La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 21 dicembre 2015

Un nuovo secolo per il Medio Oriente

di Jeffrey D. Sachs
Gli Stati Uniti, l’Unione europea e le istituzioni guidate dal mondo occidentale, come la Banca Mondiale, pongono ripetutamente la questione del perchè il Medio Oriente non riesca a governarsi. La domanda è sincera, ma priva di consapevolezza. Dopotutto, l’unico e più grande impedimento ad una buona governance nella regione è stata finora la mancanza di un’auto-governabilità. Le istituzioni politiche della regione sono state infatti compromesse dai continui interventi degli Stati Uniti e dell’Europa sin dalla Prima Guerra Mondiale e in alcuni luoghi persino da prima.
Un secolo è abbastanza. Il 2016 dovrebbe quindi segnare l’inizio di un nuovo secolo di politica mediorientale interna focalizzata sulle sfide dello sviluppo sostenibile.
Il destino del Medio Oriente negli ultimi 100 anni è stato segnato nel novembre del 1914, quando l’impero ottomano si schierò con i perdenti della Prima Guerra Mondiale. Il risultato fu il disfacimento dell’impero con la vittoria della Gran Bretagna e della Francia che presero il controllo egemonico delle rovine dell’impero. La Gran Bretagna, già in controllo dell’Egitto dal 1882, prese il controllo dei governi della regione oggi corrispondente all’Iraq, alla Giordania, a Israele, alla Palestina e all’Arabia Saudita, mentre la Francia, già in controllo di gran parte del Nord Africa, prese il controllo di Libano e Siria.
Il mandato formale della Società delle Nazioni, così come altri strumenti egemonici, furono utilizzati per garantire il potere della Francia e della Gran Bretagna sul petrolio, sui porti, sulle vie navigabili e sulle politiche estere dei leader locali. Inoltre, nella regione che poi divenne l’Arabia Saudita, la Gran Bretagna sostenne il fondamentalismo wahabita di Ibn Saud contro il nazionalismo arabo di Hashemite Hejaz.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale gli Stati Uniti scelsero la linea interventista iniziando con il sostegno ad un colpo militare nel 1949 in Siria attraverso un’operazione della CIA mirata a spodestare il regime iraniano di Mohammad Mossadegh nel 1953 (per garantire all’occidente il controllo del petrolio del paese). Gli Stati Uniti hanno poi mantenuto la stessa linea fino ad oggi con il rovesciamento di Mu’ammar Gheddafi in Libia nel 2011, di Mohamed Morsi in Egitto nel 2013 e con la guerra ancora in atto in Siria contro Bashar al-Assad. Per circa settant’anni, gli Stati Uniti ed suoi alleati sono intervenuti più volte (anche dando supporto a dei colpi di stato organizzati internamente) per spodestare i governi sui quali non esercitavano sufficiente influenza.
L’occidente ha poi armato tutta la regione con centinaia di miliardi di dollari attraverso la vendita di armi. Gli Stati Uniti hanno istituito delle basi militari in tutta la regione e, con una serie di operazioni fallite della CIA, hanno inoltre lasciato un’ampia riserva di armamenti nelle mani di violenti nemici sia degli Stati Uniti che dell’Europa.
Pertanto, quando i leader occidentali pongono agli arabi, e ad altri nella regione, la questione del perchè non riescano a governarsi, dovrebbero essere pronti a sentirsi rispondere in questi termini: “Per un intero secolo i vostri interventi hanno indebolito le istituzioni democratiche (con il rifiuto dei risultati del voto elettorale in Algeria, Palestina, Egitto e in altri paesi), hanno alimentato guerre continue che sono ormai croniche, hanno armato gli jihadisti più violenti ed hanno trasformato l’area da Bamako a Kabul in un campo di battaglia.”
Che cosa si dovrebbe fare quindi per creare un nuovo Medio Oriente? Io vorrei proporre cinque principi.
Innanzitutto, e cosa più importante, gli Stati Uniti dovrebbero porre fine alle operazioni sotto copertura della CIA mirate a rovesciare e a destabilizzare i governi in qualsiasi parte del mondo. La CIA fu fondata nel 1947 con due mandati: uno valido (con l’obiettivo di raccogliere intelligence) e l’altro disastroso (con l’obiettivo di fare operazioni sotto copertura per rovesciare i regimi considerati “ostili” agli interessi statunitensi). Il presidente degli Stati Uniti dovrebbe pertanto, mediante ordine esecutivo, porre fine alle operazioni sotto copertura della CIA e quindi mettere fine al continuo ripetersi delle violenze e al caos che hanno contribuito ad alimentare, soprattutto nel Medio Oriente.
In secondo luogo, gli Stati Uniti dovrebbero perseguire i propri, a volte validi, obiettivi di politica estera nella regione attraverso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. L’approccio attuale volto a creare una “coalizione dei volenterosi” guidata dagli Stati Uniti non solo è fallito, ma ha inoltre comportato che obiettivi validi come fermare lo Stato islamico vengano bloccati da rivalità geopolitiche.
Gli Stati Uniti trarrebbero un grande vantaggio dal porre le proprie iniziative di politica estera alla verifica del voto del Consiglio di Sicurezza. Quando il Consiglio di Sicurezza rigettò la proposta di entrare in guerra contro l’Iraq nel 2003, gli Stati Uniti avrebbero fatto meglio ad astenersi dall’invadere il paese. Inoltre, quando più recentemente la Russia, un membro permanente del Consiglio con diritto di veto vincolante, si è opposta alla proposta statunitense di rovesciamento del Presidente siriano Bashar al-Assad, gli Stati Uniti avrebbero fatto meglio ad evitare di allestire operazioni sotto copertura volte a deporre il regime siriano. Ora infatti tutto il Consiglio di Sicurezza sembra pronto a sostenere un piano globale (non guidato dagli Stati Uniti) per combattere lo Stato islamico.
In terzo luogo, gli Stati Uniti e l’Europa dovrebbero accettare che la democrazia nel Medio Oriente produrrebbe delle vittorie islamiste con il voto. Molti dei regimi islamisti eletti fallirebbero, così come falliscono molti governi con prestazioni scadenti. Questi governi islamisti verrebbero rovesciati con le elezioni successive o nelle strade o persino dai generali locali. Ma gli sforzi continui della Gran Bretagna, della Francia e degli Stati Uniti di estromettere dal potere i governi islamisti non fanno altro che bloccare la maturazione politica della regione senza produrre alcun risultato e senza garantire alcun beneficio a lungo termine.
Quarto, i leader locali, dal Sahel al Nord Africa e dal medio Oriente fino all’Asia centrale, dovrebbero riconoscere che la sfida più importante che il mondo islamico si trova ad affrontare oggi è la qualità dell’istruzione. La regione è indietro rispetto ai paesi omologhi con reddito medio nel campo della scienza, della matematica, dell’innovazione tecnologica, dell’imprenditoria, dello sviluppo della piccola e media impresa e (di conseguenza) nella creazione di nuovi posti di lavoro. In qualsiasi luogo, infatti, un’istruzione di alta qualità garantisce ampie prospettive per la prosperità economica e la stabilità politica.
Infine, la regione dovrebbe affrontare la sua estrema vulnerabilità al degrado ambientale e alla dipendenza esagerata nei confronti degli idrocarburi, in particolar modo in vista della transizione globale verso un’energia a basso tenore di carbonio. La regione a maggioranza musulmana che va dall’Africa occidentale all’Asia centrale è infatti la regione più popolata e secca del mondo, ovvero una fascia di 5.000 miglia (8.000 chilometri) caratterizzata da stress idrico, desertificazione, dall’aumento delle temperature e dall’insicurezza alimentare.
Queste sono le vere sfide che il Medio Oriente si trova ad affrontare. Le divisioni tra i sunniti e gli sciiti, il futuro politico di Assad e le dispute dottrinali sono di gran lunga meno importanti nel lungo termine per la regione della necessità di un’istruzione di qualità, di competenze professionali, di tecnologie avanzate e di sviluppo sostenibile. I coraggiosi e progressisti pensatori del mondo islamico dovrebbero aiutare le loro società a prendere atto di questa realtà e le persone di buona volontà di tutto il mondo dovrebbero aiutarli a farlo attraverso una cooperazione pacifica e ponendo fine alle guerre imperialistiche e alle manipolazioni.

Traduzione di Marzia Pecorari
Fonte: Project Syndicate

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