di Francesco Pongiluppi
Ricorre in questi giorni il 61° anniversario di uno degli eventi più tragici della storia della Repubblica di Turchia. Con il termine Septemvriana – gli “eventi di settembre” – i greci ricordano i pogrom di Istanbul del 6-7 settembre del 1955, giornate di inaudita violenza durante le quali i più colpiti furono i romei, la comunità grecofona e ortodossa del paese. Questa, già pesantemente sotto attacco dalla politica xenofoba e nazionalista di Ankara intrapresa sin dalla fondazione della repubblica, si ritrovò negli anni ’50 intrappolata nella crisi greco-turca sul futuro di Cipro.
Fu una campagna mediatica nazionale a scatenare il 6 settembre 1955 l’odio razziale contro la minoranza romea nelle principali città turche. Alle ore 13 la radio statale trasmise la mendace notizia di un attentato dinamitardo di matrice nazionalista greca contro la casa natale di Atatürk e sede del consolato di Ankara a Salonicco.
Un’edizione pomeridiana del quotidiano locale Istanbul Express, stampato per l’occasione in più di 200mila copie, amplificò la menzogna e diede il via alla violenza che a partire dalle 17 iniziò ad invadere Istanbul.
Decine di camion e autobus raggiunsero il centro città, allora abitato prevalentemente dalle comunità cristiane, per riversare nelle sue vie migliaia di uomini armati di bastoni e di rabbia. Fino alla mezzanotte, senza che la polizia intervenisse, una folla inferocita attaccò indisturbata negozi, chiese, immobili di cristiani, ebrei e tutti quei turchi invisi al governo. Uomini e donne furono violentati e subirono torture. Decine persero la vita. Solo la proclamazione dello stato d’emergenza e l’intervento nella notte dell’esercito pose fine alle violenze.
Allora, il governo del Paese era affidato al Demokrat Parti dello smirniota Adnan Menderes. Un’amministrazione di destra segnata dal liberismo economico, l’anticomunismo e il conservatorismo religioso. Un’esperienza politica che si concluse con il primo colpo di Stato della storia turca nel 1960 e la successiva condanna a morte del suo leader.
Fu proprio il processo contro i vertici del governo Menderes nel 1961 a rivelare le responsabilità sui pogrom d’Istanbul. Lo storico turco Dilek Guven ha rivelato nei suoi studi il ruolo attivo dell’Organizzazione Turca d’Intelligence nella regia delle violenze del 1955.
Fu fin troppo semplice far riversare la disperazione economica di migliaia di turchi, traditi dalle politiche liberiste del governo Menderes, contro i benestanti romei, rei di appartenere a una cultura ostile al progetto di “turchizzazione” del paese.
Le tristi immagini della devastazione di quelle giornate furono immortalate da un giovane Ara Guler, il celebre fotografo turco-armeno, considerato uno dei padri della fotografia del Novecento. Il regista greco Tassos Boulmetis nella pellicola “Un tocco di zenzero” del 2003, attraverso le spezie ed i sapori levantini, racconta il triste declino dei romei, culminato in quel 1955 e proseguito nei decenni a seguire fino a una difficile sopravvivenza nei giorni nostri.
L’insicurezza e la paura generate dalla Septemvriana spinsero migliaia di individui appartenenti alle minoranze dalla Turchia – tra cui tanti italo-levantini – ad abbandonare per sempre il Paese. Solo negli ultimi anni è iniziata una ricostruzione storica attraverso la memoria di chi allora era poco più di un bambino.
Ignorata in Italia, osteggiata in Turchia e celata in Grecia per motivi d’orgoglio nazionale, questa tragedia fu la raffigurazione di una cultura politica violenta e illiberale rappresentata dal governo di destra di quegli anni.
Menderes e il partito da lui fondato inaugurarono la stagione democratica in Turchia attraverso un percorso politico che portò il paese alle prime elezioni libere ma contribuirono enormemente alla polarizzazione della società fino macchiarsi di gravissimi episodi come quello consumato in quel settembre 1955.
Oggi, nella Turchia di Erdogan, dove l’abusata parola democrazia assume una connotazione del tutto originale, quello stesso Menderes è celebrato come un martire della libertà e padre ideologico dell’establishment al potere.
Fonte: Il manifesto
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