La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 12 gennaio 2016

Un referendum bonapartista

di Franco Astengo
L’esito della votazione alla Camera dei Deputati sul DDL Boschi relativo alle cosiddette riforme costituzionali (quelle definite dal senatore Besostri “deformazioni costituzionali”) apre la strada al referendum confermativo, del resto invocato dallo stesso Presidente del Consiglio in termini ultimativi: anzi ponendo la sua stessa carriera politica sul crinale dell’esito del voto popolare.
Il referendum dovrebbe svolgersi con ogni probabilità nel prossimo autunno.
Il “NO” (trattandosi di referendum confermativo il NO vorrà proprio dire NO, contrariamente a quanto avviene nel referendum abrogativo laddove il “SI’” risulta come affermazione negativa) sarà rappresentato da varie posizioni politiche ma è evidente come la più importante fra queste sarà quella costituita dai costituzionalisti che, nel corso di questi anni, hanno impegnato una battaglia per la difesa dei termini fondamentali della Costituzione Repubblicana.
Il Comitato del NO da essi formato ha di fronte un compito di grande importanza: quello di definire i caratteri peculiari della campagna referendaria, scegliendo i temi di fondo sui quali svilupparli in un confronto politico a tutto tondo nel corso del quale coinvolgere direttamente milioni di cittadini scendendo direttamente nel dibattito pubblico che non deve essere riservato esclusivamente ai mezzi di comunicazione di massa e alle tecnologie dei “social network”.
Questo è un primo punto di discrimine nell’autonomia e nell’identità del Comitato referendario che necessita di essere approfondito.
Sorge poi un altro interrogativo molto importante.
La campagna referendaria dovrà essere incentrata sul merito tecnico delle norme in discussione e, in particolare, sulla presenza dei consiglieri regionali in Senato, sul collegamento tra la composizione del Senato e la nuova legge elettorale, sulle potestà della Seconda camera in materia di fiducia al governo e di poteri di nomina, controbattendo così la facile propaganda derivante dagli effetti del superamento del cosiddetto “bicameralismo paritario”?
Oppure seguendo lo schema già dettato, come si sosteneva all’inizio di questo intervento, dallo stesso Presidente del Consiglio si tratterà di votare su di un reale spostamento nella forma di governo con il passaggio dalla repubblica parlamentare, prevista dalla Costituzione nata dalla Resistenza, a una forma anomala di Repubblica personale, né presidenzialismo, né premierato imperniata su di una figura centrale il cui ruolo sarebbe quello di significare un passaggio ben più ampio di quello fin qui identificato nella forma di governo?
Un passaggio che è possibile definire di stampo bonapartista che accompagnerebbe definitivamente la transizione alla modernità già avviata con l’elezione diretta dei Sindaci e proseguita attraverso l’uso spregiudicato dei mezzi di comunicazione di massa in dimensione personalistica come verificatosi durante il ventennio 1994 – 2014 seguito alla fase d’implosione dei grandi partiti di massa.
Un transito che significherebbe l’accantonamento della democrazia rappresentativa a favore di una democrazia formale presuntamente” diretta”,ma in realtà di tipo plebiscitario raccolta attorno alla figura del cosiddetto “uomo solo al comando” attorniato dal suo “giglio magico” di riverenti servitrici/ori come abbiamo visto, nella fattispecie, nel corso della costruzione del regime avviatosi con la presidenza Renzi dal 2014.
E’ questo l’interrogativo che si trova di fronte al Comitato per il NO al riguardo del quale è evidente la necessità di un intreccio fra le diverse ragioni.
La dimensione di questo intreccio, la scelta dei temi e dei riferimenti è questione di grande delicatezza da affrontare attraverso una discussione serrata nel merito da compiersi, anch’essa, ad ampio raggio tenendo ben conto sia delle ragioni di carattere teorico poste sul piano della qualità della democrazia, sia di quelle più concretamente collocate sul terreno dell’immediatezza politica.
Sicuramente il momento più delicato nella vita della Repubblica.
Nel 1960 l’intervento diretto delle masse popolari e il peso dei grandi partiti della sinistra e della CGIL evitarono un pericoloso scivolamento a destra dell’asse politico con la prospettiva concreta di un esito – appunto – di tipo bonapartista (o gaullista come si diceva allora).
Oggi?
La posta in gioco è quella della qualità della democrazia, tra rappresentanza democratica e , come sosteneva Max Weber, il “principio cesaristico”.

Fonte: Contropiano 

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