La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 2 dicembre 2015

Un clima avvelenato

di Roberto Barbieri
Avvelenato da una minaccia terroristica che orienta priorità e risorse (in armamenti) dei Grandi della Terra. Avvelenato da una Europa che in nome di questo terrorismo, cerca gendarmi affidabili per le proprie frontiere. Un'Europa poco preoccupata delle conseguenze che accadono oltre, del concreto rischio di "carcerazione" di milioni di profughi (siriani e non solo). La stessa Europa che, nella recente conferenza di Malta, vincola gli aiuti allo sviluppo per i Paesi africani allo "sviluppo" di filo spinato, barriere e centri di contenimento per altra umanità sofferente in fuga da guerre, povertà e crimini ambientali.
Il summit di Parigi sul clima nasce dalla drammatizzazione dell'emergenza ambientale e dall'annuncio dell'apocalisse temporale: è l'ultima spiaggia. Ora o mai più. Il pianeta sull'orlo del baratro. I Grandi della Terra che si sono succeduti dalla tribuna di Parigi, hanno fatto a gara nel lanciare l'allarme per un disastro prossimo venturo.
C'è chi si è spinto fino ad un outing mediatico: "Noi siamo inquinatori pentiti" annota Barack Obama. Sul concetto di inquinatori, non c'è ombra di dubbio: tutti i leader dei Paesi industrializzati lo sono, quanto a "pentiti", questo è tutto da verificare. Nei fatti. A cominciare, ad esempio, dai sussidi alle fonti fossili, secondo Oil for Change Internationalancora quattro volte superiori a quelle per le energie rinnovabili. Ma da una Parigi blindata, dove i bilaterali tra i capi di Stato hanno avuto al loro centro la guerra allo Stato islamico, il dossier siriano e non l'ambiente, non si sfugge dall'impressione che il fattore tempo detti altre priorità a leader politici che fanno fatica a proiettarsi oltre un futuro che si fa già presente, imbrigliati in sfide elettorali che saranno determinate, purtroppo, da temi molto meno strategici di quello che è al centro di Cop21.
Per essere davvero coinvolgenti, e inclusivi, c'è bisogno di una "contro narrazione" che non parcellizzi le varie emergenze sul tappeto, ma trovi un nesso tra loro e una visione complessiva. Non una forzatura intellettuale, ma una necessità sostanziale. Perché i cambiamenti climatici sono il principale rischio per il raggiungimento dell'obiettivo Fame Zero. Non è "solo" questione ambientale. Le migrazioni dovute ai cambiamenti climatici sono alla base di esistenti e potenziali futuri conflitti. Tutto si tiene, anche se i big radunati a Parigi fanno finta di non saperlo. Scelte strategiche, esse sì epocali, restano così imprigionate da una cultura-pratica dell'emergenza che ha, proprio perché tale, un corto respiro, nel quale tutto si consuma, idee, risorse, aspettative. Applicato al Clima, questo approccio emergenziale fa sì che tutti appaiano sulla "stessa barca", inquinatori e inquinati, sfruttatori e vessati. Vittime e carnefici. Così non è. Ed è bene ricordarlo. Un rapporto di Oxfam evidenzia che il 10% più ricco del pianeta è responsabile del 50% delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera, mentre la metà più povera della popolazione mondiale - circa 3,5 miliardi di persone - ne produce solo il 10%, pur essendo la prima vittima di alluvioni, siccità e altri cataclismi legati agli effetti dei cambiamenti climatici.
Con questi dati vogliamo anche sfatare il mito secondo cui i principali responsabili dei cambiamenti climatici siano i paesi emergenti. Sebbene infatti si registri un crescente e più rapido aumento del livello delle emissioni nei paesi emergenti, ciò è in gran parte attribuibile alla produzione di beni consumati in altri paesi; pertanto, il livello di emissioni dovuto ai modelli di consumo della maggior parte dei cittadini di questi paesi è ancora di gran lunga inferiore a quello generato dai cittadini dei paesi più sviluppati. Da qui la considerazione che i cambiamenti climatici e la disuguaglianza sono indissolubilmente legati tra loro. E insieme vanno affrontati perché insieme rappresentano una delle maggiori sfide del 21° secolo. Oltre l'emergenza e la frammentarietà degli interventi, dunque. Il che significa contestare e contrastare gli unici a beneficiare dello "status quo", vale a dire un ristretto numero di miliardari che devono gran parte delle loro fortune al business dei carburanti fossili e che trarrebbero guadagni se a Parigi si raggiungesse un accordo debole. Da oggi entrano in scena gli sherpa e si andrà nel merito delle proposte.
Oxfam e altre Ong sono a Parigi con le proprie idee, programmi e uno straordinario bagaglio di esperienze. Hanno il pregio di unire idealità e concretezza. Un patrimonio da valorizzare. Se davvero si crede che "è l'ultima occasione per salvare il clima".

Fonte: Huffington post - blog dell'Autore

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