di Serena Giannico
Macerie trattate come nel terremoto dell’Aquila e dell’Emilia. Scaturiscono dalla dichiarazione dello stato di emergenza e da un’ordinanza della Protezione civile del primo settembre scorso, in via di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, le modalità per la rimozione e lo stoccaggio dei detriti che al momento sovrastano i borghi del centro Italia sfigurati dalle scosse. L’ordinanza è la 391; s’incentra sugli «ulteriori interventi urgenti conseguenti all’eccezionale evento sismico che ha colpito il territorio di Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo» ed è una deroga al decreto legislativo del 3 aprile 2006.
Nell’articolo 3 vengono elencate procedure e disposizioni per la «raccolta e il trasporto del materiale derivante dal crollo, totale o parziale, degli edifici» o dal loro abbattimento.
Nell’articolo 3 vengono elencate procedure e disposizioni per la «raccolta e il trasporto del materiale derivante dal crollo, totale o parziale, degli edifici» o dal loro abbattimento.
E qui le macerie (stimate in circa 700mila metri cubi, ndr) vengono equiparate ai «rifiuti urbani» e come tale vengono classificate, «limitatamente alle fasi di raccolta e di trasporto da effettuarsi verso siti di deposito temporaneo». «Che – spiega Titti Postiglione, a capo del Dicomac, che sta coordinando i soccorsi del sisma – saranno individuati dalle amministrazioni comunali, di concerto con Arpa, Arta, Asl e Regioni». In queste aree le rovine resteranno per un «periodo di sei mesi» e, nel frattempo, si procederà alle operazioni «di separazione e selezione» dei rifiuti da avviare al «recupero o allo smaltimento». Altro discorso per «i beni di interesse storico e artistico e per gli effetti di valore, anche simbolico», oltre che per l’amianto: essi verranno selezionati e separati all’origine. «Il trasporto dei materiali ai centri di raccolta – viene ancora specificato – è a cura delle aziende che operano direttamente nel servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani presso i territori interessati»… o «indirettamente» a mezzo di imprese di trasporto anche «non iscritte all’albo» e senza la «tracciabilità dei rifiuti». «Le predette attività – recita ancora l’ordinanza – sono effettuate senza lo svolgimento di analisi preventive».
Provvedimento analogo a quelli adottati per la tragedia del 6 aprile 2009 a L’Aquila – che produsse 3 milioni di tonnellate di macerie – e per il disastro del maggio 2012 in Emilia. Provvedimenti contro i quali, a suo tempo, si scagliò Libera, definendoli irresponsabili. Perché, in sostanza, in nome dell’emergenza/urgenza vengono eliminati controlli e vincoli.
E, in effetti, stando ad inchieste giudiziarie e giornalistiche, nelle due regioni la criminalità organizzata è riuscita a infilarsi nella ricostruzione, anche nel campo della rimozione e del trasporto delle macerie, con camion che hanno battuto le strade dei paesi distrutti. In Emilia l’Antimafia e i gruppi investigativi interforze, negli anni passati, hanno denunciato la vicinanza di alcune imprese edili alla ’ndrangheta, con le cosche calabresi, e in particolare del Crotonese, in prima linea. Alcune aziende, anche importanti, sono state per ciò bandite dalla White List, l’albo di fornitori e subappaltatori per la ricostruzione, perché «sussistente e attuale il pericolo di infiltrazione mafiosa». In Abruzzo, un anno dopo il dramma, fu proprio Libera a diffondere un dossier su «i traffici sulle macerie, le trame, gli affari, i legami fra le amministrazioni e le mafie, lo sbarco delle cricche, ossia tutto il malaffare del post terremoto», in un viaggio «tra il business fatto sui morti e fra i palazzi di sabbia, su appalti piccoli e grandi, pilotati in nome di un’emergenza infinita». Pagine firmate dal referente abruzzese dell’associazione, Angelo Venti, anche sul «mistero delle macerie scomparse, sul giallo degli isolatori sismici non omologati, sui costi delle case volute da Berlusconi». In seguito, con indagini e intercettazioni, è saltato fuori che i Casalesi, grazie al alcuni costruttori, facevano affari nel capoluogo abruzzese.
Qualche giorno fa, a seguito di arresti, in varie regioni, di esponenti del clan ‘ndranghetistico dei Ferrazzo, il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, da L’Aquila, ha lanciato l’allarme. «Dunque – ha detto – in riferimento alla ricostruzione dei territori colpiti dal sisma del 24 agosto… bisogna far riferimento al modello Crasi (Centro ricerca e analisi per lo sviluppo investigativo, ndr). Incrociando i dati raccolti dalle varie fonti – ha ricordato il magistrato – il Crasi consente di verificare possibili collegamenti tra soggetti criminali che aspirano a entrare nella ricostruzione. Occorre prevenire – ha evidenziato – in un momento critico, come quello degli affidamenti diretti degli interventi di somma urgenza, è il più pericoloso: lavori per smaltire e rimuovere macerie, installare puntellamenti, portare intermediazione e manodopera».
Fonte: Il manifesto
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