La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 4 gennaio 2016

Il governo sbugiarda il governo: l’Italia cresce meno dei paesi Ue

di Luca Aterini
Non inizia al meglio l’anno 2016 per l’Italia, quantomeno sotto il profilo economico. Le ultime rilevazioni del Centro studi di Confindustria, diffuse oggi, affermano che «la fiducia tra le imprese manifatturiere è diminuita di 0,3 punti in dicembre rispetto a novembre», anche se rimangono comunque sui «livelli più elevati degli ultimi quattro anni». La produzione industriale è calata in dicembre dello 0,4% rispetto al mese di novembre, seppur la media annuale è cresciuta dell’1,9% rispetto al 2014 (+1,2% a parità di giorni lavorati).
L’economia dei decimali continua dunque ad essere la cifra dell’industria italiana, e lo scenario globale appare tutto fuorché stabile: ne sono ulteriore testimonianza i crolli borsistici che si sono susseguiti oggi a partire dai listini asiatici (-7% per Shanghai e Shenzhen, che reagiscono ai poco brillanti dati sulla manifattura cinese) fino a quelli europei.
Eppure, nonostante tutte le attenuanti del caso, gli italici decimali in tremolante crescita impallidiscono però definitivamente una volta inseriti nel contesto internazionale. È lo stesso ministero dello Sviluppo economico a darne un’involontaria certificazione, con i dati relativi all’ultimo “cruscotto congiunturale” (diffusi ieri), un prospetto che presenta con periodicità trimestrale l’evoluzione di un ampio set di indicatori statistici dell’economia italiana, con focus specifici alle dinamiche territoriali e al confronto con le principali economie europee.
In riferimento alla produzione industriale, l’Italia ha recuperato il 3% rispetto al fondo del barile toccato durante la recessione, mentre la Germania il 27,8; nel mezzo ci sono l’Uk (+5,4%), la Spagna (+7,5%) e la Francia (+8%). Il tasso di disoccupazione è all’11,5%, ed ha quindi recuperato dell’1,6% rispetto al livello peggiore toccato durante la crisi (la Spagna, per dire, ha recuperato il 4,7%). Il tasso di occupazione giovanile (15-24 anni) ci vede infine fanalino di coda rispetto ai Paesi europei analizzati dal Mise: solo 15,1 ragazzi su 100 lavorano, con un “miglioramento” dello 0,9% rispetto ai minimi toccati durante la recessione (quando il Regno Unito ha guadagnato il 4,2%).
Di fronte a questi numeri forniti dallo stesso governo, la propaganda di stampo renziano sulle straordinarie performance italiane si scioglie come neve al sole. L’unico indice a segnare una significativa risalita entro i nostri confini è quello relativo al (non trascurabile) clima di fiducia registrato da consumatori e imprese, che hanno recuperato rispettivamente il 40,3 e il 33,4%. Numeri importanti, che inseguono il costante attivismo e l’energia messa in mostra dal premier Renzi. Di fronte a performance economiche che continuano a rimanere scadenti, è però lecito chiedersi fino a quando – e a che pro – anche questo trend riuscirà a protrarsi.
Gli ottimisti dicono che il 2016 sarà migliore del 2015 – osserva su Project syndicate il premio Nobel per l’Economia Paul Krugman – Questo potrebbe rivelarsi vero, ma solo impercettibilmente. Se non affronteremo il problema di una insufficiente domanda aggregata globale, il Grande Malessere continuerà […] L’unica cura per il malessere del mondo è un aumento della domanda aggregata. La lungimirante redistribuzione del reddito avrebbe aiutato, come farebbe una profonda riforma del nostro sistema finanziario – non solo per evitare di infliggere danni a tutti noi, ma anche per far sì che le banche e le altre istituzioni finanziarie facciano ciò che si suppone debbano fare: abbinare i risparmi a lungo termine alle esigenze di investimento a lungo termine. Ma alcuni dei problemi più importanti del mondo richiederanno investimenti pubblici. Tali esborsi sono necessari per infrastrutture, istruzione, tecnologia, ambiente, e per facilitare le trasformazioni strutturali necessarie in ogni angolo della terra.
Gli ostacoli che l’economia globale affronta non sono radicati nell’economia, ma nella politica e nell’ideologia. Il settore privato ha creato la disuguaglianza e il degrado ambientale con cui dobbiamo fare i conti oggi. I mercati non saranno in grado di risolvere questi ed altri problemi critici che hanno creato, o ripristinare la prosperità, per conto proprio. Sono necessarie politiche governative attive».
Politiche attive per uno sviluppo sostenibile e inclusivo, piani industriali che sappiano puntare su innovazione e green economy – settori dove l’Italia già oggi avrebbe carte da spendere. Il governo Renzi da quest’orecchio continua però a rimanere sordo, e il “cruscotto congiunturale” del Mise neanche accenna alle dimensioni dell’economia verde.

Fonte: Green Report 

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