di Stefano Iannaccone
Dichiarare guerra all’Isis e aiutare il miglior protettore internazionale dell’autoproclamato Califfato. In pochi giorni l’Europa ha mandato in scena tutte le sue contraddizioni. Dopo gli attentati del 13 novembre a Parigi, infatti, è stata organizzata un’offensiva militare in grande stile capitanata da François Hollande per colpire i jihadsti, con tanto di tour per chiedere la formazione di un’ampia coalizione. Appena due settimane dopo è stato ‘benedetto’ Recep Tayyip Erdogan – uno che non è famoso per fare la guerra all’Isis – perché bisognava dare una risposta al problema rifugiati.
Insomma, passato lo shock iniziale dopo gli attacchi in Francia, emerge già tutta l’ambiguità della strategia europea. L’accordo con la Turchia per la gestione dei rifugiati costa 3 miliardi di euro, ma la questione non è solo economica.
Al di là di qualche lecito dubbio su dove andranno a finire quei soldi, Bruxelles riconosce al presidente turco un ruolo di interlocutore privilegiato: proprio lui, il leader che funge da “protettore” di Abu Bakr al-Baghdadi, perché indebolisce con le bombe i curdi – gli unici sul campo a tenere testa agli islamisti – e che rifugge dall’idea di uno scontro frontale con il gruppo Stato islamico. In fondo il Sultano lo vede come uno strumento per abbattere uno dei suoi grandi nemici, il presidente Bashar Assad, appoggiato dagli sciiti dell’Iran. Non è un caso che Erdogan abbia addirittura sacrificato i rapporti con l’omologo russo, Vladimir Putin, pur di non rivedere la posizione sul regime di Damasco. Nessuna riabilitazione del dittatore siriano, insomma. Costi quel che costi.
Al di là di qualche lecito dubbio su dove andranno a finire quei soldi, Bruxelles riconosce al presidente turco un ruolo di interlocutore privilegiato: proprio lui, il leader che funge da “protettore” di Abu Bakr al-Baghdadi, perché indebolisce con le bombe i curdi – gli unici sul campo a tenere testa agli islamisti – e che rifugge dall’idea di uno scontro frontale con il gruppo Stato islamico. In fondo il Sultano lo vede come uno strumento per abbattere uno dei suoi grandi nemici, il presidente Bashar Assad, appoggiato dagli sciiti dell’Iran. Non è un caso che Erdogan abbia addirittura sacrificato i rapporti con l’omologo russo, Vladimir Putin, pur di non rivedere la posizione sul regime di Damasco. Nessuna riabilitazione del dittatore siriano, insomma. Costi quel che costi.
Certo, la strada in cui muoversi è molto stretta. Per l’Unione europea Ankara ricopre inevitabilmente un ruolo di spicco sull’arrivo di rifugiati, soprattutto quelli in fuga dalla Siria. Ma a pochi giorni dalle tensioni esplose sull’asse turco-russo, con l’abbattimento del jet di Mosca, il segnale dell’Ue è inequivocabile: viene riconosciuta piena credibilità a Erdogan, tanto da girargli un fiume di soldi. Sarà pure un mero calcolo strategico, ma il senso dell’operazione è chiaro: meglio la Turchia che può evitare l’afflusso di migranti, che la Russia nella veste di alleato anti-Califfo.
Sembra quindi che l’Europa sia disposta a pagare pur di fermare le persone in fuga dagli orrori di una guerra, ma non è effettivamente disposta a intervenire alla radice del problema incarnato dal terrorismo islamico e dai suoi fiancheggiatori internazionali. Anzi dà piena fiducia, in termine di sonanti miliardi di euro, a Erdogan che non ha la minima intenzione di scontrarsi con l’Isis assumendosi peraltro il rischio di trovare il fanatismo jihadista ai confini. Insomma all’Europa che oscilla come un pendolo da una posizione all’altra, evidentemente non interessa il reale abbattimento dell’Isis. Si accontenta di non vedere più profughi.
Fonte: gli statigenerali.com
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