di Vincenzo Comito
Ci pare opportuno analizzare in tutti i suoi risvolti l’annuncio del varo dell’operazione di salvataggio di quattro banche da tempo in difficoltà –CariFerrara, Banca delle Marche, CariChieri e Banca Etruria -; l’occasione ci permette anche di fare il punto sulle attuali difficoltà più generali del sistema bancario nazionale e sui tentativi in atto per cercare di porre rimedio almeno a qualcuna di esse.
Le quattro banche avevano in comune una gestione quanto meno allegra e disinvolta del credito (Pavesi, 2015). Così, si possono sottolineare i prestiti dati in maniera poco trasparente, spesso a clienti assolutamente non meritevoli, o peggio ad amici degli amici; gli interventi finanziari troppo rilevanti diretti al settore immobiliare, spesso in zone lontane da quelle di radicamento delle banche; la miopia (o la complicità?) dei consigli di amministrazione, dei collegi sindacali, dei politici, dei media, che non hanno visto e sentito niente e questo in zone in cui appariva prevalente, come anche nel caso del Monte dei Paschi, la presenza e il potere del Pd; infine, gli interventi quasi sempre tardivi della Banca d’Italia.
Per altro verso, le vicende delle quattro banche rappresentano soltanto dei casi limite, delle punte di comportamento molto esposte, in una situazione più generale di degrado che ha riguardato una parte consistente del sistema creditizio italiano, almeno sino a poco tempo fa.
Come al solito, il cumulo dei problemi si è poi scaricato su dei dipendenti in larga parte almeno incolpevoli. Nelle banche travolte dalla crisi si sono così persi in due anni circa 1100 posti di lavoro. Restano ancora circa 6.000 occupati, ma si può temere che abbastanza presto, passata l’attenzione mediatica sulla questione, si porrà di nuovo mano al “ritocco” dei livelli occupazionali nonché alle retribuzioni.
L’operazione di salvataggio
Il fondo di risoluzione nazionale, creato da poco nell’ambito delle nuove normative europee in tema di ristrutturazione degli istituti in difficoltà, raccoglierà circa 4,0 miliardi di euro dal sistema bancario, mentre i crediti dubbi delle quattro società, stimati in circa 8,5 miliardi di euro di valore originario e svalutati fino a 1,5 miliardi, verranno concentrati in una “bad bank”, per essere poi presto auspicabilmente ceduti sul mercato. Anche i nuovi istituti dovranno poi ricercare dei compratori.
A subire le perdite dell’operazione saranno gli azionisti delle quattro banche e gli obbligazionisti di tipo subordinato, mentre saranno risparmiati i detentori di bond ordinari e i depositanti, anche quelli che hanno impegnato più di 100.000 euro. Va sottolineato, a questo proposito, come di frequente gli obbligazionisti subordinati abbiano a suo tempo comprato i titoli ignorandone i rischi e su suggerimento delle stesse banche. Se la ristrutturazione fosse stata compiuta nel 2016 sarebbero invece già entrate in vigore le nuove normative della Bce, che avrebbero imposto il sacrificio anche delle ultime categorie sopra citate.
Le vecchie banche verranno poste in liquidazione coatta amministrativa.
La parte sana dei quattro istituti finirà invece dentro quattro nuove strutture, delle “bridge bank”, che saranno controllate dal fondo di risoluzione, amministrato dalla Banca d’Italia.
Le nuove entità riceveranno le risorse provenienti dal sistema bancario, composto ormai di sole 208 imprese residue dopo anni di ristrutturazioni; esso si impegna a versare circa 2,350 miliardi di euro allo stesso fondo, attraverso la forma dei contributi ordinari imposti dalle normative per il 2015 ed anticipando anche altre tre annualità dei versamenti già a suo tempo previsti per i prossimi anni. Tali risorse saranno anticipate, comunque, dai tre maggiori istituti nazionali, Banca Intesa, Unicredit, Ubi, che verseranno inoltre, da parte loro, 1,650 miliardi di euro ulteriori, con restituzione prevista a 18 mesi. Su tali ultimi versamenti è prevista comunque una garanzia della Cassa Depositi e Prestiti, che scatterà nel caso in cui, alla data di scadenza del finanziamento, il sistema non sarà in grado di far fronte ai propri impegni.
I 4,0 miliardi serviranno in parte per coprire le perdite, in parte per ricapitalizzare gli istituti e per una parte ridotta, infine, a capitalizzare la “bad bank”. Il provvedimento ha avuto il via libera, sia pure, sembra, a denti stretti, da parte dell’UE e della Bce.
Sin qui la descrizione dell’operazione. Come commento alla stessa si può sottolineare che l’affermazione da parte della Banca d’Italia e dello stesso governo che non risulterebbero oneri per le finanze pubbliche dall’operazione appare, come ha subito dichiarato ad esempio il professor Bisin al Financial Times ( Sanderson, Mackintosh, 2015), una grossolana manipolazione della realtà. In effetti, sono previste esenzioni di imposte a favore degli istituti per un valore stimato in circa 500 milioni di euro, oltre alle citate garanzie a favore delle stesse banche prestatrici da parte della Cassa Depositi e Prestiti.
Si è evitata, inoltre, la invece auspicabile nazionalizzazione delle quattro entità, operazione che avrebbe potuto permettere di contribuire a impostare una nuova politica del credito. Si dispiegano così tutti gli svantaggi dell’intervento pubblico senza usufruire dei potenziali vantaggi.
Va infine sottolineato come il fondo di risoluzione, con questa operazione, esaurirà le risorse disponibili per i quattro prossimi anni: cosa succederà se in questo periodo si manifesterà qualche altra crisi bancaria?
I problemi del sistema
Le quattro banche oggetto del salvataggio controllavano all’incirca solo l’1% dei depositi del sistema bancario nazionale. Resta il problema di cosa fare con il 99% residuo e come intervenire per far ripartire il sistema.
In un’analisi molto recente fatta dall’Eba, l’autorità di controllo bancario europea, sono presi in considerazione i dati relativi a 109 banche del continente, di cui 14 italiane. Da tale studio risulta, in generale, che gli istituti del nostro paese non brillano per prestazioni su quasi altro nessun fronte, oltre a quello dell’insufficiente credito fornito all’economia. Così quelle italiane sono le peggiori, escluso Cipro, per quanto riguarda il livello di redditività; esse presentano poi il triplo di sofferenze della media dei paesi Ue, media che, a sua volta, appare avere un valore doppio rispetto a quella statunitense; anche la capitalizzazione media dei nostri istituti resta tra le più basse del continente. L’Epa condanna poi l’esposizione troppo elevata al rischio sovrano; il possesso di titoli pubblici nazionali nel portafoglio delle banche italiane appare abbastanza più elevato della media. Tra l’altro, la Commissione Europea si appresterebbe a fissare un tetto agli investimenti bancari nello stesso debito sovrano.
Lo stock dei non performing loans del sistema creditizio italiano era stimato dal fondo monetario internazionale, ancora a metà 2014, come pari a 330 miliardi di euro (200 miliardi di insolvenze e altri 130 di crediti incagliati, corrispondenti complessivamente al 16,7% dell’attivo bancario totale e al 17,1% del pil del paese, contro rispettivamente una media Ue rispettivamente del 5,6% e del 7,3%). Si tratta di un macigno che blocca una vera ripresa dell’economia. In particolare rimane al palo il credito alle piccole e medie imprese.
Entro la fine dell’anno, sempre per non incorrere nelle nuove regole che scatteranno il 1 gennaio 2016, dovrebbe poi essere creata una grande “bad bank” nella quale concentrare i crediti incagliati del sistema; un’operazione che dovrebbe valere diverse decine di miliardi di euro. Ma tale schema non può essere portato avanti senza un qualche pesante intervento dei fondi pubblici. In effetti, si ipotizza a questo proposito una qualche garanzia pubblica sempre attraverso l’intervento della Cassa Depositi e Prestiti.
Ma non è chiaro come si riuscirà a superare l’opposizione di Bruxelles, contraria a quelli che essi considera come aiuti di stato; la commissione europea ha già respinto diverse ipotesi di soluzione. Ci vorrebbe un miracolo perché si trovasse un accordo, come sussurra qualcuno. Fra poco sapremo.
Intanto il presidente della stessa commissione, Jean-Claude Juncker, in una lettera del 24 novembre indirizzata a Matteo Renzi, censura il nostro paese per non avere ancora ratificato gli accordi che vareranno il meccanismo di risoluzione unica delle crisi bancarie a livello europeo. Si sente nella lettera il nervosismo di Bruxelles sul nostro ipotizzato meccanismo della bad bank.
Le nuove regole di Bruxelles, peraltro, penalizzeranno sia le piccole banche che le piccole imprese, mentre eviteranno di regolare pezzi importanti del sistema, quali il fenomeno delle banche-ombra (shadow banking).
Testi citati nell’articolo
-Pavesi F., Quattro piccole banche, un filo rosso: la gestione disinvolta del credito,www.ilsole24ore.com, 22 novembre 2015
-Sanderson R., Mackintosh J., Italy squares up to bad loans problem with bank resolution deal, www.ft.com, 23 novembre 2015
Fonte: sbilanciamoci.info
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