di Giuseppe Flora
È stata allestita a Roma, presso la Biblioteca Angelica, una mostra fotografica intitolata I Sikh: storia, fede e valore nella Grande Guerra, realizzata dall’Istituto Internazionale di Studi Sud Asiatici (ISAS) con materiali provenienti da una mostra londinese. Sikh sta per «discepolo», così si chiamano i membri della grande comunità religiosa monoteista nata e sviluppatasi nel XV secolo in Panjab, nell’India nord-occidentale. Le fotografie documentano l’impegno dei reggimenti dei sikh nell’esercito inglese in Francia e su altri fronti europei. Alcune immagini testimoniano il sacrificio di quegli uomini anche nel secondo conflitto mondiale. L’iniziativa ha voluto documentare la loro dimensione spirituale fondata sugli insegnamenti dei primi dieci Maestri, o Guru.
La loro successione cominciò con Nanak (1469-1538) e terminò con Govind Singh (1666-1708). La visione di Nanak è contenuta nei suoi componimenti poetico-religiosi (Gurbani), successivamente commentati dagli altri maestri e raccolti nel Guru Granth Sahib, il libro delle sacre scritture dei Maestri.
La loro successione cominciò con Nanak (1469-1538) e terminò con Govind Singh (1666-1708). La visione di Nanak è contenuta nei suoi componimenti poetico-religiosi (Gurbani), successivamente commentati dagli altri maestri e raccolti nel Guru Granth Sahib, il libro delle sacre scritture dei Maestri.
In una prospettiva storico-sociale si può affermare che la religione dei sikh sia nata come una sorta di terza via tra il monoteismo islamico e il brahmanesimo. Con quest’ultimo esistono importanti convergenze ma i sikh, oltre a rifiutare la visione panteista degli indù e il loro complesso rituale, hanno respinto con forza il sistema delle caste, postulando l’uguaglianza dei fedeli davanti a Dio.
Le vicende dei sikh, perseguitati dall’imperatore Mughal Aurangzeb (1618-1707) e successivamente organizzati in formazioni militari, legittimano la relazione tra fede e valore in guerra. Tale aspetto trovò forma alla fine del XVII secolo nell’ideale militante della «comunità pura» (khalsa). Ciò sembra offrire una chiave d’interpretazione anche per la massiva presenza dei sikh nelle guerre europee, tuttavia è possibile offrire una lettura più «laica» del loro ruolo nei conflitti mondiali.
Dopo il 1913 l’importanza dell’India come colonia inglese decresce relativamente sotto il profilo economico, ma cresce sul piano geo-politico proprio con il primo conflitto mondiale. Agli inizi del 1914 l’esercito indiano era formato da 270.854 uomini, ai quali potevano aggiungersi 45.600 ausiliari. Tale numero crebbe rapidamente durante la guerra, tanto da superare il milione di unità. Tra l’agosto 1914 e il novembre 1918 furono reclutati 1.161.489 uomini; di essi ben 447.000 furono arruolati in Panjab.
Secondo la visione antropologica coloniale dell’India, il sub-continente appariva come un mosaico di «razze» e «culture» molto diverse tra loro. Ufficiali e funzionari inglesi hanno sempre cercato di trarre da tale diversità, reale o presunta, dei vantaggi politici, secondo la filosofia del divide et impera. Circolava l’idea che esistessero razze e caste «imbelli» (bengalesi, bramini, jaina); per contro, si parlava di razze «marziali» (gurkha del Nepal, rajput). A fornire massicciamente materiale umano alla macchina bellica inglese erano i sikh e i musulmani; su questi ultimi gravavano dei sospetti. Dato che nel 1914 il Califfato Ottomano si era schierato a fianco della Germania e dell’Austria-Ungheria, era diffuso il timore che potessero venire influenzati dalla propaganda pan-islamica.
Il massiccio reclutamento dei sikh fu reso possibile dall’autorità esercitata in forma semi-autocratica dai funzionari inglesi nei distretti rurali. Essi seppero far leva sugli interessi comunitari e sul senso di prestigio dei Sikh. Anche in India, però, come in Europa, la guerra produsse «effetti indesiderati» per i governi e le élites: dalle ceneri del conflitto si diffuse la propaganda rivoluzionaria, favorita dalle terribili crisi socio-economiche. In India la questione sociale fu a lungo assorbita dal nazionalismo radicale. La guerra stessa fu un terreno di crescita per quei gruppi, sia pure minoritari, che propugnavano la lotta armata contro gli inglesi. Anche questo fa parte della storia dei sikh.
Nel 1912 a San Francisco l’intellettuale panjabi Hara Dayal Singh (1884-1939) fondò il giornale Ghadr (la Rivolta). Nel 1913 venne costituito un gruppo politico con lo stesso nome. Tra i suoi membri c’erano dei bengalesi, per lo più studenti, ma la maggior parte erano lavoratori panjabi, in prevalenza sikh. Le associazioni sorgevano per contrastare le pesanti discriminazioni alle quali erano soggetti gli emigrati, soprattutto nei cosiddetti White Dominions dell’impero, Australia e Canada, che avevano chiuso le loro frontiere agli indiani. L’episodio più clamoroso fu quello dellaKomagata Maru, una nave giapponese noleggiata da un imprenditore sikh, Gurdit Singh, carica di 376 passeggeri quasi tutti sikh. La nave arrivò nel porto di Vancouver il 23 maggio 1914 e fu bloccata dalle autorità canadesi per otto settimane. A terra si costituì un comitato di solidarietà di emigrati e vi furono momenti di grande tensione con la polizia canadese. Alla fine la nave dovette allontanarsi sotto la minaccia di un’unità da guerra, nonché per la penuria di acqua e cibo. I passeggeri che tornarono in India furono arrestati. Questo episodio segnò un’importante frattura tra la comunità dei sikh e lo stato coloniale. Alla fine del 1914 molti membri del Ghadrfecero ritorno in Panjab e contribuirono alla propaganda rivoluzionaria. Ciò costrinse il governo coloniale a promulgare leggi speciali, come il Defence of India Act del 1915 e i progetti di legge Rowlatt del 1919.
Tra i rivoluzionari sikh partiti dall’America spiccano le figure di Kartar Singh (1896-1915) e Sohan Singh (1870-1968), presidente del Ghadr e futuro esponente del partito comunista indiano. Il 15 settembre 1914, Kartar Singh tornò in India, dove si procurò delle armi grazie ai rivoluzionari bengalesi. In Panjab, nel distretto di Ludhiana del quale era originario, Kartar Singh organizzò la base di raid contro banche e uffici per finanziare il movimento. Nel febbraio 1915 lui e i suoi compagni, Harnam Singh Tundilat (1882-1962), ex-emigrato in Canada, e Jagat Singh di Sursingh, furono denunciati alla vigilia di quella che doveva essere la grande rivolta del Panjab. Riuscirono a scappare in Afghanistan, ma rientrarono subito, fidando nella possibilità dell’ammutinamento dei sikh del 22° Cavalleria di stanza a Shahpur. Vennero arrestati il 2 marzo 1915. Kartar Singh, capo dei rivoltosi, fu impiccato il 16 novembre 1915 in esito al processo noto come il Lahore Conspiracy Case. Sohan Singh, che lo aveva raggiunto, fu condannato a 16 anni di carcere duro.
Alcuni membri del Ghadr si trasferirono a Berlino, dove venne costituito un Comitato per l’Indipendenza Indiana al numero 38 di Wieland Strasse, nel quartiere di Charlottenburg. Inizialmente erano solo giovani studenti bengalesi, tra essi Dhirendranath Sarkar (1890-1940) e Virendranath Chattopadhyay (1880-1943), uno dei futuri fondatori del partito comunista indiano. Nel corso del 1915 i leader delGhadr, Har Dayal, Taraknath Das (1884-1958),Virendranath Das Gupta (1888-1974), Maulana Barkatullah (1859-1927), Mahendra Pratap Singh (1886-1979) e altri giunsero a Berlino alla spicciolata. Il 9 aprile 1915 Barkatullah e Mahendra Pratap partirono alla volta di Kabul in una delegazione guidata da O.R. von Niedermayer (1885-1948), una «super spia» tedesca, e da W.O. von Hentig (1886-1984). L’obiettivo era convincere l’emiro dell’Afghanistan, Habibullah Khan (1872-1919), a entrare in guerra a fianco della Germania e della Turchia, attaccando l’India inglese dalla frontiera nord-occidentale. L’emiro non aderì alla richiesta, ma consentì la presenza sul territorio di spie tedesche e nazionalisti indiani. Nel dicembre 1915 venne formato un governo provvisorio indiano a Kabul del quale Barkatullah fu il primo ministro. Nel maggio 1919 Mahendra Pratap Singh e Barkatullah visitarono Mosca e furono ricevuti da Lenin.
Durante la prima guerra mondiale ci furono molti tragici episodi che videro protagonisti i rivoluzionari del Ghadr. Oltreché sulle sorti della guerra, essi fidavano sull’imminenza di una grande insurrezione nell’India che non si realizzò mai. Vennero organizzate due spedizioni di armi dagli Stati Uniti, finanziate dalla Germania, che non andarono a buon fine e portarono all’arresto di militanti del Ghadr e diplomatici tedeschi. Fecero seguito i processi di San Francisco e Chicago nel 1917, noti come The Hindu-German Conspiracy Trials, dove il termine «hindu» era usato come sinonimo di indiano.
I sikh del Panjab non servirono solo in guerra a fianco degli inglesi, molti furono convinti a fare la guerra contro di loro. Quei rivoluzionari sono finiti nel dimenticatoio: un oblio generato dai loro insuccessi, dalle loro trasformazioni, ma anche dalla loro emarginazione politica operata dal gandhismo. Alcuni di loro tornarono in India, altri rimasero esuli per tutta la vita. Jawaharlal Nehru (1889-1964) ne parla nella sua autobiografia del 1936, imprimendo un suggello su quelle vite perdute: «Devo dire che non sono rimasto grandemente impressionato dalla maggior parte degli esuli politici indiani che ho incontrato all’estero, sebbene ammiri il loro sacrificio … Non ne ho incontrati molti, ce ne sono tanti sparsi per il mondo. Ne conosciamo solo pochi per nome, gli altri hanno abbandonato il mondo indiano e sono stati dimenticati dagli stessi compatrioti che hanno cercato di servire».
Fonte: Alfabeta2
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.