di Giovanna Capelli
Con grande stupore e perplessità abbiamo da poco ricevuto dalla Lista Comitato No guerra No Nato e dalla rete No War di Roma un aspro comunicato di dissociazione e contrasto nei confronti della manifestazione di sabato 24 settembre 2016 a Roma, indetta dall’Ufficio Informazione del Kurdistan in Italia e dalla Rete Kurdistan a sostegno del popolo curdo, della rivoluzione democratica in Rojava, per la liberazione di Ocalan, contro l’invasione turca del Rojava, contro la repressione turca del movimento curdo e democratico, per bloccare il sostegno USA/UE a Erdogan e il vergognoso accordo sui profughi, contro la barbarie dell’ISIS e per il confederalismo democratico.
Le adesioni alla manifestazione sono significative e ampie sul piano politico, sociale e dei molti soggetti, che in qualche modo agiscono nel campo della solidarietà internazionalista, della difesa della pace e della giustizia sociale e fanno ben sperare nella riuscita della mobilitazione e del suo essere possibile punto di partenza per una percezione più allargata della posta in gioco in Medio Oriente e per un allargamento popolare della attenzione, del sostegno e della solidarietà attiva alla lotta del popolo curdo.
Come Partito della Rifondazione Comunista abbiamo aderito a questa giornata, dando così continuità al nostro impegno a fianco del popolo curdo, che per noi è tratto costitutivo della declinazione del nostro internazionalismo a partire dalle feste e dalle iniziative dei circoli e delle federazioni,, fino alla cittadinanza onoraria data a Ocalan dalle città di Napoli e Palermo grazie alla proposta e al contributo dei nostri consiglieri e assessori e alla ospitalità che il PRC ha dato a Fighen Yuksekdag, Copresidente del HDP nel mese di giugno conclusasi con una conferenza stampa alla Camera e poi in un colloquio diretto con il Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei Diritti Umani On.Luigi Manconi. La compagna Fighen Yuksekdag ha denunciato la situazione di emergenza umanitaria in cui si trova il popolo turco e curdo sotto il regime di Erdogan, sollecitando un cambio di rotta nella politica del Governo Italiano e della UE. Ci ha anche illustrato con evidenza logica e passione politica il nesso fra la esperienza della lotta del HDP, partito multietnico, femminista e laico contro il regime di Erdogan e la rivoluzione del Rojava, come punta avanzata di una nuova pratica del socialismo e della democrazia.
D’altro canto molte volte siamo scesi in piazza o abbiamo firmato appelli del Comitato No Guerra, No Nato, denunciando i disegni criminali dell’imperialismo americano, la funzione della Nato in Italia e in Europa, la sua riorganizzazione strategica militare e politica, la sua particolare aggressività ai confini dell’Europa, a partire dall’Ucraina, dallo scudo antimissili fino alle pressioni economiche e politiche per fare entrare nella Nato paesi nuovi appartenenti prima al blocco sovietico e ora utilizzati in funzione antirussa. Valutiamo quindi positivamente il lavoro di controinformazione e di iniziativa politica del Comitato No Guerra No Nato. Per questi legami profondi sia con la lotta del popolo curdo e che con l’impegno contro la guerra, la Nato e per il suo scioglimento vogliamo rispondere in modo argomentativo e non assiomatico, non solo per puntualizzare il dissenso da quel testo, ma per innalzare il livello del dibattito, per uscire dagli slogan e dai luoghi comuni e anche soprattutto da modalità di approccio e di relazione fra i soggetti del movimento contro la guerra, che invece di essere occasioni di chiarimento, di innalzamento dei saperi e di consolidamento delle relazioni costruiscono solo divisione e frammentazione. La fase di grave pericoli di guerra alle porte d’Europa richiederebbe invece uno sforzo per connettere le forze antimperialiste, quelle che si battono contro la guerra, i soggetti che praticano la solidarietà internazionalista.
I punti del dissenso sono a due livelli di merito e di metodo.
Riguardo al merito il comunicato del Comitato elenca una serie di “errori”, che non vengono imputati agli organizzatori della manifestazione, ma “alle scelte che una parte della sua dirigenza ha imposto in Siria e che la piattaforma della manifestazione non mette in discussione.” Si precisa così l’oggetto del contendere, cioè la politica di alleanze internazionali della rivoluzione curda in Rojava e della esperienza del confederalismo democratico. Non viene messo al primo posto dunque, condiviso o criticato il progetto di trasformazione politico e sociale e il forte carattere innovatore di una rivoluzione che, mentre combatte in una terribile guerra civile, costruisce nelle zone liberate una società che si emancipa contestualmente dalle incrostazioni feudali e patriarcali ,organizza un sistema democratico che sperimenta la democrazia partecipata e pensa di potere fare a meno, in questo processo di uno “stato” curdo come obiettivo strategico della lotta di liberazione del popolo curdo. Tutta questa complessa elaborazione, cui ha dato un contributo decisivo il compagno Ocalan, sostenuta dalla esperienza e dalla pratica rivoluzionaria diventa contenuto inerte e ininfluente, perché il suo sviluppo e il suo non scontato affermarsi sconvolge il quadro geopolitico delle alleanze e dei conflitti fra potenze mondiali e regionali e oggettivamente non si scontra e definitivamente e in primo luogo con i piani dell’imperialismo americano. La strategia Usa è nota: gli Usa (come hanno fatto in Europa nella guerra dei Balcani e ora in Irak), dividono gli stati coloniali e li ristrutturano per linee etniche e/o religiose conflittuali e rendono queste nuove entità subalterne con alleanze militari e patti economici. Anche in Siria gli Usa perseguono questo schema. Al Comitato No Guerra,no Nato non piace che i curdi contrastino l’invasione turca del Rojava, ma non denuncino la contestuale violazione della sovranità siriana e addirittura essi stessi in qualche modo siano strumento di una violazione quando accolgono gli aiuti e la presenza militare Usa. Per dirimere questa contraddizione è fondamentale conoscere le ragioni dell’atteggiamento della rivoluzione curda del Rojava nei confronti di Assad e del suo governo, prima e dopo il 2012, quando il popolo del Kurdistan occidentale ha preso in mano la gestione e l’amministrazione della città di Kobane ed è stato riconosciuto in tutto il mondo come la terza forza in Siria.
I curdi siriani arrivano alla fase delle cosiddette primavere arabe con alle spalle anni di resistenza alle discriminazioni e alla repressione a partire dal massacro del 2004 nella città di Qamislo, in seguito al quale i curdi si sono dati una organizzazione di autodifesa e una strategia di intervento nel sociale (formazione del Partito dell’Unione Democratica, PYD e delle forze di difesa del popolo YPG). Il movimento curdo ha deciso di seguire un corso autonomo e indipendente, prendendo le distanze sia dal governo Baath che dalle forze di opposizione, indirizzando chiaramente i suoi sforzi militari contro l’ISIS e pretende ora una presenza autonoma al tavolo di trattativa a Ginevra.
La piattaforma della manifestazione del 24 riflette dunque dal punto di vista del soggetto sotto attacco, cioè il popolo curdo, l’articolazione e l’intreccio fra l’individuazione del nemici principali da battere e gli obiettivi strategici che quel movimento si è dato nella ricerca di unire lotta per l’autodeterminazione e costruzione di una prospettiva di nuova società.
In questo percorso, e qui sta la critica di metodo, la sovranità della decisione sulla strategia e sulla tattica è nelle mani del popolo curdo e delle organizzazioni politiche e sociali che si è dato.
Il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione del popolo curdo non può essere cancellato da una logica geopolitica, che per altro sembra non prendere atto della prospettiva non indipendentista verso la quale il popolo curdo del Rojava ha indirizzato la propria lotta. I compagni e le compagne curde costituiscono nella regione una delle poche soggettività che si battono contro lo smembramento degli stati per linee etniche e/o religiose, ma si battono per la democrazia, il rispetto delle differenze etniche e religiose, la partecipazione popolare, in definitiva per una prospettiva di una società socialista e antipatriarcale.
Qualsiasi dubbio e/o parere discorde da parte esterna è naturalmente legittimo, esternabile, ma mai finalizzato alla produzione cristallizzata della contraddizione amico/nemico e alla costruzione di condanne e di giudizi sommari.
Fonte: Rifondazione Comunista
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.