di Joseph Todd
In questi tempi di ansia la societa’ ci assale da ogni angolo possibile con una valanga di incertezze. Come possiamo difenderci da tutte queste condizioni di precarieta’?
Un’Eta’ dell’Ansia ci sovrasta, un’era dove la societa’ ci assale da ogni angolo possible con una valanga di incertezze, paure e alienazione. Non ci e’ permesso di vivere ne’ con la liberta’ ne’ con sicurezza, solo con la precarieta’. Le nostre abitazioni, i nostri stipendi e il nostro tempo libero sono temporanei e per sempre dipendenti dal capriccio del padrone di casa, il poliziotto, il burocrate o il mercato. La sola costante e’ l’insicurezza stessa. Ci hanno regalato la garanzia del flusso perpetuo, la coscienza che noi continueremo a saltare da un abisso a un altro, che il vero relax e’ un lusso borghese al di la’ delle nostre possibilita’.
Il nostro stesso essere introietta completamente quest’ansia. Noi internalizziamo la crudelta’ della societa’ e le sue contraddizioni e le trasformiamo in un problema di chimica neurologica, un problema che viene diagnosticato e trattato con farmaci invece di essere tagliato alla radice. Tutte le speranze vengono rimosse con la spugna. Le esperienze autentiche, le conversazioni senza mediazioni, gli affetti liberi da distrazioni e le associazioni veramente libere sembrano quasi relitti di un’era passata, un sogno color sepia che forse non e’ mai esistito.
Invece noi dobbiamo vivere nelle frenetiche arene sociali del tardo capitalismo: l’edonismo mercificato dei club e dei festival, i pranzi veloci, le abbuffate di cultura e le esperienze di evasione, dislocanti, dei video giochi elettronici, tutti sottolineati o dalla nostra disperata necessita’ di anestetizzare la nostra ansia o di creare unita’ di svago effettive ed efficienti nel tempo cosi’ che noi possiamo essere disponibili per il lavoro e le preoccupazioni.
Con l’assunzione che noi abbiamo un lavoro, certo. Molti di noi sono disoccupati, o vengono mantenuti nella costante precarieta’. Noi siamo incapaci di pianificare le nostre vite , bloccati in contratti a zero ore o nuotando attraverso come lavoratori free-lance in industrie che impiegavano, ma che non lo fanno piu’, piu’ in la’ della prossima settimana; incapaci persino di togliere la spina dato che la ricerca del lavoro diventa continua e tentacolare.
E se abbiamo un lavoro tradizionale, allora cosa succede? Siamo imprigionati e sorvegliati in ufficio, di fronte al distributore del caffe’ o nella stanza sul retro, soggetti a valutazioni costanti, rivalutazioni e auto-valutazioni, seguiti, monitorati e circoscritti in valutazioni perpetue della nostra performance, una che anche i nostri managers pensano sia inutile, ma che devono essere fatte nonostante tutto perche’, hey, “e’ la politica della ditta”.
Il periodo di prova e’ continuato e siamo per sempre in bilico sul precipizio della disoccupazione. Noi internalizziamo le implicazioni delle nostre valutazioni costanti, sappiamo che siamo sempre potenzialmente sorvegliati. Ci autocensuriamo. Ci preveniamo. Ci opprimiamo da soli.
E grazie all’abolizione effettiva della giornata lavorativa tradizionale, il lavoro diventa insopportabile e senza fine. La sicurezza di avere un tempo delimitato- per il lavoro e poi per il tempo libero- e’ stata eliminata.
Spesso questo succede perche’ le persone devono supplementare i loro salari atroci con un doppio lavoro. Ma anche perche’ i lavori tradizionali dalle 9 alle 5 sono stati sottoposti a una continua estensione delle ore lavorative quando siamo fuori dall’ufficio, reso possibile dai nostri computers portatili e telefoni cellulari. Questi gadgets richiedono risposte immediate e, quando a questo si associa il fatto che siamo sempre raggiungibili e quindi disponibili, ci instillano una necessita’ frenetica di rispondere immediatamente.
E con le attese arrivano anche gli obblighi. Le tecnologie con enormi network danno la possibilita’ ai capi di chiederci di essere disponibili in qualsiasi momento. Le cose che prima potevano aspettare adesso diventano fattibili – e quindi vanno fatte- adesso. Se non hai la voglia di farle, allora c’e’ sempre qualcun altro pronto a prendere il tuo posto. Bisogna sempre essere disponibili ed essere a loro completa disposizione. Il nostro unico rifugio da tutto questo e’ il sonno, forse l’ultima barriera deputata contro il capitalismo frenetico, e uno che viene continuamente eroso e rimpiazzato.
Per i disoccupati la situazione non e’ migliore. Essi si trovano di fronte a una burocrazia crudele del Centro per l’Impiego o alla valutazione dell’Atos (una ditta specializzata che fa valutazioni del personale negli USA, Ndt.), istituzioni che non hanno nessun interesse nel connettere coloro che cercano un impiego con lavori soddisfacenti ma che, invece, vogliono solamente abbassare il costo dei benefici (assicurazione, ferie etc… Ndt) attraverso sanzioni punitive e arbitrarie forzando gli ammalati a ritornare al lavoro, per esempio. Racconti fatti da gente che ha lavorato in questi programmi descrivono la miscela di ansia indotta dalle micro valutazioni e dalla sorveglianza costante usata.
I disabili che fanno domanda per una pensione- sempre mendicanti e mai pazienti, insiste Atos- vengono valutati dal momento in cui entrano nella sala d’attesa; viene notato se arrivano da soli o con qualcuno, se possono stare in piedi senza assistenza e se riescono a sentire il proprio nome quando vengono chiamati. Il tutto e’ peggiorato dalla demonizzazione egemonica di coloro che la societa’ non ha aiutato: se sei senza lavoro, allora sei uno scroccone, uno che approfitta dei servizi sociali e un bugiardo. Sei completamente colpevole per i tuoi fallimenti; una situazione individualizzata nella sua totalita’ e attribuibile a nessun sistema o individuo al di la’ di te stesso.
Noi veniamo sorvegliati, monitorati e giudicati dalla culla alla tomba, plasmati dalle richieste che dobbiamo essere pratici, computerabili e tracciabili; i nostri spiriti vengono trasformati in una serie binaria di zero e uno. Questo avviene nei luoghi di lavoro, nelle strade e nelle diverse istituzioni del governo. Le sue fondamenta ideologiche, pero’ vengono stabilite all’asilo e a scuola.
Queste istituzioni delimitano le nostre immaginazioni mentre si stanno ancora formando e cosi’ facendo rendono normale un regime di sorveglianza continua e di valutazione che continuera’ poi per il resto delle nostre vite. Gli insegnanti vengono sempre di piu’ allontanati dall’insegnamento diretto e dal prendersi cura dei bambini e vengono invece usati per sorvegliare gli asili nido, a fare fotografie e a registrare i numeri, cosi’ che il tutto potra’ essere computerizzato e amalgamato per far si’ che le autorita’ potranno seguire, valutare e predire la traiettoria di sviluppo del bambino.
E’ vero che questo non disturba il bambino allo stesso modo in cui lo fa la valutazione meccanica intensa tradizionale. Cio’ che invece ottiene e’ l’internalizzazione della connessione tra la sorveglianza e la valutazione nei nostri cervelli; gettando le fondamenta per un’acquiescenza al monitoraggio panottico, l’accettazione della vita senza privacy, e un legame indissolubile con i regimi di giudizio costante e valutazione.
L’Inghilterra e’, in questo rispetto, particolarmente avanti. Non solo il nostro governo feticizza la televisione a circuito chiuso come nessun altro, ma il GCHG (Goverment Communications Headquarters- servizi segreti Inglesi, Ndt) fu anche al centro delle rivelazioni fatte da Snowden. Comunque la rivelazione e’ un po’ sviante- perche’ cio’ che venne fuori piu’ chiaramente dalle rivelazioni non furono solo gli atti illegali, sfacciati fatti dalle istituzioni governative, ma soprattuto il fatto che poca gente si mostro’ sorpresa. Sebbene non conoscessimo i dettagli, noi sospettavamo che questa attivita’ stava gia’ avvenendo. Noi ci comportavamo come se fossimo sempre osservati , in qualche modo seguiti e monitorati.
In questo possiamo immaginare il fuggitivo paranoide descritto in un enorme numero di film, libri e drammi televisivi estrapolati alla costituzione della societa’ piu’ in generale. Noi siamo un po’ tutti, in un modo o nell’altro, quella persona. La nostra crescente mancanza di fiducia nei governi, il sapere che le nostre vite, tecnologicamente integrate, lasciano dietro una traccia pesante e che l’acquisizione dei “grossi” dati per finalita’ sia commerciali che autoritari, contribuisce alle nostre esistenze ansiose e destabilizzate. Un’esistenza che ci forza verso l’autocontrollo poliziesco. Una dove noi facciamo cio’ che dovrebbe fare l’ autorita’ .
Molta gente crede che l’enormita’ delle scelte che abbiamo a disposizione o la quantita’ di informazione a cui possiamo accedere schiacciando un pulsante, siano le conseguenze gloriose della tarda societa’ capitalistica. Tuttavia la nostra societa’, pur con tutte le sue scelte apparenti, la societa’ dove si deve fare un numero enorme di scelte- circa i cereali che mangiamo, la birra che beviamo o gli abiti che indossiamo- e’ completamente a senso unico. Mentre e’ vero che noi abbiamo a disposizione un numero incredibile di scelte riguardo a questioni di poca importanza, siamo pero’ completamente esclusi da qualsiasi decisione circa le cose che sono importanti; per esempio su cio’ che possiamo fare con la maggior parte del nostro tempo libero, come possiamo relazionarci con gli altri o su come la societa’ funziona nel suo insieme. Queste scelte sono condizionate quasi sempre dal mercato, la necessita’ di lavorare, la cultura del superlavoro e l’ideologia neoliberista.
Di nuovo, questa ideologia viene inculcata durante l’educazione primaria. Durante gli anni, un condizionamento sempre piu’ intenso, “continuo” e’ stato introdotto secondo il quale i bambini, nel corso di un paio di settimane, devono completare un numero di obiettivi per i quali essi possono scegliere solo l’ordine. Questo e’ quasi un esempio perfetto di come le scelte funzionano nella nostra societa’, ubiquitanee quando non hanno senso ma assenti quando sono importanti. I bambini possono scegliere quando fare un’attivita’, il che significa poco perche’ comunque essi sono costretti a compiere l’attivita’ in qualche modo, ma non possono decidere di non fare quella certa cosa, oppure sostituire un tipo di attivita’ con un’altra.
Perche’ questo e’ importante? Perche’ le scelte circa le nostre vite ci danno un senso di certezza e controllo. Le valanghe di scelte sulle porcherie che comunque dobbiamo fare, come dimostrato da tantissimi studi, ci rendono solo incredibilmente ansiosi. Ciascuna di queste scelte richiede energia mentale. Ciascuna contiene in se’ stessa, implicitamente, la moltitudine di scelte che noi non facemmo; tutte quelle esperienze negate per ogni esperienza significativa. Questo va bene se ce ne sono solo due o tre. Ma se ce ne sono centinaia, ciascuna scelta risulta crivellata da delusione, ogni decisione e’ impregnata di ansia.
Peggiorando ancora di piu’ questa orgia di scelte, e di per se’ la radice della nostra ansia, c’e’ pure la quantita’ di informazione che ci assale ogni giorno. I mass media sociali, le notizie 24 ore al giorno, la presenza della pubblicita’ in ogni crepa-sia spaziale che temporale- e la nostra cultura dell’efficienza che promuove il consumismo o il lavoro in qualsiasi momento possibile, si mischiano tutti per causare un sovraccarico sensoriale tremendo. Questo mondo, per molti, e’ davvero troppo.
Abbiamo parlato soprattutto di lavoro, sorveglianza, valutazione e scelta; esiste comunque una moltitudine di altri fattori che potrebbero essere aggiunti. La desolazione delle comunita’ dovuta alla dislocazione geografica dei luoghi di lavoro, la sempre maggiore transitorieta’ delle popolazioni e la crescente privatizzazione di attivita’ che sono sempre state pubbliche- quali il bere, il mangiare e il consumo del tempo libero sono sempre di piu’ relegati all’ambito domestico- e tutto questo restringe tutto il nostro mondo alle nostre famiglie piu’ strette.
La socialita’, la comunita’ estesa e la solidarieta’ vengono costantemente erose a favore della mancanza di fiducia, il sospetto e la competizione. Al di fuori del lavoro le nostre vite diventano poco piu’ di una serie di momenti privati che usiamo per prenderci cura delle nostre proprieta’ e di noi singoli individui invece che di tutti noi, passando attraverso gli spettacoli televisivi, i video giochi, i piccoli progetti domestici e l’incredibile feticcio del giardinaggio senza nessun cenno verso l’idea che forse queste esperienze potrebbero essere piu’ piacevoli se le facessimo in comune, se avessero un senso sociale e se fossero dirette verso l’esterno piuttosto che verso il nostro interno.
Allo stesso modo noi potremmo considerare l’ubiquita’ del debito-sia il mutuo della casa, la carta di credito o i debiti dell’universita’- e il giudizio morale implicito sofferto dal debitore unitamente alla consapevolezza che induce ansia, che l’individuo potrebbe perdere tutto in qualsiasi momento. Oppure potremmo considerare le crisi quasi esistenziali che l’umanita’ si trova a fronteggiare, si tratti dei cambi del clima, ISIS o gli spasimi di morte del capitalismo, tutti troppo astratti e totali da assimilare, tutti che contribuiscono alla sensazione che non c’e’ piu’ futuro, solo un’immagine sgranata, distante di brutalita’ senza legge, che tremola con risolutezza nelle nostre menti.
Ma il punto cruciale e la ragione per cui l’ansia potrebbe diventare un punto di battaglia rivoluzionario e’ che l’ideologia neoliberale ha individualizzato le nostre sofferenze, attribuendole a una mancanza di equilibrio nella nostra chimica neurologica, descrivendola come un problema individuale, piuttosto che una reazione umana comprensibile e attribuibile a una miriade di cause sistemiche crudeli. Invece di cambiare la societa’, il problema viene medicalizzato e cosi’ cambiamo noi stessi, prendiamo pillole per modellare le nostre soggettivita’ alle strutture tardo-capitalistiche, accettando il primato del capitalismo sull’umanita’.
Questo e’ il motivo per cui “Noi siamo tutti molto ansiosi”, un libricino pubblicato dall’Institute of Precarious Consciousness, e’ cosi’ esplosivamente brillante. Non solo vi sono descritte le cause sistemiche dell’ansia, ma posiziona il conflitto entro una strategia rivoluzionaria , costruendo una teoria che e’ allo stesso tempo allargata e personale, incorporando le esperienze soggettive di ognuno in una cornice chiarificatrice, postulando l’ansia come un campo di battaglia nuovo, rivoluzionario, contemporaneo, maturo per l’occupazione.
Viviamo, dicono, in uno di tre periodi avvenuti negli ultimi duecento anni dove siamo passati attraverso diverse condizioni dominanti della societa’. Fino al dopoguerra noi abbiamo sofferto la miseria. La narrativa dominante era che il capitalismo beneficiava tutti; mentre allo stesso tempo la sovrappopolazione, la mancanza di nutrimento e le baraccopoli erano rigogliose. In risposta a questo vennero adottate tattiche appropriate come gli scioperi, la solidarieta’, la cooperazione e le organizzazioni politiche formali.
Nel periodo del dopoguerra, fino a circa il 1980, segui’ un periodo di noia Fordista. Rispetto al periodo precedente, molta gente aveva un lavoro stabile, l’assistenza garantita e accesso al consumismo di massa e alla cultura. Tuttavia la maggior parte dei lavori era noiosa, semplice e ripetitiva. La vita nei sobborghi era grigia e prevedibile. Il capitalismo, come veniva descritto, “dava a tutti il necessario per la sopravvivenza ma nessuna opportunita’ per la vita”. I movimenti comparvero di nuovo in opposizione, dediti specificamente contro la noia di quel periodo. I Situazionisti e il femminismo sono alcuni esempi, ma anche la controcultura interna al movimento contro la guerra in America e la fiorente scena DIY (Do It Yourself- fattelo da solo, Ndt) punk in Inghilterra.
Quel periodo e’ adesso finito. Il capitalismo ha fagocitato la richiesta di eccitazione e stimolazione appropriandosi di modi di intrattenimento che erano in precedenza sovversivi- i festivals, i clubs e la rabbia allo stesso tempo, aumentando drammaticamente il numero e l’intensita’ delle distrazione e dei divertimenti.
Per un verso noi viviamo in un momento di crescita senza controllo, di consumismo che evita il conformismo superficiale mettendo a disposizione gli strumenti e dando la possibilita’ di costruire la propria identita’ in modi iper-personalizzati, anche se sempre prodotti di massa. Lo sviluppo tecnologico pero’ significa anche che il divertimento adesso e’ piu’ totale, interattivo e sommerge completamente; siano i video giochi o i film ad alta definizione sul grande schermo o la televisione ad alta definizione.
La chiave di questa concezione lineare e’ l’idea di un segreto pubblico, la nozione che l’ansia, la miseria e la noia sono di questi tempi ubiquitanei ma anche nascosti, esclusi dal discorso pubblico, individualizzati e trasformati in qualcosa di innominabile, una condizione che si credeva isolata e limitata perche’ nessuno davvero ne parla. Quindi, considerare il soggetto in maniera pubblica, sistematica, costituisce non solo una rivelazione individuale ma anche un atto rivoluzionario collettivo.
Ho constatato questo personalmente quando ho fatto dei workshops su questo tema. Le sessioni, che erano spesso vivaci e agitate, quando affrontavamo il legame tra il capitalismo e l’ansia, diventavano genuinamente inquisitive ed esploratorie. I gruppi si sforzavano di incrementare cio’ che sapevano sul tema, stabilendo legami teorici, rivelando i germogli piuttosto che difendere le loro roccaforti accademiche e rilanciare l’argomento dopo ogni obiezione, avanti e indietro come in un campo di battaglia.
Ma ancora piu’ di questo, c’era sempre un senso distinto di eccitazione, la sensazione che avevamo individuato qualcosa, una teoria matura con novita’ esplosive, una che sembrava mettere insieme le nostre esperienze soggettive e a situarle in una cornice teorica coerente.
Dobbiamo tuttavia essere critici. Affermare che l’ansia sia una patologia specifica dell’eta’ moderna, unica dei nostri tempi, e’ un’affermazione controversa. Cosa dire della casalingha degli anni ’50, quacuno disse in uno dei seminari, con la sua soggettivita’ rigidamente dettata dalla misoginia e dalle norme culturali, oppressive, di quel periodo? Tutto questo non la rendeva ansiosa?
Beh, forse. Ma se pensiamo che l’ansia sia una sensazione generale di nervosismo o disagio circa un risultato non certo-con l’ansia cronica che e’ una forma attiva debilitante – allora non si possono trarre differenze distorte. Sebbene la casalinga fosse oppressa, la sua oppressione era codificata e lineare, la sua vita era pianificata in modo deprimente con pochissimo spazio di manovra e scelta. In maniera simile con gli schiavi- sicuramente il simbolo universale dell’oppressione- le gerarchie non sono nebulose ma esplicite, il dominio e’ assicurato dalla frusta e dal fucile, il padrone individualizzato e presente.
Questo e’ in contrasto stridente con il presente. Mentre e’ ovvio che le forme di oppressione sono distinte e incomparabili, possiamo, ciononostante, constatare che lo schifo sofferto dalla gioventu’ del 21mo secolo e’ di natura diversa. La nostra sola sicurezza e’ l’incertezza. Il nostro oppressore non e’ un individuo ma una rete diffusa e sfaccettata di burocrati, istituzioni e capitale globale, nascosti nelle loro onnipotenze e impossibili da afferrare.
Noi non siamo depressi dall’individualita’ della nostra oppressione, siamo invece sconcertati dalla sua assenza apparente (e irreale), per sempre sull’orlo di un baratro, senza sapere perche’ e neppure a chi dovremmo dare la colpa.
Allo stesso modo sarebbe presuntuoso assumere che l’ansia sia l’effetto dominante del capitalismo Occidentale, cosi’ come considerarla il problema rivoluzionario del nostro tempo. Eppure, se analizziamo i conflitti di potere del nostro tempo- la casa, i salari, l’equilibrio tra il lavoro e la vita e l’assistenza sociale- questi sono spesso diretti, in un modo o un altro, a promuovere la sicurezza piuttosto che la cura dell’ansia.
L’abitazione per molti non e’ solo l’avere un tetto sopra la testa, ma e’ anche la sicurezza di non poter essere sfrattati, sia attraverso contratti fissi a lungo termine o la garanzia che non saranno scalzati da aumenti degli affitti che i loro lavori precari non riusciranno a coprire. Allo stesso modo i conflitti sulla sicurezza sociale riguardano spesso condizioni materiali, ma cio’ che particolarmente tocca il nervo e’ la crudelta’ dell’insicurezza di una vita fatta di assistenza, per sempre dipendende dal capriccio del burocrate che brandisce le sanzioni e che hanno l’ordine di usare qualsiasi scusa possibile per rimuovere i soli mezzi di supporto a nostra disposizione.
L’ansia e’ anche un conflitto che unisce strati sociali diversi, che emana da istituzioni quali l’ufficio del lavoro, il mutuo strozzino, l’universita’, il mercato del lavoro, il padrone di casa e la banca proprietaria del mutuo, che colpisce i disoccupati, gli impiegati precari, i lavoratori d’ufficio, gli studenti indebitati, e anche coloro che comparativamente stanno abbastanza bene. Di nuovo, noi ritroviamo questa unificazione nell’adozione quasi universale dei telefonini cellulari e delle tecnologie con network allargati. Tutti noi, e specialmente i nostri bambini, siamo grati a una mirade di schermi luccicanti, che passano velocemente da un’identita’ a un’altra, alienati e disconnessi dall’ambiente circostante e dagli altri individui.
Questo non vuol dire che un movimento contro l’ansia possa riuscire da solo ad avere successo. Questo tipo di chiamata a raccolta sarebbe troppo limitata e non riuscirebbe a ispirare. Invece l’ansia deve essere concettualizzata sia come un effetto che sottosta’ a diversi conflitti, diversi l’un dall’altro, sia come una cornice entro la quale questi conflitti possono venir riunificati in una strategia rivoluzionaria.
Quindi, qual’e’ il nostro scopo tangibile in questo momento? In parte deve essere la riduzione del livello generale di ansia cosi’ da migliorare la qualita’ della vita. Perdippiu’ se dobbiamo avere un approccio rivoluzionario piuttosto che uno semplicemente umanitario, questa riduzione dell’ansia deve, in qualche modo, tradursi in un aumento della coscienza rivoluzionaria. Ovviamente, in certi modi potra’ farlo. Se esistesse una coscienza pubblica che molti malati mentali non sono tali per via della loro sfortunata chimica neurologica, ma dovuta a una misconfigurazione della societa’, allora la gente starebbe gia’ pensando in modo intrinsicamenete ribelle, in modo sistemico.
In modo analogo il conflitto con lo stato e il capitale-sia nelle strade che nei posti di lavoro o dentro la testa di ciascuno- tende a essere un processo con un impatto profondo, che induce un alto livello di ansia. Una riduzione dell’ansia generale potrebbe portare gli individui a coinvolgersi in questi conflitti e a sperimentare la radicalizzazione intensa e la realizzazione del potere egemonico che puo’ solo essere ottenuto attraverso questi momenti viscerali. Ma una seconda parte di questo, gia’ diretto a conferire un aspetto integrale rivoluzionario al conflitto, sarebbe enfatizzare che esiste un segreto pubblico che deve diventare conoscenza di tutti. Come pure il contrastare le fonti di ansia, dobbiamo affermare che noi stiamo facendo appunto questo; dobbiamo localizzare queste lotte entro cornici piu’ grandi ed educare circa la sua natura sistemica.
Quindi, qualsiasi strategia dovrebbe essere allo stesso tempo astratta e pratica. Per un verso dobbiamo far si’ che il segreto divenga pubblico facendo aumentare la coscienza. Questo richiederebbe una enrome educazione che include, ma che non e’ limitata a, sessioni che aiutano a prendere coscienza, workshops partecipativi, articoli, libri, pamphlets, volantini, posters, video su You Tube e pubblicita’ “sovversiva”. L’enfasi andrebbe messa sull’educazione ma anche nell’ascoltare cio’ che la gente ha da dire, il mescolare insieme concetti teorici con le esperienze soggettive.
La seconda parte dovrebbe consistere in campagne di supporto strategico e nell’imporre ai politici che combattano specificamente l’ansia in tutte le sue forme diverse. Per quanto riguarda il lavoro, l’abolizione dei contratti a zero ore, l’aumento della paga minima, perche’ venga allineata con il costo della vita reale e l’irrigidimento delle leggi sullo straordinario come parte di una campagna allargata per affermare il primato della vita sul lavoro, dell’amore sui soldi, potrebbe essere un buon inizio.
L’introduzione di un reddito di cittadinanza per i disoccupati, i sottopagati e i precari potrebbe rappresentare una rivoluzione nel mercato del lavoro. Con una sola misura si allevierebbero le ansie culturali e pratiche derivanti dalla disoccupazione ponendo un freno alla crudelta’ burocratica del “centro del lavoro”, rimuovendo allo stesso tempo lo stigma associato con il ricevimento del sussidio di disoccupazione che e‘ un induttore di ansia; nel contempo dando la possibilita’ agli individui di perseguire attivita’ culturalmente importanti e rivoluzionarie quali l’arte, la musica, la scrittura o (posso permettermi di dirlo?) l’attivismo sociale senza l’impossibilita’ schiacciante di dover pagare per queste cose. Quando guardiamo al problema delle abitazioni, le soluzioni ovvie dovrebbero includere affitti protetti per legge per almeno cinque anni, aumenti degli affitti che siano stabilizzati e la garanzia di alloggi popolari e stabili e appropriati per la gente che ne ha bisogno.
Potrei aggiungere alla lista molte piu’ riforme necessarie. Tuttavia noterete che queste sono infatti solo riforme: cose essenziali della semplice socialdemocrazia. Questo significa che questo programma e’ controrivoluzionario? Un semplice accordo tra la classe lavoratrice e il capitale? No, non lo e’. La rivoluzione non emerge dal giogo sistematico degli individui per aumentare la miseria, l’ansia e la durezza della vita quali domande logiche acceleratrici. Invece fiorisce quando i popoli prendono coscienza delle loro catene, accettano visioni radicali per il loro futuro e i mezzi per raggiungerli. Accade quando i rivoluzionari offrono critiche ma anche speranze. Succede quando le popolazioni vengono coinvolte e diventano protagoniste della loro propria liberazione, e non quando vengono visti solo come lumpen (es: lumpenproletariat Ndt), una massa di altri, importanti solo come strumento per raggiungere la rivoluzione gloriosa.
Diamo un’occhiata agli elementi pratici e tutto questo diventa ovvio. Come possiamo pretendere che gli individui si facciano coinvolgere in conflitti ad alta tensione, che inducono ansia, se la semplice idea di una situazione del genere li porta ad avere attacchi di ansia? Come possono gli individui, a fronte di una sorveglianza e monitoraggio quasi completo, panottica, combattere il desiderio fortissimo di adattarsi al conformismo, se essi non possono ottenere un po’ di liberta’ dalle ansie pratiche della vita? Come possiamo pensare e agire in modo rivoluzionario, e spesso astratto, se le ansie reali e immediate del lavoro, domestiche e del tempo libero annebbiano le nostre teste in modo cosi’ assoluto?
Questo non vuol dire che la liberta’ ci verra’ data. Dobbiamo sempre conquistarla e non possiamo fidarci delle politiche elettoralistiche affinche’ ci regalino la rivoluzione dall’alto in basso. E la vera lotta non sara’ mai un processo rilassato e senza ansia. Il conflitto reale con lo stato e il capitale includera’ sempre dei pericoli, stress e la possibilita’ di intensa precarieta’.
Ciononostante il rifiuto delle politiche elettorali nelle sue totalita’ rappresenta una teoria rivoluzionaria ristretta. Le richieste di riforme dei governi progressisti morsicati alle caviglie da movimenti sociali taglienti e vibranti possono produrre cambiamenti reali e tangibili.
E’ quanto sarebbe dovuto accadere con Syriza, ed e’ quanto speriamo accadra’ in Inghilterra con la nuova leadership del partito Laburista. E, se come individui e come comunita’, dovessimo fare un buco nella mancanza di comfort, nella precarieta’ e nel senso generale della crudele mancanza di conoscenza, cosi’ tipico del momento in cui viviamo; se dobbiamo superare la valanga di stronzate e riprenderci la nosta sicurezza, se dobbiamo costruire e disseminare un fervore chiaramente comunistico, con speranze rivoluzionarie, allora abbiamo bisogno immediato di questi cambiamenti.
Da Z Net Italy- Lo Spirito Della Resistenza E’ Vivo
www.znetitaly.org
http://roarmag.org/essays/age-of-anxiety-precarity/
Traduzione di Francesco D’Alessandro
©2015 Z Net Italy- Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0
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