di Giulio Cavalli
Il vero danno di questa ultima legge sulla “legittima difesa” non è tanto nel codice penale (che, bene o male, garantiva, ha sempre garantito, protezione per le vittime) ma nello sfacelo culturale di un Partito Democratico che ormai non è più un cortocircuito con corsia preferenziale verso destra ma un maldestro attuatore dei conati che arrivano dappertutto. Invischiato nell’ombra senza corpo di un governo che alla chetichella infila le stesse porcate di prima (mettendo i bulli dietro le quinte e il secchione a fare da paravento) quello che fu il Partito Democratico ha smesso di fare politica diventando prima il catetere del suo padroncino e poi, negli ultimi mesi, mettendosi a scodinzolare dietro i rutti peggiori del populismo.
La cosiddetta “legge sulla difesa personale” è il regalo al populismo peggiore, quello che dibatte su ciò che non esiste ma che “si percepisce” perché fa comodo ad alcuni.
La cosiddetta “legge sulla difesa personale” è il regalo al populismo peggiore, quello che dibatte su ciò che non esiste ma che “si percepisce” perché fa comodo ad alcuni.
E qui il PD riesce a commettere addirittura due errori: innanzitutto prova a essere sceriffo slavato come se non si rendesse conto che l’emorragia di consensi sarà sempre superiore al guadagno elettorale (ma davvero qualcuno crede che un leghista si possa convertire all’adorazione di Renzi o Minniti?) e, soprattutto, innalza a temi politici (e contenuti di riforma) i deliri di chi ha bisogno di un allarme al giorno per meritarsi qualche prima pagina.
Così se prima si poteva dire che da quelle parti i modi erano di centrodestra (il culto del capo, la derisione degli sconfitti e la servitù ai potenti) ora davvero la destra si pratica davvero: muscoli a forma di poliziotti, armi come soluzioni di ordine pubblico, sicurezza fatta col digrignar di denti e un fastidio nemmeno troppo nascosto per partigiani e lavoratori.
Missione compiuta, amici del PD: avete osato lì dove non avevano osato nemmeno i protofascisti e i berlusconiani prima di voi. Avete riempito la pancia degli istinti peggiori. E, l’aspetto che fa più ridere, vi siete sforzati di fare il solletico ai vostri nemici giurati. È la vecchia favola della rana e lo scorpione: lo scorpione chiede alla rana di lasciarlo salire sulla sua schiena e di trasportarlo sull’altra sponda di un fiume; in un primo momento la rana rifiuta, temendo di essere punta durante il tragitto, ma lo scorpione la convince: se la pungesse, infatti, anche lui cadrebbe nel fiume e, non sapendo nuotare, morirebbe insieme a lei. La rana, allora, accetta e permette allo scorpione di salirle sulla schiena, ma a metà strada la punge condannando entrambi alla morte; quando la rana chiede allo scorpione il perché del suo gesto folle, questi risponde: “È la mia natura”.
Già. Ormai è quella, la natura.
Fonte: Left
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