di Andrea Colombo
La legge ammazzaladri, al secolo modifica dell’art. 52 del codice penale sulla legittima difesa, è passata ieri alla Camera con appena 225: i deputati hanno preferito disertare in massa il voto. Approvata solo dal Pd e dai centristi va ora al Senato dove, se l’Mdp di Bersani non ci ripenserà, avrà vita molto più dura. Il testo è passato tra gli urli e le proteste della destra. Dal palco degli ospiti Salvini tanto si sgolava strillando «Vergogna» che i commessi l’hanno dovuto portare via di peso. Le opposizioni hanno votato tutte contro, per motivi opposti. Anche M5S che, come spesso capita, quando vota si comporta meglio di quando parla (anche sull’immigrazione). Si fa ma non si dice, sennò dove vanno a finire i voti del popolo impiccante?
Così nella dichiarazione di voto Alessandro Di Battista ha farfugliato qualcosa di incomprensibile sulla confusione «del testo base».
Così nella dichiarazione di voto Alessandro Di Battista ha farfugliato qualcosa di incomprensibile sulla confusione «del testo base».
La sinistra tutta ha votato contro un testo che rende la vita più facile a chi, se derubato o aggredito, scopre di avere il grilletto facile. La destra ha strepitato invece contro la mollezza estrema del provvedimento. Ammuina pura. Giustamente Roberto Saviano ha commentato: «Tra il decreto Minniti e questa legge il Pd è peggio della destra». Alle orecchie di un pezzo non secondario del Pd deve essere suonato come un complimento: proprio dimostrare che i cavalli di battaglia della destra sono pane per i denti della sinistra era il principale scopo della legge.
Ma per lo stesso motivo, con intento opposto, la destra deve indignarsi e urlare: fuffa, truffa e fumo negli occhi, quelli tosti siamo noi.
Non che leghisti e fratellini italiani abbiano torto quando segnalano che in termini di legittima difesa la legge cambia ben poco. Solo che neppure i loro emendamenti avrebbero modificato la sostanza. Non ce n’era bisogno: l’ammazzaladri lo avevano già varato Berlusconi e il suo guardasigilli leghista Castelli nel 2006. Solo che poi ci si erano messi di mezzo i giudici, cavillosi, a spulciare le testimonianze per verificare se ci fosse o meno «proporzionalità» tra difesa e offesa. L’obiettivo della legge era dunque proprio circoscrivere al massimo (nella versione morbida Pd), o eliminare del tutto (nei miraggi dei vigilantes della destra) la discrezionalità dei giudici.
Missione compiuta. La discrezionalità dei magistrati ha preso l’auspicata batosta. Si potrà sparare quando la vita, l’integrità fisica e sessuale o anche solo i beni sono messi a rischio, in casa e a negozio. Resta l’obbligo della proporzionalità, ridotto di fatto al divieto di aprire il fuoco se il malfattore «ha desistito». Anche in questo caso però una scappatoia c’è. Se il derubato o l’aggredito versano in condizioni di «grave turbamento psichico causato dall’aggressore» si tratterà comunque di legittima difesa.
Non dovrebbe essere una mission impossible per qualsiasi avvocato dimostrare che ritrovarsi un rapinatore in casa o a bottega turba gravemente. Lo Stato, infine, risarcirà l’aggredito se processato e assolto.
A prima vista, la legge ha un aspetto delirante. Sembra specificato infatti che la difesa è legittima quando il fattaccio avviene di notte. Che s’intendesse trasformare l’ora legale in una specie di ora illegale, intere stagioni nelle quali il diritto al furto si protrae sino alle 21 e passa? Ma no: è solo che per i governanti spesso scrivere bene una legge è impresa ardua. Il testo garantisce il diritto a difendersi sempre di notte, mentre di giorno solo se il malintenzionato si è introdotto con la violenza o con l’inganno. Distinzione essenziale. Ove il furfante dovesse avvisare che sta entrando per rubare o peggio, chi gli aprisse ugualmente la porta perderebbe il diritto di farlo legittimamente fuori.
Intorno all’ammazzaladri non si sta giocando solo una classica, ma non per questo meno ignobile, caccia ai voti dell’elettorato forcaiolo. C’è molto di più e lo si è capito mercoledì sera, quando Maria Stella Gelmini si avviava a coronare l’accordo con il relatore Ermini che prevedeva il sì degli azzurri. E’ intervenuto a gamba tesa Berlusconi, su spinta di Ghedini, imponendo il niet con toni schiettamente salviniani. C’era di mezzo l’unità della destra, da troppo tempo perduta e da non più smarrirsi. Perché su una cosa il capo forzista e quello leghista concordano. Sarebbe molto meglio per entrambi evitare una lista unitaria: ma se Renzi scodellerà una legge elettorale che la impone, la si farà. Questione di legittima difesa.
Fonte: Il manifesto
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