La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 17 gennaio 2016

Il puzzle afgano

di Pepe Escobar
Proprio come per Lazzaro, c’erano motivi per credere che lunedì scorso a Islamabad, il processo di pace afgano avrebbe potuto avere una possibilità di resurrezione dato che quattro dei protagonisti principali – Afghanistan, Pakistan, Stati Uniti e Cina si sono seduti insieme allo stesso tavolo.
Il comunicato finale, non è comunque stato esattamente rivoluzionario: “I partecipanti hanno sottolineato la necessità immediata di colloqui diretti tra i rappresentanti del Governo dell’Afghanistan e rappresentanti di gruppi talebani per un processo di pace che miri a conservare l’unità, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Afghanistan.”
Una settimana prima dell’incontro di Islamabad, mentre ero nella zona del Golfo Persico, ho avuto una conversazione estremamente illuminante con un gruppo di Pashtun* afgani. Dopo aver rotto il ghiaccio, e dopo aver stabilito che non ero una specie indistinta risorsa in stile Sean Penn, con un piano di azione sospetto, i miei interlocutori Pashtun mi hanno fornito le informazioni.
Avevo la sensazione di essere tornato a Peshawar nel 2001, soltanto pochi giorni prima dell’11 settembre.
Il primo fattore rivoluzionario era che due funzionari talebani, attualmente di base in Qatar, stanno per incontrare faccia a faccia due importantissimi inviati cinesi e pachistani, senza interferenze da parte degli Stati Uniti. Questo si adatta alla strategia delineata dalla Shanghai Cooperation Organization (SCO) (Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione), guidata da Cina e Russia, secondo la quale il puzzle afgano deve essere risolto come faccenda asiatica. E Pechino certamente vuole una soluzione, e rapidamente; pensate a un capitolo afgano delle Nuove Vie della seta.
Il periodo seguito alla guerra afgana causata dall’11 settembre sta andando avanti da 14 interminabili anni; prendendo una battuta dal “pentagonese”, parliamo di un’Enduring Freedom (Libertà Duratura: il nome dato all’operazione militare americana in Afghanistan nel 2001, n.d.t.) all’infinito. Nessuno sta vincendo e i talebani sono più divisi che mai dopo il crollo del precedente processo di pace quando i talebani annunciarono che il Mullah Omar era morto da due anni.
Quella buona vecchia “profondità strategica”
Comunque, tutto dipende dalla complessa interazione tra Kabul e Islamabad.
Prendiamo l’altalena del CEO afgano (sì, ha questo titolo) Dottor Abduullah Abdullah. Si destreggia tra Teheran dove sottolinea che il terrorismo è una minaccia sia per l’Iran che per l’Afghanistan – e Islamabad dove discute gli arcani del processo di pace con i funzionari pachistani.
Il Primo Ministro pachistano Nawaz Sharif, da parte sua, non perde mai un colpo rinnovando il suo impegno per la pace e lo sviluppo economico in Afghanistan.
Quando iniziò realmente un tentativo verso un processo di pace –nel 2012 a Doha (capitale del Qatar) in maniera informale, compresi 8 funzionari talebani, i talebani erano furiosi che Kabul privilegiasse davvero parlare con Islamabad. La posizione ufficiale talebana è che loro sono politicamente – e militarmente – indipendenti da Islamabad.
Come hanno sottolineato i miei interlocutori Pashtun, la maggior parte della gente in Afghanistan non sa che cosa pensare di tutto questo parlare tra Kabul e Islamabad, comprese quelle che considerano delle concessioni pericolose: per esempio mandare giovani militari afgani a essere addestrati in Pakistan.
Islamabad sta facendo un gioco di grande influenza. Il gruppo Hakkani che Washington etichetta come terrorista – trova un porto sicuro all’interno delle aree tribali del Pakistan. I talebani si siederanno al tavolo di qualsiasi processo di pace che sarà negoziato dal Pakistan, che ancora gode di molta influenza su quei talebani che fanno gruppo attorno al nuovo leader, il Mullah Akhtar Mansoor.
I miei interlocutori Pashtun sono irremovibili: i talebani e l’ISI restano indistinguibili. La loro alleanza strategica è ancora valida. Tutti i talebani a Doha sono controllati dall’ISI.
D’altra parte, sembra esserci un sottile cambiamento che coinvolge le forze armate pachistane e l’ISI (che sa ogni cosa che c’è da sapere ed è complice di molte delle cose che riguardano i talebani). Il mese scorso, il capo dell’esercito del Pakistan, Generale, Raheel Sharif è andato in Afghanistan per conto suo; questo poteva significare che i militari privilegeranno la vera pace sul terreno invece di manipolare l’Afghanistan come una pedina pachistana di “profondità strategica”
Attenzione: gasdotto in corso
Così, per principio, la conversazione afgana resterà valida. Anche L’Hezb-i-Islami Afghanistan (HIA), cioè il Partito islamico dell’Afghanistan, guidato da Gulbuddin Hekmatyar – un altro protagonista chiave sulla lista di Washington dei 10 massimi terroristi – è interessato al processo di pace. L’HIA però, dice che deve essere guidato dall’Afghanistan e di proprietà afgana, intendendo dire: nessuna interferenza del Pakistan. Hekmatyar si sta chiaramente posizionando per un futuro ruolo principale.
Il complotto si complica quando passiamo dai talebani all’aumento dell’ISIL/ISIS/DAESH in Afghanistan. Per i circoli vicini al Presidente Hamid Karzai anche noto come l’ex “sindaco di Kabul” (perché non controllava niente altro) il Daesh è una creazione della politica estera di Islamabad, in modo che il Pakistan possa avere l’accesso totale all’Asia Centrale, a Cina e Russia ricche di energia.
Questo sembra un poco improbabile, quando si paragona a ciò che sta realmente accadendo nell’Gasdottostan.
Kabul si è impegnata a fornire un’enorme forza di sicurezza di 7.000 persone per sorvegliare il gasdotto da 10 miliardi di dollari, lungo 1.800 km Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India (TAPI) nel tratto afgano, ipotizzando che sarà realmente finito per il dicembre 2018. Ottimisticamente, in aprile inizierà il lavoro pesante per il passaggio del TAPI – e questo comprende lo sminamento.
Il presidente del Turkmenistan, Gurbanguly Berdymukhamedov, ha già ordinato alle compagnie statali Turkmengaz e Turkmengazneftstroi di cominciare a costruire la sezione di 214 km. del TAPI nel loro paese. Il gasdotto dotto passerà anche per 773 km. in Afghanistan e per 827 km. in Pakistan prima di entrare in India. Se tutta questa frenesia si materializzerà per il 2018, è un fatto aperto a domande infinite.
Dov’è la mia eroina?
Nel frattempo, che cosa fa la CIA?
L’ex direttore provvisorio della CIA, Michael Morell, sta ora inventando “la ricomparsa dell’Afghanistan come problema”, così “la discussione su quante truppe [gli Stati Uniti] tengono in Afghanistan si aprirà di nuovo.”
Il Pentagono, da parte sua, sta ideando la necessità di 10.000 truppe di terra. Il massimo comandante della NATO in Afghanistan, Generale John Campbell, vuole i suoi 10.000 uomini a oltranza: “Il mio intento sarebbe di quanto più possibile, per il maggior tempo possibile.” In effetti, Enduring Freedom per sempre, dato che il Perntagono è stato costretto ad ammettere, per la cronaca, che le forze di sicurezza afgane sono incapaci di “operare interamente da sole” malgrado un enorme investimento di Washington di 60 miliardi di dollari e più fin dal 2002.
I più recenti rapporti del Pentagono descrivono la sicurezza in Afghanistan che cala, cala, cala. Questo ci porta all’ Helmand.
Soltanto pochi giorni prima dell’incontro a Islamabad, delle forze speciali statunitensi che affiancavano le truppe afgane, sono incappate in una terribile scontro a fuoco con i talebani nella provincia dell’Helmand. Il responsabile del Pentagono dei rapporti con la stampa, Peter Cook, parlando in politichese tipico, non lo chiamò ‘combattimento’, ma missione per “addestrare, consigliare e aiutare.”
I talebani controllano più territorio in Afghanistan che in qualsiasi altro periodo fin dai bombardamenti americani del 2001. I talebani controllano non meno di quattro distretti dell’Helmand. I civili si trovano presi nel fuoco incrociato, e tuttavia le forze speciali del Pentagono e gli attacchi aerei nell’Helmand vengono qualificati solo come giri turistici.
Alla fine tutto ritorna all’Helmand. Perché l’Helmand? I miei interlocutori Pashtun si “sciolgono” e mi dicono, facendo una giusta osservazione: si tratta del coinvolgimento della CIA nel traffico di eroina in Afghanistan; “Gli americani semplicemente non possono lasciarla stare .”
Quindi stiamo forse scavando in un nuovo capitolo dell’epica del gas e dei papaveri nel cuore dell’Asia. I talebani, divisi oppure no, si sono fatti venire in mente la loro
più importante linea rossa; niente colloqui con Kabul fino a quando non ottengono un colloquio diretto con Washington. Dal unto di vista dei talebani ha completamente senso. Gasdottostan? Bene, ma vogliamo la nostra parte (è la stessa storia fin dalla prima amministrazione Clinton). L’eroina della CIA? Va bene, ve la potete tenere, ma vogliamo la nostra parte.
I miei interlocutori Pashtun che stanno per prendere un volo per Peshawar, espongono il loro piano di azione. I talebani vogliono il loro ufficio nel Qatar – un palazzo realmente bello – riconosciuto ufficialmente come la rappresentanza dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan; questo era il paese dal 1996 al 2001. Vogliono che l’ONU – per non parlare degli Stati Uniti – rimuova i talebani dalla sua lista dei “più ricercati.” Vogliono che tutti i prigionieri talebani vengano liberati dalle carceri afgane.
Accadrà questo? Naturalmente no. Tocca a Pechino inventarsi uno scenario vantaggioso per tutti.

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Originale : Counterpunch
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.