La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 25 aprile 2017

Le resistenze dentro e la profondità del mondo

di Angelo Ferracuti 
Ho sempre pensato che di partigiani e di Resistenze ce ne sono stati molti nelle tante geografie e ambienti, contadini e urbani, così come sono stato sempre dell’idea che quando la Storia accelera, lo spazio individuale delle scelte si riduce. Quello del destino stringe a un feroce faccia a faccia con se stessi. C’è stata la Resistenza eroica e ufficiale, quella politica, militare e organizzata, ma anche una minore fatta dai molti, non meno necessaria, di chi si è dato per generosità un coraggio che forse anche un minuto prima non sapeva di possedere, e quel coraggio l’ha pagato con la propria vita o salvandone un’altra.
Pensando oggi 25 Aprile a quella generazione di cittadini combattenti sembra irrepetibile, come quell’epica lontanissima e lirica dei libri di Beppe Fenoglio che ha raccontato la lotta partigiana in alcuni romanzi formidabili come “Una questione privata”, dove storia individuale e Storia collettiva diventano una cosa.
Ecco, insieme con quella pubblica, eroica (e retorica), è esistita ed esiste anche una Resistenza privata.
Questo si ripete sempre a ogni scontro epocale tra civiltà e barbarie, che è quotidiana, nel Nord e nel Sud del mondo, in un autobus affollato o in un treno per un insulto razzista, in una fabbrica quando le leggi del profitto mettono i lavoratori uno contro l’altro e si diventa piccoli kapò pronti a tutto pur di mantenere un privilegio consumistico; nelle scuole votate al marketing, negli ospedali indirizzati al business etico, laddove si diventa complici del pensiero unico.
Questo conflitto lo stiamo vivendo anche adesso, diverso e in parte sommerso, ma con le stesse lacerazioni umane, prima che sociali e politiche. Lo stiamo vivendo con distanza di valori da allora, una frattura dolorosa tra una forte esperienza del mondo e un sogno di trasformazione e il reality show dell’eterno presente dove “sembra scomparsa la profondità del mondo”, per dirla con le parole di Paolo Volponi.
La nostra Resistenza civile è forse minoritaria, ma c’è.
Tacere, non fare quella scelta, significa ancora abdicare al proprio dovere di esseri umani, permettere una violenza, un’ingiustizia, diventare indifferenti di fronte a una sopraffazione tra forti e deboli, soprattutto rispetto ai popoli migranti, due volte vittime di un capitalismo selvaggio che sottomette globalmente e respinge localmente.
Come allora, anche oggi una parte maggioritaria del nostro paese, minacciata dalla crisi, anestetizzata dal pensiero debole, orfana della politica, sta cedendo alle lusinghe di un’indifferenza che è diventata ideologia forte, poetica del social solo, narcisismo di massa e preludio a una nuova barbarie, se ci pensiamo bene già in corso da tempo.
La Resistenza privata, prima ancora di quella collettiva, non ha bisogno di grandi esibizioni, basta essere fino in fondo cittadini, ci sono persone civili che la esercitano quasi senza rendersene conto, altri devono fare uno sforzo maggiore perché disabituati a prendere la parola.
Sì, perché la Resistenza è fatta anche di nuove parole, la lotta avviene anche e soprattutto nel lessico, nel rimettere in circolo certi vocaboli civili, e anche nel fare con passione un racconto diverso, onesto della realtà, e praticare un pensiero sovversivo cercando di riportare in luce ciò che l’informazione asservita alle logiche dell’inserzionista, e la cattiva cinematografia, trasformano in accattivante, anestetizzante e odiosa fiction.
Questo dobbiamo e possiamo fare ogni giorno e per tutti i giorni dell’anno.

Fonte: Il manifesto 

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