Intervista a Alain Badiou di Anais Ginori
«Che cos’è la vita vera? È l’unica domanda della filosofia». Alain Badiou si è messo in testa di corrompere i giovani. Non nel senso venale, ma in quello filosofico, prendendo su di sé l’accusa che venne fatta a Socrate quando venne condannato a morte per “corruzione della gioventù”. L’intellettuale francese, 79 anni, pubblica un saggio col quale spera di convincere i ragazzi a rinunciare alla ricerca di denaro, piaceri e potere, per cercare La vera vita. «È un’espressione platonica ripresa da Rimbaud che in un momento di disperazione scrive: “La vera vita è assente”».
Per rispondere alla famosa domanda si può dunque cominciare a procedere per sottrazione. «Corrompere i giovani significa rifiutare i sentieri tracciati, l’ordine costituito, l’obbedienza cieca» racconta Badiou nell’appartamento parigino del quattordicesimo arrondissement. L’intellettuale impegnato, già maoista, scrisse qualche anno fa un popolare saggio contro Nicolas Sarkozy, visto come simbolo dei “nuovi avventurieri” delle nostre democrazie, da Berlusconi a Trump. «Con un capitalismo sempre più trionfante — commenta — il nostro sistema politico va in crisi, perché la sinistra non è più capace di mettere più un minimo di freno alle forze del mercato. La promessa di un capitalismo dal volto umano ha fallito».
Per rispondere alla famosa domanda si può dunque cominciare a procedere per sottrazione. «Corrompere i giovani significa rifiutare i sentieri tracciati, l’ordine costituito, l’obbedienza cieca» racconta Badiou nell’appartamento parigino del quattordicesimo arrondissement. L’intellettuale impegnato, già maoista, scrisse qualche anno fa un popolare saggio contro Nicolas Sarkozy, visto come simbolo dei “nuovi avventurieri” delle nostre democrazie, da Berlusconi a Trump. «Con un capitalismo sempre più trionfante — commenta — il nostro sistema politico va in crisi, perché la sinistra non è più capace di mettere più un minimo di freno alle forze del mercato. La promessa di un capitalismo dal volto umano ha fallito».
Perché ha deciso di rivolgersi ai giovani?
«Sono partito da motivazioni personali, dell’osservazione dei miei figli, dalle loro difficoltà a inserirsi nel mondo adulto. C’è poi il mio lavoro da professore che mi ha sempre obbligato a rivolgermi ai giovani. In fondo la filosofia è una forma di pedagogia, di volontà di trasformare il pensiero all’origine. Il terzo motivo che mi ha spinto è l’aver vissuto lo straordinario entusiasmo politico degli anni Sessanta e Settanta, seguito dalla delusione e persino da forma di disperazione. Una parte dei giovani vuole attingere a quell’esperienza, scavalcando i genitori».
Nel libro teorizza una sorta di un’alleanza tra nonni e nipoti.
«È un dato di fatto. Provi ad andare in qualche riunione politica, l’opposizione è giovani e vecchi contro gli adulti. La mia generazione può tramandare l’idea del possibile. La grande oppressione contemporanea non è dire che il mondo di oggi sia il migliore — tutti ammettono che non è ideale — ma nel voler convincere tutti noi dell’assenza di alternative. La vera vita significa rifiutare quest’imposizione esterna ».
Il giovanilismo è una forma di oppressione?
«I giovani sono i nuovi vecchi. Prima erano gli anziani i custodi dell’ordine costituito, che preservavano l’equilibrio sociale. Oggi sono i giovani perché è attraverso di loro, ma soprattutto dell’immagine della giovinezza, che si perpetua il sistema della concorrenza, del successo, della performance che rifiuta qualsiasi perdente. Voler rimanere giovani è qualcosa che abbiamo sempre visto nell’umanità».
Chi era giovane negli anni Sessanta ha avuto più fortuna?
«Onestamente penso di sì. L’universo della tradizione era ancora sufficientemente forte per permettere alla rivolta di avere un senso all’interno della modernità. La propaganda del capitalismo vuole imporre un’unica idea di modernità o postmodernità, e forse un giorno post-postmodernità: alla fine parliamo sempre della stessa cosa, visto che è scomparso l’ideale rivoluzionario ».
Cosa significa oggi ribellarsi?
«Spesso la rivolta resta intrappolata nel mondo contemporaneo, si riduce a essere un sintomo della malattia. In Occidente, le rivolte sono per lo più nostalgiche, tendono a voler conservare l’epoca d’oro del welfare, in nome di un passato ormai superato. Penso ad esempio ai ragazzi del movimento Occupy Wall Street che, pur con lodevoli intenzioni, rappresentano un ridotto manipolo della classe media minacciata, una protesta piccolo- borghese destinata a svanire nel nulla, in mancanza di un legame con i veri diseredati del pianeta. L’altro tipo di ribellione che osserviamo tra i giovani è quella nichilista, che nasce nella modernità occidentale ma la vuole combattere. Il terrorismo islamico, ad esempio. Nessuna di queste è una vera rivolta. Il Ventunesimo secolo dovrebbe essere un nuovo Settecento, un secolo di nuovi Lumi, e noi filosofi dovremmo esercitare la nostra funzione destabilizzante».
Esiste una “falsa vita”?
«L’antitesi non è falsa, ma buona. Una buona vita, secondo le convenzioni, è un’esistenza orientata verso la comodità, il tornaconto personale, l’accumulazione individuale. La vera vita è invece una ricerca di condivisione, porta in sé un’energia creatrice, da cui far scaturire un nuovo sistema di valori universali. È quel che Senofonte descrive nell’Anabasi, ovvero la risalita, l’erranza, lo sradicamento. In definitiva significa vivere, e non sopravvivere ».
Lei riduce tutto alla crisi del capitalismo?
«L’Occidente attraversa una crisi più profonda, siamo nel mezzo di quel disagio della civiltà di cui già parlava Freud. La simbologia è stata distrutta dal capitale, come Marx aveva annunciato. Per questo credo in una ripartenza individuale, in compagnia dell’umanità intera.
Una nuova simbolizzazione egualitaria. Se accetteremo la logica di dominio del capitalismo, andremo verso cataclismi. Tutti i drammi dell’umanità vengono dall’incontro tra meccanismi di potenza e disuguaglianza. Persino la ricchezza dell’aristocrazia durante l’Ancien Régime non provocava squilibri forti come quelli di oggi».
La “simbolizzazione egualitaria” di cui lei parla non è già fallita nel Novecento?
«Non ho problemi a riconoscere il fallimento del comunismo, ma non accetto l’ordine costituito del capitalismo, che sta producendo un caos mondiale, con diseguaglianze spaventose. La cosiddetta ideologia neoliberista, direi anzi liberista tout court perché si ripete da due secoli, è una semplice volontà di dominio. Dobbiamo invece creare nuove ideologie, senza prendere il rischio di riprodurre eredità del passato, escatologie rivoluzionarie sbagliate non solo sul piano empirico ma anche ideologico, perché opponevano la potenza dello Stato a quella del capitale. Confesso di non sapere, esattamente, cosa si dovrebbe fare. Già porsi la domanda, ed esprimere un’esigenza, mi pare un progresso. Sono comunque ottimista. Il capitalismo è giovane, ha solo qualche secolo. È diventato egemonico nell’Ottocento, poi c’è stata una contro-teoria, il comunismo, tramontata nel Ventesimo secolo. Il primo round è finito. Sta per cominciare il secondo. E noi stiamo nella fase di mezzo, quella più incerta e difficile».
Fonte: La Repubblica
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.