di Roberto Ciccarelli
Il Primo maggio i sindacati confederali lo festeggeranno a Portella della Ginestra, luogo della strage contro il movimento contadino che voleva la distribuzione delle terre e la riforma agraria nel 1947. «La parola d’ordine è lavoro – ha detto ieri a Palermo la segretaria Cgil Susanna Camusso – Lavoro come necessità, lavoro che manca, lavoro di qualità, lavoro come risposta ai giovani, altrimenti costretti a fare le valigie». «La questione meridionale è ancora la questione nazionale – ha aggiunto la segretaria della Cisl Anna Maria Furlan – in Italia ci sono più di tre milioni di disoccupati, il lavoro dei giovani e la sua sicurezza sono ancora da conquistare».
Al mattino, dalle 9 alle 11, è previsto in corso Venezia a Milano il corteo sindacale che terminerà in piazza Scala. Al pomeriggio, sempre nel capoluogo lombardo, tornerà la May Day ribattezzata «orgoglio della classe precaria». Studenti, precari, migranti e lavoratori sono invitati a sfilare da piazza XXIV maggio «contro la devastazione delle politiche sociali, il furto della ricchezza e dei beni comuni, l’annullamento della città pubblica». In contemporanea, a Roma, in piazza San Giovanni, inizierà il tradizionale Concertone promosso da Cgil, Cisl e Uil.
Mobilitata anche l’unione sindacale di base con due manifestazioni in Puglia e in Calabria. Dalle 10 è prevista la «marcia dei braccianti» contro il caporalato e le agro-mafie dalle campagne di Rignano Garganico a San Severo in provincia di Foggia. Manifestazione alle 9,30 a Reggio Calabria da ponte Calopinace a Piazza Italia. Parteciperanno le associazioni antirazziste, laiche e religiose che protestano contro il decreto Minniti-Orlando che criminalizza «migranti, profughi e lotte sociali» usando lo strumento della «sicurezza» e del «decoro urbano».
Quest’anno le celebrazioni della festa dei lavoratori e delle lavoratrici giunge al termine della breve, e fallimentare, stagione renziana delle «riforme» del lavoro. L’osservatorio sul precariato dell’Inps ha confermato che l’abolizione dell’art. 18 e la fine degli sgravi pubblici alle imprese hanno causato l’aumento dei licenziamenti disciplinari e un nuovo crollo dei contratti a tempo indeterminato per i neo-assunti sovvenzionati dallo stato. La chiara percezione del fallimento dei propositi renziani, oltre che dell’uso strumentale della legislazione per moltiplicare il precariato, è stato registrato dal sondaggio Demos-coop, pubblicato ieri su Repubblica. Per la prima volta, a domanda precisa, 7 interpellati su 10 si sono detti d’accordo sul «ripristino dell’articolo 18». La norma abolita da Renzi e dal Pd per tutti i neo-assunti con il Jobs Act dal 7 marzo 2015 in poi. La Cgil aveva raccolto le firme per un referendum anche su questo, ma il quesito è stato bocciato dalla Corte Costituzionale, mentre le norme sui voucher sono state cassate dal governo Gentiloni per evitare un nuovo referendum sgradito a Renzi che alla vigilia del primo maggio sarà incoronato di nuovo segretario del partito neo-liberista di massa, il Pd.
«Sono anni che combattiamo contro una logica sbagliata delle leggi sul mercato del lavoro, quella di ridurre le tutele come se questo determinasse chissà quali impetuose crescite, mentre i dati sono davanti a tutti», ha detto ancora Camusso. «Ridurre le tutele non ha generato occupazione e forme di sviluppo, ma ha alimentato precarietà e forme di sommersione e di competizione al ribasso tra le condizioni contrattuali che sono tra le ragioni della difficoltà del nostro Paese, della crisi che continua».
La Cgil continuerà la sua battaglia per la «Carta dei diritti universali» sabato 6 maggio a Roma alle 14 in piazza San Giovanni Bosco, nel quartiere Tuscolano-Don Bosco. La manifestazione chiederà di approvare il «nuovo statuto del lavoro». Il documento, elaborato da una squadra di giuristi e sottoscritto con i quesiti sui referendum da milioni di persone, contiene anche l’alternativa ai voucher. «Il lavoro occasionale, come proponiamo negli articoli 80 e 81 della Carta – ha detto Tania Scacchetti, segretaria confederale – può essere un utile strumento, ma deve avere diritti, limiti nella possibilità di utilizzo, e va riconosciuto come lavoro subordinato».
Fonte: Il manifesto
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