di Matteo Cresti
Ciclicamente spuntano nuovi casi di abusi su minori da parte di sacerdoti e consacrati della Chiesa Cattolica. Fenomeno a macchia di leopardo, che per decenni è stato coperto dalle autorità ecclesiastiche, per opportunismo, lassismo o alle volte accondiscendenza, e che negli ultimi trent’anni è emerso sempre di più alla luce del sole, grazie alle voci delle vittime, alla pressione mediatica, e alle conseguenti spinte riformatrici di Ratzinger e Bergoglio.
Questa volta a tornare alla ribalta su alcuni quotidiani è il caso di abusi nella diocesi di Ratisbona, in Germania. Diocesi famosa per uno sfortunato quanto mal interpretato discorso di papa Benedetto XVI, e per essere stata la “sede operativa” del meno famoso di lui fratello Georg, che vi avrebbe diretto il coro delle voci bianche, “Il Coro dei Passeri” come è chiamato, dal 1964 al 1994.
Secondo quanto dichiarato dal Ulrich Weber l’avvocato della diocesi e del coro, che è stato incaricato di seguire i fatti, sarebbero ben 231 le vittime di abusi, da collocarsi tra il 1953 e il 1992, di cui una cinquantina sarebbero di natura sessuale, dalla semplice molestia fino allo stupro. Gli abusi sarebbero avvenuti sia all’interno del coro, che in due scuole primarie ad esso collegate.
Anche il fratello del papa emerito, come già si supponeva, è coinvolto in questa storia di abusi, che però non sarebbero di natura sessuale. Egli si difende, ammette di aver picchiato con degli schiaffi i cantori che facevano delle cattive performance, ma poi sottolinea che questo era un costume dell’epoca, comune e condiviso nelle famiglie e nelle scuole.
Weber però sostiene che non si sarebbe trattato solo di una qualche botticella occasionale, quanto piuttosto di un metodo impiegato su larga scala, e che anche grazie alla severità del monsignore e alla sua autoritarietà, avrebbe instaurato un clima di terrore e subordinazione.
In ogni caso anche se ci fosse davvero un reato, ormai esso risulta prescritto. Altra cosa sono invece gli abusi sessuali, del quale mons. Georg Ratzinger dice di non aver mai saputo e sospettato nulla.
Ancora troppo spesso emergono casi si questo genere, nugoli di vittime che reclamano giustizia per i comportamenti dissennati di un sacerdote, e la compiacenza dei suoi superiori. Ma è normale che sia così, perché la chiesa ha favorito un clima omertoso, che ha nascosto questi carnefici per decenni. Purtroppo per tanto tempo l’aura di sacralità che avvolgeva gli istituti religiosi, il potere che essi rivestivano, e il senso di vergogna che hanno contribuito a diffondere hanno fatto sì che solo oggi le vittime abbiano trovato il coraggio di raccontare ciò di cui erano state vittime.
Il caso di Ratzinger, dunque non è di per sé né nuovo né presenta degli aspetti eccezionali, se ne continua a parlare solo perché coinvolge il fratello del pontefice non più regnante. Altrimenti, come tanti altri casi, sarebbe già finito nel dimenticatoio. Sfortunatamente, perché le vittime avrebbero tutto il diritto di essere ricordate, e noi dovremmo ricordare il fenomeno, perché ci rammentiamo di sorvegliare, sempre. Per ora, infatti, in Italia mancano grandi inchieste collettive, come questa della diocesi di Ratisbona o quelle delle diocesi statunitensi. Non che non ci siano mai stati violenze sessuali ai danni di bambini e giovani, magari, quanto piuttosto perché permane il clima di vergogna e di sudditanza. Né sono mai nate commissioni d’inchiesta ad hoc, come in altri paesi.
Ed è proprio su questo che dovremmo riflettere. La pedofilia è orribile tanto che la commetta un prete o un elettricista. Le percosse certo non sono un bell’atto, ma ricordiamo che in alcuni di questi casi esse risalgono agli inizi degli anni ’50, da parte di sacerdoti che ad occhio e croce saranno nati nei primi del ‘900, che hanno visto la crudeltà delle due guerre mondiali e del nazismo, e che i metodi educativi dell’epoca erano quelli che erano.
Non che si debba relativizzare a tutti i costi, un atto non può cambiare la sua natura a seconda del tempo e del luogo in cui è commesso, però è anche vero che fino a qualche decennio fa anche i nostri maestri elementari entravano in classe con la bacchetta (per la quale qualche vecchio docente prova ancora nostalgia). Un’altra cosa ancora è istaurare un clima di terrore o di sottomissione psicologica, ma anche questo è stata (e talvolta è) pratica corrente.
Insomma bisognerebbe chiederci perché talune cose fanno notizia e altre no. Perché alcuni fatti, altrettanto gravi o interessanti, finiscono nel dimenticatoio, e alcuni non ricevono nemmeno l’onore di essere menzionati, ed altri invece sono sempre sulla cresta dell’onda. Se i giornalisti, come ama definirli la nostra direttora, devono essere i “cani da guardia del potere” non indagano anche se questo, vengono meno alla loro professione.
Il giornalismo ha avuto un grande merito nel portare a galla tanti abusi, nel dare la voce alle vittime, che non hanno mai avuto uno spazio per poter raccontare la loro vicenda, ha contribuito a creare un clima di accusa e inchiesta, che ha costretto la Chiesa Cattolica a correre ai ripari e a prendere la situazione sul serio.
Ma il giornalismo italiano dove è? Perché si riduce a raccontare una vicenda, che ha poco di nuovo, solo perché uno dei coinvolti è il fratello del papa emerito? Perché il giornalismo italiano non indaga sui crimini della chiesa italiana? Forse che la vicenda di Nuzzi e Fittipaldi, sebbene in modo diverso, ci continua a dire, che in Italia non siamo ancora pronti per fare “i mastini” contro la chiesa?
Fonte: Caratteri Liberi
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.