di Alfonso Gianni
Caro Valentino, mi riesce difficile credere che la nostra discussione si sia interrotta. Mi riesce impossibile pensarti come assente. Certo, la nostra, non era una discussione continua. Intanto è cominciata tardi. Le nostre gioventù erano separate da venti anni di distanza e da una guerra mondiale. Una generazione e un’epoca. Eppoi ci siamo conosciuti – di persona intendo, ché per gli scritti mi eri già noto da molto prima – solo poco più di quaranta di anni fa. Una discussione rapsodica, quindi, fatta di non molte parole e di lunghi silenzi e soprattutto di comuni, meditati ascolti di altri.
Per la verità tu avevi un vantaggio. Scrivevi sempre. Facevi sapere e sapevi cosa pensavi attraverso i tuoi scritti. E ci insegnavi cose che altrimenti non avremmo appreso. La tua scrittura riusciva ad essere elegante e asciutta ad un tempo. E l’ironia – un tratto che ti invidio – teneva assieme il verbo scritto con quello detto. Ti piaceva addentrarti in questioni non facili. Leggere cosa emergeva dagli uffici studi della Banca d’Italia. Intrattenere rapporti e dialoghi continui con quegli economisti e quei civil servant della cosa pubblica che hanno fatto la storia di questo nostro paese e, perché no, dell’Europa.
Ho, proprio ora, tra le mani la tua bella introduzione a un volume collettaneo importante, che raccoglieva un lungo dibattito su il manifesto, dove tra gli altri spiccano gli interventi di Lucio Magri, di Claudio Napoleoni, di Augusto Graziani. «Spazio e ruolo del riformismo», uscito nei primi anni Settanta. Di lì a poco quella parola, riformismo (che per te e le compagne e i compagni del Manifesto voleva già dire qualche cosa di molto di più e diverso già allora) sarebbe stata completamente svuotata di senso e rovesciata.
Ma per te quella sfida era un atto di coraggio, come per Federico Caffè. Certamente ricordi le sue parole: «È preferibile sforzarsi di accendere un lume, anziché inveire contro le forze oscure del male». Un coraggio da coltivare, giorno per giorno, articolo per articolo.
Quella sfida, la trasformazione di questo mondo – ce lo siamo detti e ce lo diciamo sempre più frequentemente – è risultata per ora perdente. Ma non perduta. Per questo, caro Valentino, la nostra discussione continua.
Fonte: Il manifesto
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.