La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 16 agosto 2015

La bancarotta di Portorico è ok, fino a che Wall Street è rimborsata...

di Jérome Roos 
Il 1 agosto Portorico è stato in parte insolvente sul suo enorme debito da 72 miliardi di dollari, rimborsando solo 628.000 dollari di un prestito relativamente piccolo di 58 milioni che scadeva all’inizio del mese. L’insolvenza, che segna l’evento creditizio più grave nei mercati delle obbligazioni pubbliche statunitensi dopo che la città di Detroit ha portato i libri in tribunale nel 2013, ha indotto molto a fare degli ovvi confronti con la Grecia, comprensibilmente.
Come la Grecia, Portorico è rimasto impantanato in una recessione protratta che ha visto salire la disoccupazione, calare il tenore di vita e innumerevoli persone hanno lasciato la loro patria in cerca di opportunità di una vita migliore negli stati creditori. Come la Grecia, Portorico sta cedendo sotto il peso di un debito insostenibile che i suoi leader affermano “non può essere rimborsato”. E come la Grecia, Portorico è in effetti un distretto dipendente di un’unione più vasta di cui fa parte: la Grecia dell’eurozona e Portorico degli Stati Uniti.
Ma nonostante tutte queste evidenti somiglianze c’è una differenza sorprendente: mentre a Portorico è stato consentito di non pagare i suoi debiti senza alcuna collera – o interesse – del governo statunitense, la Grecia non è stata in grado di fare lo stesso. Perché a Portorico è stata consentita l’insolvenza? La risposta è semplice: segui le regole, poi segui i soldi e capirai.
Per quanto riguarda le regole, parte della risposta sta certamente nella particolare organizzazione istituzionale in cui si trova Portorico. Come stato associato – o di fatto una colonia – degli Stati Uniti, Portorico e le sue imprese pubbliche non possono né rivolgersi al FMI per un salvataggio internazionale, come hanno fatto in anni recenti nazioni nominalmente “sovrane”, come Grecia, Portogallo e Irlanda, né può dichiarare fallimento in base alle relative norme statunitensi, come hanno fatto municipalità statali come Detroit e Stockton, California.
La conseguenza è lasciare l’isola caraibica in una specie di limbo legale e finanziario la cui unica via d’uscita è o un “salvataggio” da parte del governo federale o una sospensione unilaterale del rimborso dei debiti. Poiché la prima soluzione non appare all’orizzonte (almeno non per il momento) la seconda è divenuta semplicemente inevitabile. Gli esperti sembrano ritenere che il mancato pagamento del 1 agosto sia solo l’inizio.
Per quanto riguarda i soldi, comunque, vi incontriamo il motivo reale per cui i creditori di Portorico sono stati così riluttanti a intervenire: perché il governo dello stato associato fondamentalmente è stato insolvente solo nei confronti del suo stesso popolo. Il mancato pagamento del 1 agosto è stato strettamente limitato a titoli detenuti dalla Public Finance Corporation, in cui quasi 900.000 portoricani poveri e prevalentemente rurali – pensionati inermi e piccoli risparmiatori – hanno investito i risparmi di una vita attraverso le loro casse rurali locali non a fini di lucro.
Come ha appena dichiarato al The New York Times uno di loro, un professore di matematica: “Mi hanno detto che era sicuro, che le protezioni legali erano forti. Mi hanno detto che era il posto migliore in cui mettere i miei soldi, e gli ho creduto”.
Ma i titoli non erano sicuri e non c’era da fidarsi di chi li vendeva. Quello che la maggior parte dei portoricani non sapeva era che il complicato status legale dell’isola in base alla legge statunitense aveva consentito ai grandi protagonisti di Wall Street di trasformare effettivamente la loro isola in un casinò. Poiché il governo di Portorico aveva un tremendo bisogno di finanziamenti esterni, e poiché i suoi titoli pubblici sono regolati dalla cosiddetta “tripla esenzione” che esenta che da imposte municipali, statali e federali negli Stati Uniti continentali gli interessi pagati su di essi, le banche hanno visto un potenziale mercato espansivo.
Come ha scritto per teleSUR Eric Draitse il giorno prima dell’insolvenza: “Barclays, Morgan Stanley, Goldman Sachs, JP Morgan, Bank of America-Merrill Lynch e molti altri sono accorsi a sottoscrivere enormi prestiti sotto forma di acquisti di titoli al fine di rivolgersi poi a venderli a fondi speculativi e ad altri investitori negli Stati Uniti e in tutto il mondo, incassando in tal modo enormi profitti dalle commissioni di collocamento. Essenzialmente le banche di Wall Street sono arrivate con enormi capitali e poi hanno trasferito il rischio ad altri speculatori, conseguendo contemporaneamente cospicui profitti in qualità di intermediarie”.
I gestori di fondi speculativi, nel frattempo, si stavano ubriacando degli elevati profitti, dell’assenza di imposte, dei forti sconti e delle forti protezioni che i titoli portoricani sembravano offrire. Ancora nel 2014 Jeffrey Gundlach dei DoubleLine Capital si riferiva all’investimento a Portorico come alla sua “idea migliore”, mentre John Paulson – che ha acquistato notorietà per le sue scommesse speculative in Grecia in anni recenti – arrivava a elogiare la colonia statunitense del debito economicamente moribonda come “la Singapore dei Caraibi”.
Oggi, quello che resta in larga misura taciuto dopo l’insolvenza è che il governo fiscalmente a corto di quattrini di Portorico lo stesso giorno ha rimborsato la maggior parte dei suoi 500 milioni di dollari di obbligazioni a fondi speculativi e ad altri investitori istituzionali. L’insolvenza, in altri termini, è stata una decisione strategica del governo portoricano – presumibilmente assunta sotto la pressione degli stessi fondi speculativi – di trasferire tutte le perdite sulla popolazione locale.
Come ha sintetizzato la situazione un giornalista del The Independent: “Alcuni hanno definito l’insolvenza di 58 milioni di dollari uno sforzo calcolato, visto che Portorico ha rimborsato ‘i pezzi grossi’ che avevano il potere legale di citarlo in giudizio, mentre ha fregato i creditori a basso rischio nel suo cortile di casa”. O, come dice James Henry, uno studioso degli investimenti presso la Columbia University:
“E’ stata un’insolvenza selettiva. Sono inadempienti su roba scambiata pubblicamente e cercano di negoziare accordi privati con i fondi speculativi. I fondi speculativi hanno parecchia influenza nei governi ed è probabile che operino dietro le quinte per contribuire a influenzare chi ottiene i rimborsi. Se Portorico vorrà mai indebitarsi di nuovo, deve rimborsare questi tizi. E’ l’approccio degli avvoltoi”.
Nel frattempo, anche se non può chiedere un salvataggio del FMI, il governo portoricano ha già chiamato in aiuto tre ex dirigenti del FMI, tra cui l’ex capo economista del Fondo, Anne Krueger, per consigliare come procedere. In un rapporto pubblicato alla fine di giugno gli ex consulenti del FMI hanno sollecitato il governo a licenziare migliaia di insegnanti, a chiudere scuole, ad aumentare le imposte patrimoniali, a sospendere il salario minimo e a tagliare a metà le ferie remunerate.
Forse, allora, la storia debitoria di Portorico non è tanto diversa da quella della Grecia, dopotutto: entrambi hanno tradito i propri cittadini per accontentare i loro padroni coloniali. La bancarotta è OK, pare, fintanto che Wall Street e Francoforte sono rimborsate.

Originale: teleSUR English
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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