di Gabriele Messina
“Gli Egiziani sono come i cammelli: possono sopportare a lungo ogni tipo di violenza, punizione, umiliazione e fame, ma quando si ribellano lo fanno così all’improvviso e con tale forza che diventa impossibile domarli”. La citazione ripresa dal romanzo “La rivoluzione egiziana” di Ala Al-Aswani (Milano 2011), rappresenta in maniera perfetta l’indole e lo spirito del popolo egiziano. In queste poche frasi è riassunta l’evoluzione storica del popolo egiziano, che dalla rinascita ottocentesca sino ai più recenti accadimenti non ha mai piegato la testa dinanzi alle violenti repressioni di monarchi e dittatori, insorgendo a più riprese verso un’autorità spesso assoluta e repressiva.
La storia del popolo egiziano è storia di rivoluzioni, fermento sociale ed attivismo. La storia dell’Egitto è però anche storia di illusioni ed aspettative disattese dai governi. Ma la storia dell’Egitto è anche storia di un sistema politico instabile e di una transizione democratica mai realmente compiuta. La rivoluzione del 2011-2013 sembra essere preannunciata dalla continua insoddisfazione del popolo d’Egitto, che nel corso di due secoli ha sempre cercato di far sentire la sua voce nei confronti di dominatori e dittatori. Nell’analisi dell’odierna situazione politica egiziana, pertanto, non si può non prendere in considerazione come punto di partenza, quello che Roger Owen chiama “Stato coloniale” (in Stato, potere e politica nella formazione del Medio Oriente moderno) inteso come dominio imposto da potenze colonizzatrici, né si può prescindere da una breve trattazione dell’evoluzione storica del Paese. Un’analisi necessaria per comprendere non solo la struttura politico-economica del Paese, ma anche l’attivismo sociale che ha sempre caratterizzato la vita socio-politica egiziana. La spedizione napoleonica in Egitto segna uno spartiacque nella linea del tempo che caratterizza la storia egizia. Da questo momento in poi la contaminazione con l’Occidente e con la modernità diverrà inarrestabile. Si tratta, tuttavia, di un giudizio storiografico che non deve trarre in inganno, dal momento che l’Egitto ottomano non era stato completamente decadente. Aveva già manifestato dei segni di rinascita, vivacità economica e culturale, raggiungendo il suo culmine con le stagioni riformiste di Alì-Bey il Grande e Muhammad Alì. Venne meno il sistema feudale e il Paese visse un primo accenno di industrializzazione. Venne istituito un sistema di prelievo fiscale e l’esercito venne reso efficiente ed organizzato sul modello europeo. Ma si trattava di riforme che spesso si trascinavano dietro malcontenti e sollevazioni popolari. I sovrani che seguirono continuarono nell’opera di modernizzazione del Paese, salvo brevi parentesi conservatrici. Investimenti, crescita, servizi, infrastrutture avevano un costo, pagato dal popolo che a più riprese insorgeva. La stessa inaugurazione del canale di Suez, con manifestazioni sfarzose a spese degli egiziani, dissanguò del tutto il regno di Ismail. Il crac fu inevitabile e l’Egitto dovette sottostare al giogo anglo-francese. Cominciava così il lungo periodo di dominio europeo. Manovrando il Khedivé, gli europei erano i veri padroni dell’Egitto. Tuttavia, il popolo non piegava completamente la testa e proprio in quegli anni cominciò a formarsi in embrione un movimento nazionalista e costituzionalista che contrastava il dominio assoluto degli europei. Il 1882 segna l’inizio dell’esclusivo controllo coloniale britannico sull’Egitto. Si trattò di un colpo di mano acconsentito dalla Francia che riconosceva gli interessi inglesi in Egitto in cambio del riconoscimento del controllo francese di Marocco e Tunisia. Uno scambio reciproco che sarà formalizzato con l’Entente cordiale del 1904. Si trattò di un’occupazione non militare, bensì politica ed economica. Formalmente parte dell’impero ottomano, l’Egitto appariva sostanzialmente indipendente con un proprio sovrano, ma si trattava di sovrani fantoccio nelle mani di generali inviati da Londra, che in molte occasioni riproposero il concetto del “fardello dell’uomo bianco” portatore di civiltà. Un’occupazione coloniale che registra nel complesso un risultato negativo. Approfondì le distorsioni nella struttura economica a causa di una iper-specializzazione liberista che moltiplicava la produzione di cotone, eliminando gli spazi per una produzione alimentare necessaria al sostentamento della popolazione. Aumentarono le sperequazioni nella distribuzione dei redditi e il sistema educativo regredì. Si trattava di una scelta strategica, dal momento che lo sviluppo di una coscienza critica avrebbe favorito disordini sociali. Tutto questo alimentava lo sviluppo di un sentimento nazionalistico da parte della popolazione che richiedeva pane e progresso culturale. Cresceva il sentimento nazionalista di giovani egiziani che volevano cacciare l’occupante, si moltiplicavano i movimenti nazionalisti e gli egiziani sembravano guadagnare terreno. Il clima culturale ebbe una svolta e la nascita di periodici e quotidiani lo dimostra. Con la prima guerra mondiale, si chiudeva per mano inglese e definitivamente il lungo rapporto con la Turchia durato quattro secoli. Nel timore di un’alleanza a favore dell’Intesa, gli inglesi avevano deposto il Khedivé ed istituito un sultanato. L’Egitto diventava protettorato inglese sino all’indipendenza raggiunta solo nel 1922 dopo un lungo tira e molla e sollevazioni nazionaliste. Formalmente padrone del suo territorio, l’Egitto rimaneva nelle mani degli inglesi che solo sulla carta rinunciavano al controllo coloniale ma conservavano una decisiva presenza militare del Paese. Riflettere sul passato dell’Egitto moderno, partendo proprio dalla rinascita ottocentesca, è la chiave di volta per comprendere lo sviluppo del fermento sociale che porterà alla rivoluzione del 2011, dal momento che il germe dei movimenti nazionalisti trova spazio in quel periodo. Proprio durante quegli anni nasce il Wafd, movimento nazionalista di estrazione elitaria ed acerrimo nemico inglese. La vita politica dell’Egitto monarchico non fu di certo più semplice di quella passata, dal momento che a contendersi la partita erano tre attori in gioco: l’Inghilterra, il sovrano e il Wafd che da movimento nazionalista si era trasformato in partito politico. A pagare il prezzo di questa divergenza di posizioni tra gli attori in gioco fu proprio l’Egitto, dove si rese impossibile un decollo verso la democrazia e la dialettica politica. Varata la Costituzione del 1923, frutto dell’orientamento liberale moderato che prevaleva nella classe politica egiziana, nasceva una monarchia costituzionale-parlamentare. E proprio in parlamento il Wafd, ottenne una vittoria schiacciante. Seppur non gradito dal sovrano e dagli inglesi, il governo egiziano nasceva sotto l’ala del partito Wafd. Si trattò di una breve esperienza che si concluse quando l’acceso nazionalismo dell’esecutivo portò all’uccisione del governatore del Sudan e condusse il governo alle dimissioni. Un movimento bottom up riusciva a diventare un forte elemento di condizionamento delle strutture istituzionali, giungendo persino a dominarle. Seguirono governi non legittimati, crisi istituzionali senza precedenti e sovrani sempre impegnati a sciogliere le camere e a governare il Paese in modo autoritario ed antidemocratico. L’instabilità politico-istituzionale aveva dei riflessi anche in campo economico-sociale che avranno una importante rilevanza nello scoppio delle rivoluzioni del 2011-2013. Nascevano movimenti, proliferavano i partiti e si dilatavano le posizioni sulle forme istituzionali “giuste” e quindi da seguire, un pendolo che oscillava tra laicismo e commistione religiosa. È proprio in quegli anni, nel 1928, che nasce il movimento di Al-Khwan al-muslimun, meglio conosciuti come Fratelli Musulmani. L’associazione era promossa da un giovane maestro Hasan Al Banna, predicatore carismatico che voleva imprimere una svolta alla vita religiosa dell’Egitto, un vero e proprio rinnovamento dell’Islam. La diffusione dei Fratelli Musulmani in Egitto ha del prodigioso: alla fine degli anni ’30 si contavano mezzo milione di attivisti, divennero due milioni dopo la seconda guerra mondiale e l’associazione cominciò a ramificarsi anche al di fuori dell’Egitto. Progressivamente Al Banna diede alla sua creazione una organizzazione precisa e gerarchica e intensificò l’attività propagandistica. La presenza dei Fratelli Musulmani nel tessuto sociale divenne capillare. Si tratta di un dato che avrà una importante rilevanza nell’evoluzione dei fatti del 2011-2013 e che aiuta a comprendere meglio la persistenza di manifestazioni a favore della Fratellanza, anche dopo Morsi. L’obiettivo di Al Banna era duplice: ritornare all’autentico Islam, quello dei Salaf e dei primi aiutanti del Profeta rifondando i costumi e creare uno stato islamico, che doveva nascere sul modello di una democrazia parlamentare. “Libertà ed educazione” era il loro slogan. Non un’azione violenta e rivoluzionaria, ma una rivoluzione della mentalità, dei costumi e dello spirito. L’ascesa dei Fratelli Musulmani in Egitto segna dunque l’arrivo di una moderna politica di massa. Allargano le basi della partecipazione popolare ponendosi come elemento di rottura di un sistema che aveva visto la nascita di movimenti come quello nazionalista che avevano però base elitaria. La storia dei Fratelli Musulmani si lega in maniera molto stretta all’evoluzione istituzionale egiziana e al movimento degli Ufficiali liberi (alcuni degli ufficiali erano parte della Fratellanza). L’attivismo, la partecipazione, l’impegno politico e sindacale insieme alla grande voglia di mobilitazione hanno profondamente caratterizzato il popolo egiziano. Riflettere su questo aspetto è cruciale per comprendere l’evoluzione delle rivoluzioni arabe.
La storia del popolo egiziano è storia di rivoluzioni, fermento sociale ed attivismo. La storia dell’Egitto è però anche storia di illusioni ed aspettative disattese dai governi. Ma la storia dell’Egitto è anche storia di un sistema politico instabile e di una transizione democratica mai realmente compiuta. La rivoluzione del 2011-2013 sembra essere preannunciata dalla continua insoddisfazione del popolo d’Egitto, che nel corso di due secoli ha sempre cercato di far sentire la sua voce nei confronti di dominatori e dittatori. Nell’analisi dell’odierna situazione politica egiziana, pertanto, non si può non prendere in considerazione come punto di partenza, quello che Roger Owen chiama “Stato coloniale” (in Stato, potere e politica nella formazione del Medio Oriente moderno) inteso come dominio imposto da potenze colonizzatrici, né si può prescindere da una breve trattazione dell’evoluzione storica del Paese. Un’analisi necessaria per comprendere non solo la struttura politico-economica del Paese, ma anche l’attivismo sociale che ha sempre caratterizzato la vita socio-politica egiziana. La spedizione napoleonica in Egitto segna uno spartiacque nella linea del tempo che caratterizza la storia egizia. Da questo momento in poi la contaminazione con l’Occidente e con la modernità diverrà inarrestabile. Si tratta, tuttavia, di un giudizio storiografico che non deve trarre in inganno, dal momento che l’Egitto ottomano non era stato completamente decadente. Aveva già manifestato dei segni di rinascita, vivacità economica e culturale, raggiungendo il suo culmine con le stagioni riformiste di Alì-Bey il Grande e Muhammad Alì. Venne meno il sistema feudale e il Paese visse un primo accenno di industrializzazione. Venne istituito un sistema di prelievo fiscale e l’esercito venne reso efficiente ed organizzato sul modello europeo. Ma si trattava di riforme che spesso si trascinavano dietro malcontenti e sollevazioni popolari. I sovrani che seguirono continuarono nell’opera di modernizzazione del Paese, salvo brevi parentesi conservatrici. Investimenti, crescita, servizi, infrastrutture avevano un costo, pagato dal popolo che a più riprese insorgeva. La stessa inaugurazione del canale di Suez, con manifestazioni sfarzose a spese degli egiziani, dissanguò del tutto il regno di Ismail. Il crac fu inevitabile e l’Egitto dovette sottostare al giogo anglo-francese. Cominciava così il lungo periodo di dominio europeo. Manovrando il Khedivé, gli europei erano i veri padroni dell’Egitto. Tuttavia, il popolo non piegava completamente la testa e proprio in quegli anni cominciò a formarsi in embrione un movimento nazionalista e costituzionalista che contrastava il dominio assoluto degli europei. Il 1882 segna l’inizio dell’esclusivo controllo coloniale britannico sull’Egitto. Si trattò di un colpo di mano acconsentito dalla Francia che riconosceva gli interessi inglesi in Egitto in cambio del riconoscimento del controllo francese di Marocco e Tunisia. Uno scambio reciproco che sarà formalizzato con l’Entente cordiale del 1904. Si trattò di un’occupazione non militare, bensì politica ed economica. Formalmente parte dell’impero ottomano, l’Egitto appariva sostanzialmente indipendente con un proprio sovrano, ma si trattava di sovrani fantoccio nelle mani di generali inviati da Londra, che in molte occasioni riproposero il concetto del “fardello dell’uomo bianco” portatore di civiltà. Un’occupazione coloniale che registra nel complesso un risultato negativo. Approfondì le distorsioni nella struttura economica a causa di una iper-specializzazione liberista che moltiplicava la produzione di cotone, eliminando gli spazi per una produzione alimentare necessaria al sostentamento della popolazione. Aumentarono le sperequazioni nella distribuzione dei redditi e il sistema educativo regredì. Si trattava di una scelta strategica, dal momento che lo sviluppo di una coscienza critica avrebbe favorito disordini sociali. Tutto questo alimentava lo sviluppo di un sentimento nazionalistico da parte della popolazione che richiedeva pane e progresso culturale. Cresceva il sentimento nazionalista di giovani egiziani che volevano cacciare l’occupante, si moltiplicavano i movimenti nazionalisti e gli egiziani sembravano guadagnare terreno. Il clima culturale ebbe una svolta e la nascita di periodici e quotidiani lo dimostra. Con la prima guerra mondiale, si chiudeva per mano inglese e definitivamente il lungo rapporto con la Turchia durato quattro secoli. Nel timore di un’alleanza a favore dell’Intesa, gli inglesi avevano deposto il Khedivé ed istituito un sultanato. L’Egitto diventava protettorato inglese sino all’indipendenza raggiunta solo nel 1922 dopo un lungo tira e molla e sollevazioni nazionaliste. Formalmente padrone del suo territorio, l’Egitto rimaneva nelle mani degli inglesi che solo sulla carta rinunciavano al controllo coloniale ma conservavano una decisiva presenza militare del Paese. Riflettere sul passato dell’Egitto moderno, partendo proprio dalla rinascita ottocentesca, è la chiave di volta per comprendere lo sviluppo del fermento sociale che porterà alla rivoluzione del 2011, dal momento che il germe dei movimenti nazionalisti trova spazio in quel periodo. Proprio durante quegli anni nasce il Wafd, movimento nazionalista di estrazione elitaria ed acerrimo nemico inglese. La vita politica dell’Egitto monarchico non fu di certo più semplice di quella passata, dal momento che a contendersi la partita erano tre attori in gioco: l’Inghilterra, il sovrano e il Wafd che da movimento nazionalista si era trasformato in partito politico. A pagare il prezzo di questa divergenza di posizioni tra gli attori in gioco fu proprio l’Egitto, dove si rese impossibile un decollo verso la democrazia e la dialettica politica. Varata la Costituzione del 1923, frutto dell’orientamento liberale moderato che prevaleva nella classe politica egiziana, nasceva una monarchia costituzionale-parlamentare. E proprio in parlamento il Wafd, ottenne una vittoria schiacciante. Seppur non gradito dal sovrano e dagli inglesi, il governo egiziano nasceva sotto l’ala del partito Wafd. Si trattò di una breve esperienza che si concluse quando l’acceso nazionalismo dell’esecutivo portò all’uccisione del governatore del Sudan e condusse il governo alle dimissioni. Un movimento bottom up riusciva a diventare un forte elemento di condizionamento delle strutture istituzionali, giungendo persino a dominarle. Seguirono governi non legittimati, crisi istituzionali senza precedenti e sovrani sempre impegnati a sciogliere le camere e a governare il Paese in modo autoritario ed antidemocratico. L’instabilità politico-istituzionale aveva dei riflessi anche in campo economico-sociale che avranno una importante rilevanza nello scoppio delle rivoluzioni del 2011-2013. Nascevano movimenti, proliferavano i partiti e si dilatavano le posizioni sulle forme istituzionali “giuste” e quindi da seguire, un pendolo che oscillava tra laicismo e commistione religiosa. È proprio in quegli anni, nel 1928, che nasce il movimento di Al-Khwan al-muslimun, meglio conosciuti come Fratelli Musulmani. L’associazione era promossa da un giovane maestro Hasan Al Banna, predicatore carismatico che voleva imprimere una svolta alla vita religiosa dell’Egitto, un vero e proprio rinnovamento dell’Islam. La diffusione dei Fratelli Musulmani in Egitto ha del prodigioso: alla fine degli anni ’30 si contavano mezzo milione di attivisti, divennero due milioni dopo la seconda guerra mondiale e l’associazione cominciò a ramificarsi anche al di fuori dell’Egitto. Progressivamente Al Banna diede alla sua creazione una organizzazione precisa e gerarchica e intensificò l’attività propagandistica. La presenza dei Fratelli Musulmani nel tessuto sociale divenne capillare. Si tratta di un dato che avrà una importante rilevanza nell’evoluzione dei fatti del 2011-2013 e che aiuta a comprendere meglio la persistenza di manifestazioni a favore della Fratellanza, anche dopo Morsi. L’obiettivo di Al Banna era duplice: ritornare all’autentico Islam, quello dei Salaf e dei primi aiutanti del Profeta rifondando i costumi e creare uno stato islamico, che doveva nascere sul modello di una democrazia parlamentare. “Libertà ed educazione” era il loro slogan. Non un’azione violenta e rivoluzionaria, ma una rivoluzione della mentalità, dei costumi e dello spirito. L’ascesa dei Fratelli Musulmani in Egitto segna dunque l’arrivo di una moderna politica di massa. Allargano le basi della partecipazione popolare ponendosi come elemento di rottura di un sistema che aveva visto la nascita di movimenti come quello nazionalista che avevano però base elitaria. La storia dei Fratelli Musulmani si lega in maniera molto stretta all’evoluzione istituzionale egiziana e al movimento degli Ufficiali liberi (alcuni degli ufficiali erano parte della Fratellanza). L’attivismo, la partecipazione, l’impegno politico e sindacale insieme alla grande voglia di mobilitazione hanno profondamente caratterizzato il popolo egiziano. Riflettere su questo aspetto è cruciale per comprendere l’evoluzione delle rivoluzioni arabe.
Fonte: Scenari Mimesis
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