di Andrea Fabozzi
«Come si dice? Non perdiamoci di vista». Orfini gli ha dato del «girotondino», cioè la massima offesa per il «professionista della politica», e Massimo D’Alema si diverte a chiudere il suo comizio del ritorno – un’ora, invece dei venti minuti annunciati – citando il Nanni Moretti del 2002. Per la prima uscita nella veste di rappresentante del No, il «leader massimo» un po’ recita se stesso – «fatto questo torno al mio lavoro, mi sto occupando del rinnovamento del pensiero della sinistra mondiale» – un po’ cambia verso anche lui, mostrandosi spietato critico delle riforme costituzionali tentate o riuscite vent’anni fa, sotto la sua regia: premierato forte e titolo V.
Massimo D’Alema è quello che mancava al campo del No, che dalle sempre più evidenti difficoltà di Matteo Renzi – ieri il presidente del Consiglio girava ancora attorno alla data in cui «presto» convocherà il referendum – trae ogni giorno motivi di ottimismo. D’Alema è un cuneo tra i militanti e gli elettori del Pd che da mesi ascoltano gli ultimatum a vuoto di Bersani e Cuperlo, ancora incerti tra il Sì e il No. Ma l’appartenenza al partito di cui Renzi è segretario è anche un po’ il limite dell’iniziativa dalemiana, subito accusata di frazionismo. D’Alema infatti insiste nel negare ogni velleità scissionista, allontana da sé ogni tentazione – «non è una sfida tra me e Renzi» – e «nominando» Guido Calvi alla presidenza del comitato nazionale dice: «Tra i suoi pregi c’è quello di non essere iscritto al Pd». D’altra parte, proprio per alimentare la campagna del No con quella «connessione sentimentale» con il «popolo del centrosinistra» che Renzi ha «spezzato», D’Alema deve offrire una prospettiva. E lo fa: «La vittoria del No segnerebbe la fine del partito della Nazione» e «riaprirebbe il confronto in un campo democratico e progressista». Dunque «non perdiamoci di vista anche dopo il referendum».
Il messaggio è chiaro e conquista la platea, numerosa anche grazie al vecchio trucco della sala troppo piccola. Eppure: «Ne abbiamo cambiate tre, c’è stato un crescendo di adesioni che abbiamo sottovalutato». D’Alema presenta l’iniziativa come necessaria per venire incontro «alle tantissime richieste di dare forma organizzata alle ragioni del No nel centrosinistra». E «noi» (lui) «non potevamo restare insensibili a questo grido di dolore»: non è understatement, è la citazione di un re che annuncia la guerra. E infatti: «Io non ho promosso nessun duello, il duello lo ha promosso Renzi, io neanche lo conoscevo». Oppure: «In fondo sono un suo ammiratore, è capace di dire qualsiasi cosa». Ad esempio sull’Italicum, che D’Alema avversa quanto la riforma costituzionale. «Con questa legge elettorale ci siamo mangiati in quattro e quattro otto un secolo e mezzo di cultura democratica, affidando a un algoritmo la trasformazione dei pochi in molti», spiega. Promette che aspetterà la Consulta: «Io credo che non se la berrà e boccerà la legge», prevede. Sa bene che la battaglia ancora prima che sul Sì e sul No si è spostata lì, davanti ai giudici, e il primo rischio da evitare è che prevalga la tentazione al rinvio.
Presenti come osservatori interessati i deputati di Sinistra italiana (D’Attorre porta un saluto partecipe), alcuni dei parlamentari Pd che hanno annunciato di votare No al referendum (in qualche caso dopo aver votato sì alla riforma in parlamento), una delegazione minima di bersaniani. D’Alema dice di non essere sorpreso dell’assenza di Bersani e Cuperlo – «ci parliamo». E Cuperlo in una nota, senza mai nominare D’Alema, si rivolge a Renzi per dire che «c’è una parte della sinistra che al referendum vuole votare No e anche l’incontro di Roma ne ha offerto un’immagine chiara. Mai come ora serve ascolto e rispetto». L’avvocato Calvi – «che rappresenta la sinistra da Valpreda in poi», lo presenta D’Alema – spiega di aver saputo della nomina appena 24 ore prima. Dovrà organizzare i comitati locali «con l’aiuto di altre personalità» che saranno comunicate poi. Dei tanti amministratori locali Pd annunciati, ieri è intervenuto solo Gabriele Abaterusso, sindaco di Patù (Lecce). «Noi abbiamo già 500 comitati sul territorio», ricorda Vincenzo Vita in un breve saluto dal palco: sono quelli del comitato del No di Zagrebelsky e Pace attivo dal mese di febbraio. D’Alema nelle conclusioni se ne ricorda: «Collaboreremo». Ma già si prepara a lanciare la sua proposta di riforma «breve e puntuale», «tre articoli», preparata dal costituzionalista Enzo Cheli. Se ne conosce il contenuto: riduzione dei parlamentari, commissione di conciliazione per ridurre la navette tra camera e senato, fiducia solo alla camera. D’Alema ci tiene a mostrarsi propositivo e sa che bisogna anche parlare ai deputati e senatori: «La vittoria del No è la migliore garanzia che la legislatura continuerà, bisognerà cambiare la legge elettorale e in diciotto mesi sarà anche possibile approvare una riforma costituzionale mirata». La proposta Cheli – «la renderemo pubblica tra dieci giorni» – sarà la base per un convegno che abbozzerà le prime intese post referendarie. D’Alema le vuole larghe, com’è giusto che sia per la riforma costituzionale. Tra i primi ad aderire potrebbero esserci la fondazione dell’ex ministro Quagliariello Magna Carta e Possibile, il partito di Pippo Civati che ha lanciato una proposta di revisione costituzionale (firmata Pasquino, Pertici, Viroli e Zaccaria) assai simile a quella dalemiana, ma con qualche idea in più. Ripartendo dal fronte del No, D’Alema ritrova così un bel po’ di vecchi avversari. Sullo sfondo di questo primo incontro – la sala è quella di un cinema d’essai – c’è la locandina di un film colombiano: El abrazo dela serpiente.
Fonte: Il manifesto
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