di Mauro Campus e Chiara Giorgi
Moneta e impero. Economia e finanza dal 1890 al 1914 di Marcello de Cecco, ripubblicato da Donzelli in un’edizione curata da Alfredo Gigliobianco, è un classico della letteratura storico-economica. Pubblicato nel 1971 (Economia e finanza internazionale dal 1890 al 1914, Laterza), ebbe poi un’altra edizione italiana nel 1979 (Moneta e impero. Il sistema finanziario internazionale dal 1890 al 1914, Einaudi) e due versioni inglesi (Blackwell, 1974; Pinter 1984). La scelta di Gigliobianco è significativa: mantenere il titolo Moneta e impero delle edizioni 1974 e 1979, riprendendo, come sottotitolo, la versione del 1971.
Non si tratta, però, solo di un cambiamento al titolo: l’intenzione del curatore è di avvicinarsi maggiormente al pensiero di de Cecco, migliorando le precedenti versioni (inadeguate quelle italiane perché traduzioni di un testo scritto inglese, e le altre tagliate dall’editor e dal publisher inglesi al fine di rendere il volume meno ostico per quel pubblico).
Non si tratta, però, solo di un cambiamento al titolo: l’intenzione del curatore è di avvicinarsi maggiormente al pensiero di de Cecco, migliorando le precedenti versioni (inadeguate quelle italiane perché traduzioni di un testo scritto inglese, e le altre tagliate dall’editor e dal publisher inglesi al fine di rendere il volume meno ostico per quel pubblico).
Si tratta di un libro che descrive de Cecco come intellettuale difficilmente incasellabile nelle categorie di economista o storico perché dotato di straordinarie competenze. Sebbene sia arduo individuare un solo fuoco in un libro complesso come questo, è lecito indicare nella demitizzazione del gold standard – il sistema monetario che ha dominato gran parte del mondo nella seconda parte del XIX secolo – il suo punto fermo.
MOLTI AUTOREVOLI studi hanno considerato il gold standard il sistema nervoso di un’età virtuosa e stabile basata anche sull’accettazione del dogma che il mercato fosse capace di autoregolarsi. De Cecco contesta tale ipotesi partendo dalla constatazione che il gold standard (analogamente al mercato) era una creazione umana. Il sistema di parità auree era una politica economica internazionale dell’impero britannico: una scelta intimamente legata alla politica di potenza. Il gold standard internazionale fu, dunque, un mezzo dell’impero britannico per rafforzare la sua egemonia planetaria: un sistema fondato sulla struttura delle relazioni politico-economiche all’interno e rispetto allo spazio coloniale. E, non a caso, è centrale il nesso tra moneta e senso giuridico del termine impero che, da solo, è capace di evocare i molti aspetti del dibattito intellettuale antimperialista degli anni in cui il libro fu scritto.
Nello sviluppo dell’analisi sono affrontati i paradossi del gold standard, divenuto universale per aumentare i controlli statali sulle questioni monetarie. Come de Cecco nota nella prefazione all’edizione del 1984: «il sistema monetario internazionale pre-1914 fu stabile finché rimase uno sterling standard, e che cominciò a oscillare sempre più pericolosamente, fino al suo collasso finale nel luglio 1914, quando iniziò il declino della Gran Bretagna e altri grandi paesi industriali crebbero d’importanza e adottarono il gold standard come una forma di nazionalismo monetario, allo scopo di privare la Gran Bretagna dell’ultimo potere che le era rimasto, quello di controllare i flussi finanziari internazionali. Così, una parte importante del messaggio di questo libro è che i paesi che adottarono il gold standard lo fecero per aumentare, e non per diminuire, il controllo statale sulle questioni monetarie».
Si tratta nondimeno di uno studio pionieristico sulle conseguenze della seconda rivoluzione industriale sul potere europeo, di un’analisi dei mutamenti egemonici e dei rapporti di forza in un’epoca che vide il consolidamento di economie e sistemi politici antagonisti al Regno Unito (su tutti Stati Uniti e Germania). Un momento storico in cui il mercato finanziario internazionale conobbe uno sviluppo vorticoso, che portò alla crisi del 1907, seguita dall’istituzione della Federal Reserve e dalla crescita dei nazionalismi anche economici.
LE TESI di de Cecco sono confermate nella loro forza alla luce degli accadimenti degli ultimi anni, e ci aiutano a comprendere come dietro ciò che si considera «naturale», risultato automatico dei comportamenti individuali, risiedano precise determinazioni di politica economica (in contesti dominati da monopoli e oligopoli). In tal senso se il gold standard fu una costruzione dello Stato inglese, allo stesso modo fu una finzione quella della mano invisibile smithiana e del laissez faire, così come fu apparente – scriveva Marx nel Capitale – quanto vigente nella sfera della circolazione (dello scambio di merci) rispetto al «segreto laboratorio della produzione». Così oggi di fronte alla retorica di un’economia libera dalla politica, non possiamo che farci forti dell’insegnamento di de Cecco ricordando che l’economia è politica e agisce attraverso dispositivi di disciplinamento volti a imporre la ratio di un ordine, quello, per dirlo con Sassen, delle «formazioni predatorie».
QUALCHE ANNO FA recensendo su questo giornale l’ultimo volume di de Cecco – Ma cos’è questa crisi. L’Italia, l’Europa e la seconda globalizzazione (2007-2013), Donzelli – Christian Marazzi scriveva: «Né con la destra sfascista, né con la sinistra sovranista. Questa è la provocazione, non proprio implicita, di de Cecco» – quella cioè del passaggio dall’attuale moneta unica a un Euro come moneta comune, dotata di poteri federalistici volti a garantire, perlomeno con l’unione bancaria e quella fiscale, la costruzione di un’Europa più unita. Provocazione, aggiungeva, che va colta volgendoci «alla costruzione di un ciclo di lotte sul terreno della moneta del comune, un sistema monetario che sappia garantire una ridistribuzione del reddito sulla base di diritti assoluti di cittadinanza».
Fonte: Il manifesto
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.