di Nicola Fratoianni
Il NO dei lavoratori di Alitalia all'accordo aziendale ci parla in maniera chiara e netta, qualora ce ne fosse ancora bisogno, della condizione del paese e di ciò che si muove non tanto nella pancia, ma nella testa dei cittadini, dei lavoratori. Quel NO mette inquietudine, perché di fronte alla scelta capestro messa in campo da azienda e governo di mangiare la minestra che passa il convento, i lavoratori hanno preferito il salto nel vuoto. "Buttarsi dalla finestra", dice il vecchio proverbio. Era già accaduto mesi fa con i lavoratori di Almaviva, mentre i soliti commentatori benpensanti, dal caldo dei loro osservatori, si scandalizzavano di fronte a lavoratori che erano disposti a ribellarsi nonostante il rischio di perdere il lavoro piuttosto che accettare nuove umiliazioni.
Per anni abbiamo assistito al progressivo arretramento dei diritti dei lavoratori e alla compressione dei loro salari, indotti da una classe politica che si era apprestata a fare da scendiletto al potere economico, in nome delle più svariate motivazioni: "è il momento dei sacrifici", "abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità", e altre amenità simili. Il sottinteso è sempre stato che "visto che un lavoro ce l'hai, non lamentarti e lavora, quali che siano le condizioni".
E per anni i lavoratori, a testa bassa, hanno ingoiato qualunque scusa e qualunque condizione.
Oggi non è più così, e a rischio di perdere di tutto, hanno deciso di alzare la testa e di dire NO, di rifiutare compromessi al ribasso sulla propria pelle, di non riconoscere più nessun elemento di mediazione che preveda la mortificazione (l'ennesima) della propria condizione materiale di vita di fronte, peraltro, all'assenza di qualsiasi credibile piano industriale. Con la consapevolezza che recuperare la propria dignità possa significare anche l'estrema conseguenza di non avere più nemmeno un lavoro.
Anche perché per anni mentre gli stipendi venivano decurtati, le ferie e le malattie non pagate, i congedi parentali negati, i manager dividevano utili e si avvantaggiavano delle stock option.
Ecco, quando parliamo di unità della Sinistra, penso che dovremmo partire dall'analisi di ciò che si muove nel mondo reale, nella società, nel mondo del lavoro, prima di considerare e dare per consolidati gli schemi del panorama politico.
In queste ore si parla molto del caso francese, e cioè della distruzione dei partiti "storici" della quinta repubblica francese (socialisti e popolari) e dell'avanzata importante dei partiti anti-sistema, fra cui il Partito di Sinistra di Jean Luc Melenchon. L'ennesimo campanello per la Sinistra in Europa, dopo Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda. Ognuno di questi paesi ha fatto un'esperienza simile in questi anni, con l'affermazione di un punto di vista più netto sulle ragioni della crisi delle classi meno abbienti e sulle soluzioni necessarie.
Forse è perfino superfluo che lo si dica noi, visto che da qualche anno, come è noto, poniamo la necessità di una Sinistra anti neoliberista e visto che Sinistra Italiana è nata sulla base di questa analisi, ma voglio chiarirlo subito: D'Alema propone un punto di vista interessante e voglio evitare che il suo appello cada nel vuoto.
L'unità della Sinistra è importante, certamente, ed è altrettanto vero che presentarsi alle elezioni politiche con tre o quattro liste a sinistra del PD potrebbe essere poco intelligente.
Il punto, però, è come ci si presenta, su quale piattaforma e per fare cosa. Lo dico subito: non siamo appassionati al tema delle leadership, né ci interessa il gioco delle biografie. Proprio per questo però non è possibile immaginare di costruire l'unità limitandosi alla somma di ciò che c'è, o peggio, alla somma di una parte di quello che si muove nello spazio plurale della sinistra italiana.
Inutile negarlo: siamo al punto in cui siamo, con strappi dolorosi negli ultimi mesi, anche all'interno di Sinistra Italiana, per un diverso approccio alle cose e per un diverso punto di vista sul mondo. Sarebbe sciocco negare, ad esempio, che una parte dei compagni che hanno lasciato Sinistra Italiana, lo ha fatto proprio perché non condivideva l'analisi di fondo che Sinistra Italiana propone e che, mi pare, incroci per molti aspetti le cose Massimo D'Alema ma anche Pierluigi Bersani stanno sostenendo in questo momento. Magari in nome della impraticabilità di un quarto polo e della necessità di ricostruire il centro-sinistra.
Per questo, penso sia necessario chiarirsi sul cosa fare e sul come farlo.
Prima di tutto serve una proposta coraggiosa. Chiudere definitivamente con la stagione in cui la teoria della "assenza di alternative" ha reso la cosiddetta sinistra di governo del tutto incapace di rispondere alla crisi e alle sue conseguenze sulla parte più grande e debole della società, fino a renderla quasi del tutto indistinguibile dall'establishement. Dunque una proposta radicale, capace di guardare alla radice dei problemi e segnare una netta inversione di rotta rispetto alle ricette neoliberiste.
Da dove partiamo, quindi?
Di fronte al disastro di Alitalia, ad esempio, chiediamo la nazionalizzazione della compagnia aerea?
Di fronte alle imposizioni di Trump sul raddoppio delle spese militari da parte dell'Italia per obbedire alla NATO e al suo scellerato neo interventismo bombarolo, siamo pronti a fare del disarmo, della riduzione delle spese militari e della moratoria sul commercio di armi una proposta centrale. E vogliamo cominciare a ridiscutere la nostra presenza nel Patto Atlantico?
È urgente e necessario chiarirsi e scegliere che strada fare, perché tutti quelli che hanno ricevuto schiaffi in faccia in questi anni non hanno alcuna intenzione di attendere gli accordi di gruppi dirigenti sul nulla.
Quelli a cui è stato tolto l'articolo 18, per esempio, e a cui io credo non si possa proporre un articolo 17 e mezzo, ma l'impossibilità di licenziare per le aziende che non sono in crisi, per riproporre uno dei punti di programma di Melenchon.
Così come è urgente discutere di riduzione dell'orario di lavoro, per rispondere non solo all'automazione crescente dei processi produttivi, ma anche all'esigenza di riconquistare tempo di vita; della revisione della tassazione, spostando il carico su chi ha di più; dell'introduzione del reddito minimo garantito, per contrastare povertà e ricattabilità dei più poveri e precari; parliamo di diritto alla salute, di diritto allo studio, del collasso del Mezzogiorno. E di altro ancora.
E poi viene il come farlo. E non è una questione secondaria. A me pare che quello che sta succedendo in molte città italiane in vista delle prossime elezioni amministrative sia particolarmente interessante. Coalizioni civiche marcatamente di sinistra guadagnano consenso sulla base di proposte chiare e e forti ma anche grazie ad una pratica che restituisce alle persone protagonismo e potere. Protagonismo e potere di scelta sui temi e sul modo con cui organizzarsi per portarli avanti. In un paese come il nostro, dove lo iato tra il numero di iscritti o aderenti alle varie formazioni politiche della sinistra e quello di chi è di sinistra ma non si riconosce in nessuna organizzazione specifica è così alto, questo aspetto della questione mi pare di primaria importanza.
Dunque proporrei di fare così questa discussione. Partiamo dalle cose concrete, dal mondo reale, dal modo in cui farlo. Il tempo è ora.
Fonte: Huffington Post - blog dell'Autore
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