La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 3 dicembre 2015

Caos di guerra

di Tommaso Di Francesco 
Stiamo facendo tutti finta di non vedere quel che sta per accadere in Siria: una guerra di ancora più vaste proporzioni che va ad aggiungersi a quella in corso che l’Occidente ha alimentato sostenendo radicalismi armati di ogni genere purché fossero contro Assad. Sarà un caos belli così devastante che l’abbattimento del jet russo da parte dell’aviazione turca — vero apripista di questo scenario caotico e micidiale — sembra un piccolo incidente di passaggio.
Dopo gli attentati di Parigi, la Francia dello stato d’emergenza ha avviato la sua guerra di vendetta contro lo Stato islamico, ma alla fine pronta a coordinare le azioni militari con la Russia già sul campo. Perché l’aviaziona russa era nel frattempo intervenuta di fronte alla débâcle del fronte occidentale, quella coalizione degli «Amici della Siria» — dagli Usa, ai Paesi europei alle petromonarchie del Golfo — impossibilitata a sbrogliare la matassa siriana dopo averla imbrogliata fino alla distruzione attuale. La risposta all’intervento russo non si è fatta attendere, con la bomba sull’aereo civile da parte dell’Isis e con l’abbattimento del jet militare Sukhoi da parte dell’aviazione di Ankara, grande sponsor dell’Isis. L’intervento militare anti-russo del Sultano atlantico Erdogan è stato indirizzato a far fallire ogni possibilità di essere esclusi dalla spartizione della Siria e dalle mire contro l’Iran. E quindi contro i risultati «unitari» del vertice di Antalya che, proprio in Turchia, aveva visto il riavvicinamento tra Putin e Obama.
La china presa dai nuovi annunci d’intervento armato nell’area, è un precipizio che sembra premiare proprio l’intraprendenza criminale di Erdogan, non a caso baluardo Nato. Accade così che la Gran Bretagna, nonostante i pacifisti e la volontà del leader laburista Corbyn, sia avviato verso i bombardamenti e già la Raf scalda i motori nella base britannica di Akrotiri a Cipro; che il segretario alla difesa Usa Carter annunci «stivali a terra» in Iraq, per operazioni mirate e addirittura in Siria per «operazioni unilaterali».
Accade che Netanyahu riveli che raid e operazioni coperte israeliane siano ormai in corso in territorio siriano; che arrivino truppe e aerei tedeschi fuori da ogni logica di legittimità dopo il passato della Germania ora riunificata; e che Federica Mogherini Mister Pesc cerchi un nuovo bis: mentre Renzi dichiara di non volere una «Libia bis», la rappresentante Ue chiama a responsabilità, per Siria e Libia, la Nato, cioè la protagonista dei raid che, con l’abbattimento di Gheddafi, hanno aperto il varco ai jihadisti e ai loro santuari verso Siria, Tunisia, Iraq e Mali. Si allarga dunque la scena bombardante, dei paesi che corrono alla spartizione della terra siriana e ad un ipotetico quanto lontano tavolo dei negoziati, pronti a gridare «vittoria»: ma chi avrà diritto a sedersi al tavolo dei vincitori, davvero non è chiaro.
Chiaro è che Damasco fa sapere che ogni azione militare, su terra e dal cielo, che non sia concordata — come quelle russa e francese — con il governo siriano è considerata «aggressione»: e si riferisce al ruolo dell’esercito di Ankara, a quello britannico e degli Stati uniti, per non parlare dei raid israeliani. La guerra dunque si allarga ancora di più. Mentre Obama ripete — come una litania — «Assad se ne deve andare», dimenticando che proprio per mandare via Assad la sua coalizione dal 2012 a alla fine del 2014, quando gli Usa si sono «ravveduti», ha sostenuto proprio il nemico jihadista. È certo e sicuro che Assad dovrà uscire di scena, probabilmente nell’arco di un anno; la Russia dice che deve decidere il suo popolo. Ma ora non a caso proprio la Francia con il ministro degli esteri Fabius sembra legittimare «con l’esercito libero siriano» anche l’«esercito di Damasco» come le vere truppe di terra da valorizzare.
Mentre Obama pronuncia la cantilena «Assad se ne deve andare», invece sostiene Erdogan e il suo spazio aereo: il Sultano che massacra il suo popolo kurdo, che fa strage dell’opposizione e stralcia i diritti umani arrestando giornalisti che denunciano i traffici sporchi di Ankara con l’Isis. No Erdogan non solo non se ne deve andare, ma l’Ue gli regala 3 miliardi di euro per recintare e arrestare migranti, mentre il vertice Nato è corso in suo aiuto contro l’«aggressività russa nell’area». E mentre «Assad se ne deve andare», la monarchia saudita, santuario finanziario e in armi dello Stato islamico, va invece tenuta naturalmente e saldamente al suo posto.
Il circo di menzogne fa davvero paura. Ma siamo «tranquillizzati» finalmente dal ministro Angelino Alfano: scopriamo infatti i foreign fighters, ora li snidiamo e li arrestiamo. Erano 20mila dall’Europa e altrettanti dagli Usa, denunciava Obama un anno fa. Ma nessuno si è chiesto com’è stato possibile che decine di migliaia di giovani siano partiti dalle capitali europee ( e dalel città americane) e poi arrivati in Medio Oriente quando non direttamente in Turchia per essere addestrati, senza che una sola intelligence occidentale avesse da dire nulla negli ultimi quattro anni? Adesso «li scoprono». E prima? Prima chiudevamo tutti e due gli occhi, perché «Assad se ne deve andare». E così in questi giorni «scopriamo» le cellule islamico-kosovare in Italia e, dice il procuratore di Pristina, che «300 combattenti kosovari sono partiti per la Siria». È davvero una «bella» scoperta, per una «nazione», il Kosovo, che vive intorno — come la caramella col buco — alla mega-base Usa e Nato di Camp Bondsteel presso Urosevac, una «nazione» ora etnicamente ripulita con un milione e 700mila abitanti, grande quanto il Molise e inventata dai bombardamenti Nato del 1999, considerata un narcostato dall’Onu e con il 50% di disoccupazione nonostante finanziamenti in percentuale superiori a quelli degli organismi internazionali verso l’Africa. E dove non si muove foglia che l’Alleanza atlantica non voglia e non sappia: davvero una «rivelazione».
Ma forse qualcosa deve essere sfuggita anche alla Nato, se ieri per allargare l’orizzonte, ha chiesto anche al Montenegro di entrare nell’Alleanza atlantica che si allarga sempre più a est. Abbiamo creato deserti che chiamiamo pace. E la guerra ci ritorna in casa.

Fonte: il manifesto 

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