La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 6 settembre 2016

La rincorsa della destra

di Marco Bascetta 
Povero, spopolato, marginale. Questo è il Land del Meclemburgo-Pomerania dove i nazionalisti di Alternative fuer Deutschland celebrano lo «storico sorpasso» sulla Cdu di Angela Merkel. Nel suo stesso collegio elettorale. Effetti pratici: nessuno. Effetti simbolici: imponenti. Come già in altre regioni che hanno vissuto l’impetuosa avanzata di Afd non si aprono per quest’ultima prospettive di governo. E ancor meno se ne apriranno a livello nazionale. L’impopolarità dei grandi partiti cresce a ogni tornata elettorale.
Ma non fino al punto da convincere la maggioranza dei tedeschi ad abbandonare il prudente conservatorismo che dalla fine della guerra li raduna sotto le bandiere socialdemocratiche e democristiane. Il partito di Frauke Petry, che va radicalizzandosi e inglobando settori sempre più ampi dell’estrema destra, a dispetto del suo nome, resta un partito di protesta e non di alternativa.
Non è, tuttavia, questa, una ragione per non doverlo temere o per sminuirne la minaccia. I successi di Afd sono infatti un formidabile argomento nelle mani di chi, anche all’interno dei partiti storici, si propone di spostare a destra l’asse della politica tedesca. Dietro alla questione dei rifugiati, la più immediatamente mobilitante e macroscopica, si celano, infatti, altri decisivi obiettivi politici: il prevalere dell’orizzonte nazionale su quello europeo, la difesa della competitività germanica sacrificando qualunque idea di equilibrio continentale, ma anche le rivendicazioni dei lavoratori tedeschi, nonché le prestazioni dello stato sociale in Germania.
È di questi giorni un indecente giro di vite nei confronti dei percettori di sussidi, minacciati di doverli restituire a rate se scoperti colpevoli di non meglio specificati «comportamenti antisociali». La «competizione» con gli immigrati si alimenta facilmente peggiorando le condizioni di vita di precari e disoccupati. C’è da scommettere che alla limitazione dei rifugiati ammessi nel Paese si cercherà di far seguire discriminazioni nei confronti degli stranieri comunitari, sul modello di quanto aveva preteso Londra prima del Brexit.
Gli strati più deboli della popolazione tedesca, soprattutto nell’est, se la passano piuttosto male. E, per quanto possa sembrare impossibile nel mondo contemporaneo, c’è chi ancora riesce ad addossarne la colpa a rifugiati e stranieri. È in queste aree che la guerra tra poveri trova il terreno più fertile. Merkel è accusata dai suoi avversari interni, e soprattutto dai bavaresi della Csu, di «non ascoltare il popolo», lasciando così campo libero ai seguaci della signora Petry. Accogliendo invece, almeno in parte, quanto i nazionalisti rivendicano, cavalcando le paure che essi diffondono, la Cdu-Csu potrebbe riconquistare facilmente il suo primato.
È esattamente questo ragionamento quello che sta legittimando e rafforzando le destre xenofobe in tutta Europa. A queste ultime, sdoganandone o addirittura assumendone argomentazioni e pulsioni, è stato conferito un enorme potere di condizionamento, quando non sono state direttamente incluse nelle coalizioni di governo. In questo senso, la vittoria di Afd in un Land che rappresenta appena il 2% della popolazione tedesca non ha un significato esclusivamente simbolico.
La Cancelliera, nonostante qualche prudente, preoccupata rassicurazione dai toni vagamente autocritici, sembra intenzionata a tenere il punto sulla sua politica di accoglienza, almeno a livello di principio.
Ma, fino a quando quest’ultima non sarà affiancata da visibili benefici per i cittadini tedeschi più svantaggiati, la protesta nazionalista continuerà ad ingrossare le sue file, a spese non solo delle destre moderate, ma anche della sempre più spettrale socialdemocrazia. È questa la condizione, e non solo per quanto riguarda la Repubblica federale, per poter risolutamente mettere al bando il discorso xenofobo e autoritario che sta avvelenando il vecchio continente. Conciliare le regole dell’austerità con la cultura politica europea diventa impresa sempre più ardua. Anche nel più affluente dei paesi europei.

Fonte: il manifesto 

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