di Anna Maria Merlo
Silenziosamente, quasi senza suscitare reazioni, negli ultimi anni la stampa francese ha cambiato volto: «Un pugno di miliardari controlla la quasi totalità dei grandi media nazionali, stampa o audiovisivo che sia. Miliardari che certo non hanno l’informazione come mestiere principale. Miliardari che hanno quasi tutti acquisito le proprie testate non secondo logiche professionali ma con logiche di influenza e di connivenza», tra finanza, mondo politico e dirigenza dei giornali. La denuncia viene da un libro appena uscito, Main basse sur l’information (Don Quichotte, 441 pag., 19,90 euro), scritto da Laurent Mauduit, ex vice-capo redattore a Le Monde, co-fondatore del sito Mediapart.
La lista delle acquisizioni nel campo dei media francesi è, in effetti, sconcertante e comprende anche grandi nomi della stampa, conosciuti nel mondo intero.
I giornalisti di Le Monde e Libération, per esempio, hanno perso il controllo della redazione.
Mauduit descrive nei dettagli quella che chiama la «crisi morale» dei media francesi, che illustra una crisi più generale della democrazia, tanto più preoccupante a pochi mesi dalle presidenziali (previste il 23 aprile e il 7 maggio 2017), che rischiano di trasformare il ballottaggio in uno scontro tra destra ed estrema destra.
Per Mauduit anche la crisi dei media fa parte dei fallimenti della presidenza di François Hollande che, a parte una legge presentata dal deputato socialista Patrick Bloche che protegge le fonti e impone il rispetto di carte deontologiche, ha ceduto di fronte al potere del denaro.
La crisi sta contaminando anche radio e tv pubbliche, entrate in una spirale che le avvicina al modo di fare informazione delle reti audiovisive private.
Grandi nomi del mondo degli affari controllano i media, alcuni da lunga data, altri appena sbarcati come predatori: Vincent Bolloré, alla testa di un impero legato al neo-colonialismo francese (Canal+); l’affarista franco-israelianoPatrick Drahi (Libération, L’Express); Xavier Niel –telecom-, Pierre Bergé di Yves Saint-Laurent e il banchiere Matthieu Pigasse (Le Monde, Le Nouvel Observateur); Bernard Arnault presidente del gruppo di lusso Lvmh (Les Echos, principale quotidiano economico, Le Parisien, acquisito nel 2015); il miliardario libanese intermediario nel mercato internazionale delle armiIskander Safa (Valeurs Actuelles, ha messo anche le mani su parte dell’ex impero Hersant, l’altra parte del quale è finito sotto le grinfie dell’affaristaBernard Tapie); l’erede Arnaud Lagardère (Europe 1, Paris Match, Le Journal du Dimanche); il primo costruttore di lavori pubblici in Europa Martin Bouygues (Tf1, la più grossa televisione europea); Serge Dassault, aviazione e armamenti (Le Figaro); François Pinault, gruppo del lusso (Le Point); iBettencourt, proprietari de L’Oréal (L’Opinion).
Tutti personaggi che hanno, in vari momenti, intrecciato i propri interessi e concluso patti tra azionisti, in modo da costituire una vera e propria casta ristretta che tira le fila dell’economia e della politica. E influenzano i contenuti, sia attraverso pressioni esplicite sia suscitando l’autocensura dei cronisti, per bloccare inchieste scomode o dibattiti pluralisti.
Si diffonde così il «pensiero unico» neo-liberista. Era già successo con il Secondo Impero e tra le due guerre mondiali, due periodi finiti male.
Ciliegina sulla torta (marcia), sono questi miliardari a incassare il grosso degli aiuti pubblici alla stampa, pensati per garantire il pluralismo.
Vediamo i dati del 2014:
Le Figaro (Dassault) 15,2 milioni di euro
Aujourd’hui, Le Parisien e Les Echos (Arnault) 14, 4,3 e 3,4 milioni
Le Monde, Télérama e L’Obs (Neil, Pigasse, Bergé) 13,1, 7,1 e 5,2 milioni
Libération (Drahi) 8 milioni
Paris Match (Lagardère) 3,6 milioni
Le Point (Pinault) 3,5 milioni
Il «capitalismo neocoloniale» di Vincent Bolloré
Il miliardario che controlla Telecom-Tim Italia evoleva comprarsi Mediaset Premium è alla testa di un gruppo legato al capitalismo neocoloniale, presente in 45 paesi africani (porti, lavori pubblici, piantagioni ecc.).
Utilizza i giornali per influire sulla politica e ottenere contratti con i governi africani. Vincent Bolloré è alla testa dell’impero Vivendi, gruppo di media e di entertainment.
È nel capitale Telecom Italia e ha anche a che fare con la famiglia Berlusconi (Mediaset).
L’uomo d’affari è vicino agli ambienti cattolici ultra-conservatori.
Nel 2014 ha preso il controllo di Canal+ (e di «I-Télé», informazione continua). Vanta programmi soppressi (come i famosi Guignols) e l’imposizione di capo-redattori politicamente schierati all’estrema destra.
Bolloré ha tra i principali partner finanziari il Crédit mutuel, che a sua volta controlla un impero di giornali regionali («Le Progrès» di Lione, «L’Est Républicain», «Les Dernières Nouvelles d’Alsace», «L’Alsace», «Le Républicain lorrain», «Le Dauphiné libéré», «Le Bien public» e altri). Bolloré ha anche ottenuto la collaborazione di «Le Monde» ai tempi della direzione di Jean-Marie Colombani, per la pubblicazione del giornale gratuito «Direct Matin» (con l’agenzia Havas, anch’essa parte dell’impero).
L’uomo d’affari controlla anche la televisione Direct8, il sito Dailymotion, i produttori e distributori audiovisivi Banijay e Zodiak e la Csa, uno dei principali istituti di sondaggio francesi.
In dieci anni la «doppia normalizzazione» di Le Monde
Il «quotidiano di riferimento», che prima era controllato dalla Società dei redattori, cioè era di proprietà dei giornalisti, ha subito quella che Mauduit definisce una «doppia normalizzazione», prima economica – con l’entrata di Lagardère nel 2005 – e poi editoriale dal 2010, con l’irruzione del trio Bergé-Niel-Pigasse, che investono 110 milioni per prendere il 60% del giornale, accanto agli spagnoli del gruppo Prisa (editore di El Pais).
Nel 2005 la redazione ha perso la proprietà del «quotidiano di riferimento» di Francia
Xavier Niel, partito dal mondo della pornografia, dopo aver anche soggiornato nella prigione della Santé per abuso di beni sociali, in due decenni è diventato padrone del decimo patrimonio francese. Controlla Free (telefonia, Internet). È definito «Germinal dei tempi moderni» per il suo stile di management repressivo.
Matthieu Pigasse è un banchiere della banca Lazard che naviga politicamente tra destra e sinistra (da Ségolène Royal a Sarkozy). Ha contribuito allo smantellamento delle banche mutualiste francesi ai danni dello stato (e dei cittadini) e non ha disdegnato di consigliare la Caisse des dépôts ad entrare nel capitale di Pink Tv (prima rivolta al pubblico gay, poi scaduta nella pornografia). Fa affari anche con Bernard Tapie.
Pierre Bergé, ex padrone di Yves Saint-Laurent, è molto vicino all’affarista-saggista Alain Minc, burattinaio del grande assalto delle finanza sui media.
Libération dall’«assalto al cielo» all’assalto dei finanzieri
Patrick Drahi afferma di aver “salvato” la testata, caduta in una grave crisi. In pochi anni, senza che sia chiaro come abbia fatto, Drahi con la società Altice si è fatto un nome, partendo da una modesta rete cablata del sud della Francia, passando per Numéricable, Noos, Virgin Mobile, Portugal Telecom, il cablo-operatore Usa Suddenlink, controlla ora Sfr, il secondo operatore francese, che era di Vivendi (Bolloré).
In Israele controlla I24 News, tv vicina a Netanyahu.
Nel 2015 acquisisce dal belga Roularta il gruppo L’Express-L’Expansion (L’Express, settimanale fondato da Jacques Servan-Schreiber e Françoise Giroud), poi NextRadioTv, che controlla BFM-Tv (informazione continua) e Rmc.
Si getta su Libération, associato all’immobiliarista Bruno Ledoux, proprietario della ormai ex sede del quotidiano in rue Béranger, che il costruttore avrebbe voluto trasformare nel «Flore del XXI secolo», cioè in un caffè-centro di incontri a carattere commerciale (la redazione aveva reagito con una storica prima pagina di protesta: «Siamo un giornale, non un ristorante, non una rete sociale, non uno spazio culturale, non una scena tv, non un bar, non un incubatore di start-up…»).
Patrick Drahi in due anni ha fatto operazioni per 40 miliardi, tutte a debito
«Nello spazio di due anni – scrive Mauduit – il gruppo di Patrick Drahi ha messo più di 40 miliardi sul tavolo. Operazioni totalmente finanziate a credito», con la conseguente minaccia di un possibile crack, «una caricatura della finanza deregolamentata».
Drahi spreme le sue acquisizioni per poter rimborsare i crediti, facendo subire alle redazioni pesanti purghe e tagli (nelle redazioni, decimate, ma anche a Sfr, dove sono in programma 5mila licenziamenti).
L’assalto a Libération è «un caso di scuola» che è stato possibile anche grazie alla connivenza dei dirigenti del giornale, che nel 2011 avevano accettato l’entrata di Edouard de Rothschild nel capitale.
France Television e Radio France
Anche nella tv pubblica nomine di decisione politica e pressioni varie: nemmeno qui c’è pace per la libertà di informazione, mentre si diffondono sempre più nel settore pubblico i metodi in voga nel privato.
Hollande ha voluto una tv pubblica di informazione continua. Dall’inizio di settembre è in onda «FranceTvInfo» (che ha rubato il nome alla radio «FranceInfo», a termine e probabilmente minacciata di morte), che usa i mezzi di «Radio France» e di «France Média Monde», per contrastare BFM-TV, giudicata troppo ostile a Hollande.
Fonte: Il manifesto
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