazione di Santamaria, la storia del vincolo del 3% del rapporto deficit/Pil. Ci sarebbe da ridere, se non fosse per i disastri sociali causati. Tale regola sarebbe stata stabilita dal governo Mitterrand, in Francia, nel 1981 per mettere un tetto alla spesa pubblica. Si decise, casualmente, di rapportare il deficit al Pil, senza alcuna teoria economica dietro, ma con una semplice proporzione. Dieci anni dopo, in Europa il francese Trichet impose questa regola transalpina, come un dogma.
“Abbiamo voglia di raccontare queste cose agli italiani, devono sapere chi li comanda e come”, affermano Adriano Cutraro, Federico Greco, Mirko Melchiorre i quali – oltre a vedere il loro film nelle sale cinematografiche – stanno avendo inviti per un tour nazionale: “La cosa che più ci rende felici è l’incredibile richiesta di proiezioni da ogni parte d’Italia, ci chiamano insegnanti, attivisti, blogger, giornalisti, ma anche semplici cittadini, mossi dal desiderio di saperne di più, di approfondire”. Del resto, come ammettono loro stessi, questa è la missione principale del film: spiegare quel che troppo spesso è incomprensibile al cittadino comune, poco avvezzo all’economia. Forse sarebbe bene non lasciare a qualcun’altro il potere di decidere sulle nostre sorti.
Fonte: Micromega-online
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