di Shady Hamadi
“Ritornare a Gramsci?”. E’ stato questo il titolo di un seminario che si è svolto a Tunisi, nel marzo scorso, in cui numerosi ricercatori e accademici tunisini e italiani, come le professoresse Alessandra Marchi e Patrizia Manduchi, si sono dati appuntamento per discutere intorno al pensiero dell’intellettuale italiano e la sua attualità rispetto alle realtà arabe, con particolare riferimento a quella tunisina. Se in Italia Gramsci – scomparso il 27 aprile del 1937 – pare per certi versi in declino, nella sponda sud del Mediterranneo l’interesse è, invece, crescente. Lo dimostrano le recenti pubblicazione nel mondo arabo di vari libri che ne analizzano il pensiero e la figura.
Come quello di Jalila Amami, ricercatrice tunisina, “La cultura e la politica nel pensiero di Gramsci”. O il volume di Baccar Gherib, preside della Facoltà di Scienze Giuridiche e di Economia e Commercio di Jendouba, “Pensare la transizione con Gramsci” che prova a concentrarsi sulla costruzione di una transizione politica tunisina, e le difficoltà di questo processo, attraverso il pensiero dell’intellettuale italiano.
Come quello di Jalila Amami, ricercatrice tunisina, “La cultura e la politica nel pensiero di Gramsci”. O il volume di Baccar Gherib, preside della Facoltà di Scienze Giuridiche e di Economia e Commercio di Jendouba, “Pensare la transizione con Gramsci” che prova a concentrarsi sulla costruzione di una transizione politica tunisina, e le difficoltà di questo processo, attraverso il pensiero dell’intellettuale italiano.
Una figura, quella del pensatore nato a Ales, in Sardegna, presente nei discorsi degli intellettuali arabi. Tanto che Tahar Labib, sociologo tunisino, partecipando ai lavori del seminario a Tunisi, presso l’Auditorium Majestic, ha incentrato il suo intervento sulla ricorrenza della figura di Gramsci e la sua influenza nei discorsi delle classe intellettuali arabe.
Una élite culturale di cui faceva parte anche Mahdi Amel, soprannome di Hassan Hamadan, accademico e membro del partito comunista libanese, assassinato nel 1986 a Beirut, che fu uno dei più conosciuti teorici marxisti della sua generazione. Amel, in un articolo recentemente apparso sulla rivista Frontline, è stato definito il “Gramsci arabo”. Infatti incentrò i suoi studi sul colonialismo; l’arretratezza della società; la borghesia e le divisione settaria. Mentre in Siria, Khaled Khalifa, scrittore siriano, raccontò, durante una conferenza tenuta a Milano nel 2016, che Gramsci era tornato a essere letto da molti siriani alla ricerca di “comprensione del presente che vivono”.
Come ha scritto Shawki Ben Assan, corrispondente da Tunisi per il quotidiano panarabo al Araby el Jadeed: “Il mondo arabo oggi vive sotto una complessa egemonia culturale: l’egemonia dello stato sulla società (descritta da Gramsci) e quella del sistema internazionale sugli Stati”. Per cambiare, i paesi arabi hanno bisogno di una forte volontà e passione. E, scrive Ben Assan, “come ha detto Gramsci, il pessimismo dell’intelligenza può essere contrastato solo dall’ottimismo della volontà”. Quella che alimenta una speranza di tanti arabi per un cambiamento che Gramsci, ottanta anni fa, pagò con la vita.
Fonte: Il Fatto Quotidiano - blog dell'Autore
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