di Daniela Preziosi
Era ovvio, persino naturale, che Fausto Bertinotti e Stefano Fassina a un certo punto si incontrassero — politicamente parlando — «quasi senza avvedersene, come gocciole sparse sullo stesso pendìo». Il pendio, cioè piano inclinato, è la critica di Bertinotti al centrosinistra: tutti i centrosinistra cui pure ha partecipato, Desistenza Ulivo Unione, lui salva solo quello «nascente» di Fanfani anni 60. Su questo pendìo l’ex presidente della camera è attestato dal 2009 e invece l’ex viceministro di Letta arriva in questi mesi.
L’occasione, lunedì alla Fondazione Basso di Roma, è stata la presentazione del numero della rivista Alternative per il socialismo, lettura sempre bella (struggente la copertina con il murale di Pao cancellato da alcuni zelanti milanesi nel maggio scorso). Che con tempismo ha una prefazione titolata «La rinascita della sinistra è in alternativa all’ulivismo». Titolo volutamente divisivo, spiega Alfonso Gianni: sul tema la sinistra si spacca dal ’98 a queste ore.
L’assunto infatti non è recente, fin qui non ha prodotto la rinascita, ma gli autori pur essendo stati a vario titolo coinvolti nella coalizione, oggi fanno ammenda e sono a vario titolo coinvolti nel tentativo opposto, ammette Bia Sarasini. O almeno danno buoni consigli.
L’assunto infatti non è recente, fin qui non ha prodotto la rinascita, ma gli autori pur essendo stati a vario titolo coinvolti nella coalizione, oggi fanno ammenda e sono a vario titolo coinvolti nel tentativo opposto, ammette Bia Sarasini. O almeno danno buoni consigli.
La tesi è nota: la socialdemocrazia ha fallito anzi ha partecipato alla costruzione di un’Europa liberista e autoritaria; chi a sinistra aspira alla riedizione della socialdemocrazia o (tradotto in italiano) dell’alleanza di centrosinistra è destinato a perdere e a perdersi. La novità è che Bertinotti, in quest’ultima fase ripensatore solitario, oggi offre la sua teoria alla nascente (forse) Cosa rossa: «L’Ulivo ha espresso la cultura rispetto alla quale la sinistra politica di domani dovrebbe porsi come alternativa. Se no perché esistere?».
L’interrogativo spacca Sel-Sinistra italiana che in queste ore si apre come una noce di cocco fra chi romperà con il Pd già alle amministrative e chi invece prevede l’irrilevanza e dunque gli resterà alleato. Fassina, candidato sindaco a Roma, è del primo gruppo: «Archiviare la cultura coalizionale sarebbe un errore», dice, ma è un’ammissione di scuola perché, spiega, il renzismo non è un accidente della storia del suo ex partito: sin dalla fondazione il Pd ha non «il segno costituzionale di Pietro Scoppola» ma «quello plebiscitario del Lingotto e di Veltroni». Italicum o no, è molto difficile immaginare per il futuro un’alleanza con un partito postdemocratico e cioè autoritario e plebiscitario.
Bertinotti lo segue quindi lo scavalca rilanciando: se Renzi è considerato il campione dell’orrenda «disintermediazione», in verità è stata la politica del centrosinistra «di cui Renzi è erede e becchino, il primo fattore della distruzione dei corpi intermedi». Fassina, che ha già seguito Bertinotti nella critica alla coalizione, a sua volta lo riscavalca a sinistra ricordando che «nell’immaginario collettivo l’Ulivo è l’euro», e cioè «un errore storico»: «i trattati europei fondati sulla svalutazione del lavoro sono in contraddizione con la nostra Costituzione»; quindi «con l’euro un’altra Europa non è possibile» (tesi già condivisa con Varoufakis, Lafontaine e Melenchon che presto sarà rilanciata a Berlino). Bertinotti sull’euro non sarebbe così drastico, ma a sua volta sul processo non è meno apocalittico: «L’Europa può crollare, dall’interno è irriformabile». La sentenza finale dei due è la stessa: il centrosinistra è morto. E però ora che le alleanze sono bandite bisognerà trovare il modo per arruolare «i cattolici» (Bertinotti) e il popolo della «dottrina sociale della Chiesa» (Fassina), considerati interlocutori indispensabili delle «casematte extramercantili» (Bertinotti) o delle «comunità prefigurative» (Fassina) dove si praticano rapporti sociali ed economici liberati dal liberismo. Procedendo su questa via si tornerà alla politica, è l’orizzonte non immediato dell’ex presidente. Meno scontato, ma auspicabile, è che per la stessa strada, ma un po’ prima, si incontri il consenso per il Campidoglio: che è quello che per l’immediato Fassina ha giurato di voler fare.
Fonte: il manifesto
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