di Roberto Ciccarelli
Un errore di comunicazione, non politico. La responsabilità della campagna razzista del ministero della Salute sulla «fertilità» è della direttrice della comunicazione Daniela Rodorigo che è stata dimessa, non di chi ha concepito un «piano nazionale della fertilità» fondato sulla colpevolizzazione delle donne che non procreano, insensibile sia alla loro libertà anche di non procreare sia alla mancanza di un welfare (reddito, asili, tutele) che permetta a una coppia di decidere se avere un figlio o no.
È su questa linea che si è attestata la difesa della ministra della Salute Beatrice Lorenzin travolta da uno tsunami in rete, ormai da considerare il luogo dove si esprime – con lucidità e determinazione – l’opposizione sociale in Italia. La «campagna era proprio brutta», si è trattato di un «errore tecnico e di incapacità», «io faccio il ministro, non il comunicatore», «mi interessa il messaggio più della campagna in sé. Basta polemiche, contano i fatti», «i social strumentalizzano, l’immagine non era stata approvata da noi» ha detto Lorenzin nel giorno in cui il suo ministero ha celebrato il «Fertility Day». «Tecnicamente parlando la campagna è inguardabile dal punto di vista della comunicazione, avrà fatto rizzare i capelli a Berlusconi» ha detto ieri il premier Renzi a «Otto e mezzo», respingendo l’idea che Lorenzin debba dimettersi.
Per la seconda volta in meno di un mese, il governo è riuscito a sviare il problema politico creato dal «piano nazionale della fertilità», contestato ieri in almeno 12 città anche sotto il ministero della Salute a Roma: considerare la «fertilità» come un «bene comune» della nazione (si è letto su una delle ignobili immagini della prima campagna comunicativa) indipendentemente dal desiderio e dalla volontà delle donne.
Su questo aspetto decisivo, rimosso dalla ministra e dal presidente del Consiglio, si sono concentrate le critiche. «Il compito della donna, in questa filosofia della guerra, neppure così strisciante, è quello di farsi garante della tradizione e della trasmissione, quindi anche di procreare, di invertire gli indici di denatalità, di consentire la continuazione della razza» ha scritto Cristina Morini su «OperaViva».
«Questa è la retorica della colpa di essere proprietarie di un corpo-sepolcro vuoto, improduttivo, non messo a valore, l’essere in debito con la società per non riuscire a contribuire all’esistenza di nuova forza lavoro per il mercato» ha scritto Ambra Lancia su «Dinamopress».
«Ministra – si legge sul blog «Al di là del buco/Abbatto i muri», tra i più determinati nella battaglia – ma ritirare tutto il piano della fertilità e presentare le dimissioni no? Almeno per questione di buon gusto. Non è possibile che si dica al mondo che quel ministero vada per conto suo senza la sua importante supervisione e poi non assumersi la responsabilità degli errori commessi per piani nazionali e campagne del suo ministero».
Le dimissioni di Lorenzin sono state chieste ieri in piazza dalla campagna «Fertility Fake» da Roma a Milano, da Trieste a Bari, sostenuta tra gli altri dalla Rete della Conoscenza, Cgil e Arci. Lanciata da uno spot brillante ha puntato sul problema del reddito, del welfare e degli asili nido.
La rete «Io Decido» – che ha promosso con l’Udi e Donne in rete contro la violenza la manifestazione del 26 novembre a Roma contro il femmicidio e la libertà di scelta delle donne -ha denunciato anche i tagli ai centri antiviolenza. Il contenuto razzista della seconda campagna del ministero è stato duramente attaccato: «I figli delle coppie eterosessuali italiane vengono dipinti come l’antidoto contro la crisi economica, ma anche contro l’invasione migrante e l’utilizzo della scienza come strumento per superare presunti limiti etici imposti dalla natura».
A Bologna i manifestanti della «Favolosa Coalizione» hanno denunciato «la volontà politica di un grande spot all’eterosessualità obbligatoria e alla maternità come destino delle donne». «Rifiutiamo questa sessualità normata. Rivendichiamo il diritto all’autodeterminazione» sostengono i centri sociali Tpo e Labàs. «Fertilità significa coltivare desideri, libertà di scelta e diritti» hanno detto a Padova le Fuxia Block con un nutrito numero di movimenti e associazioni.
Le dimissioni della ministra sono state chieste da Sinistra Italiana che ha presentato alla Camera una mozione di censura. «Alla ministra – sostengono i deputati del Movimento Cinque stelle – piacerebbe scegliere un direttore per la comunicazione di alto profilo. Per lo stesso principio vorremmo un ministero della Salute all’altezza». La campagna sulla «fertilità» durerà un altro anno sul sito www.fertilityday2016.it.
Il sito in questione non rispetta i fondamentali parametri di accessibilità dei siti web della Pubblica Amministrazione e che valgono dal 2005. Lo ha segnalato Matteo Flora in un post pubblicato sul gruppo Facebook Italian Digital Minion. Il sito non è in linea con le normative dell’accessibilità; è online su un dominio di primo livello, anziché su uno di terzo livello (.gov.it) come richiesto dalla legge Brunetta del 2009. E, soprattutto, questo dominio non è intestato al ministero – all’indirizzo www.salute.gov.it – ma all’azienda che ha curato la comunicazione della campagna sul “fertilityday”: Mediaticamente S.r.l. Una ricerca su “Who is” conferma questo:
Il ministero della Salute ha pagato 113.300 euro per questa campagna della durata di un anno. La stessa azienda, Mediaticamente S.r.l., si è aggiudicata il servizio di comunicazione multimediale per la pubblicazione on-line di tre numeri dei quaderni del Ministero della Salute, per un importo di 35.172 euro.
Fonte: Il manifesto
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.