di I Diavoli
Se non tradissero ancora una volta la tragica situazione in cui si dibatte l’Unione europea, le parole di Jean-Claude Juncker, a proposito dell’incarico di José Barroso presso il colosso bancario Goldman Sachs, suonerebbero comiche e paradossali. «Nell’assumere il suo nuovo impiego, José Barroso sarà ricevuto alla Commissione non più come ex presidente, ma come rappresentante d’interessi e sarà sottoposto alle regole di tutti gli altri lobbisti, in relazione al registro della trasparenza» ha dichiarato l’attuale presidente della Commissione commentando la decisione del predecessore, con particolare riferimento alle norme che dovrebbero preservare gli interessi generali dell’Unione da rischi di incompatibilità funzionali. In altri termini: da un palese conflitto d’interessi.
Mentre da più parti si chiede il ritiro della pensione di Barroso, si grida contro le revolving doors, si denuncia la contiguità tra istituzioni pubbliche e interessi privati insieme agli spregiudicati transiti dalle une agli altri, il coro di voci indignate fuorvia il dibattito e occulta dati di fatto che non è difficile cogliere.
Sempre di più, pubblico e privato sovrappongono i campi della loro azione. L’uno difende l’altro nei momenti di crisi, il secondo indirizza il primo sulla base di un tacito accordo in cui le porte tra questi due mondi non sono semplicemente aperte, bensì spalancate. Tanto l’autonomia della politica, quanto lo Stato come terreno contendibile tra interessi contrapposti, potenzialmente utilizzabile per creare diritti e tutele a vantaggio dei soggetti sociali più deboli, sono ricordi lontani. La dialettica tra istituzioni pubbliche e interessi privati si è sciolta da tempo, risolvendosi nella sostanziale identità di obiettivi, scadenze e perfino di personale. Il sistema delle revolving doors è una redistribuzione degli utili del settore privato: così, al momento giusto il “manager” pubblico – compiacente, fedele, leale – viene lautamente remunerato nel settore privato. In alcuni casi è il manager privato a essere prestato alle istituzioni per un tempo limitato, in cui “sistemare” le cose in modo pragmatico e veloce, sempre all’insegna di un’ideologica neutralità della tecnica e dei saperi, e con l’alibi di un congelamento patrimoniale o di un blind trust.
Nelle pieghe di questo favoloso, fittissimo intreccio si nasconde una trama tessuta negli anni Ottanta. È la supply-side economics, ideologia orientata a rendere più efficiente l’offerta di merci mediante l’adattamento dell’ambiente alla produzione, il peggioramento delle condizioni di lavoro, la compressione al ribasso dei salari, lo smantellamento di principi costituzionali e rigidità legislative che risultano d’intralcio all’efficienza produttiva. Trent’anni dopo, il risultato di queste politiche è sotto gli occhi di tutti: impoverimento inarrestabile dei ceti medi, aumento delle diseguaglianze, distruzione ambientale del pianeta, contesto favorevole all’implementazione della spirale guerre-terrorismo.
Il liberal-xenofobo è il cantore di questo sistema. Predica la libera circolazione dei capitali verso territori dove le condizioni fiscali e del lavoro sono più vantaggiose, mentre tuona contro la libera circolazione di uomini e donne. Mette in conto l’implosione dell’Unione sul versante della destra intollerante, razzista e sovranista, pur di esorcizzare il pericolo di una svolta in grado di riformare trattati e assetti continentali nel segno di un europeismo alternativo.
L’incesto tra pubblico e privato è mortifero, nella misura in cui elide una dialettica che dovrebbe stimolare la crescita di entrambi a partire da una condizione di reciproca autonomia. Le revolving doors sono il sintomo di una subordinazione totale del sistema pubblico, che trasforma le cariche nelle istituzioni in un training programme per il settore privato col risultato di un comune indebolimento. E se un tempo le grandi politiche pubbliche e gli investimenti di lungo termine sono stati motori insostituibili di progresso, oggi il pubblico è ridotto a ultima frontiera dell’estrazione di valore per conto dell’impresa.
Con la formula “effetto sliding doors” si indica il cosiddetto bivio di possibilità, laddove si palesano le alternative, emergono ipotesi di cambiamento, risuonano interrogativi utili a scacciare la percezione d’inevitabilità: “Che cosa sarebbe successo se…?”, “Che cosa potrebbe succedere da qui in poi se…?”
Revolving doors, invece, sono le parole che restituiscono la claustrofobica oppressione di un eterno presente, tempo immoto da cui sono bandite possibilità e alternative.
Fonte: I Diavoli
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