di Vittorio Lovera
«Perché in fondo si tratta, semplicemente, di riprenderci ciò che ci appartiene». Era questa la chiusura dell'introduzione al libro “Come si esce dalla Crisi” pubblicato dalle Edizioni Alegre nell'autunno del 2013. “L' Alternativa all'Europa del Debito” è una prima parziale attualizzazione di quei contributi, alla luce degli accadimenti politici, economici e finanziari succedutisi in un lasso temporale di soli tre anni ma tre anni così rilevanti da segnare una sorta di svolta copernicana. “Come si esce dalla Crisi. Per una Nuova Finanza Pubblica e Sociale” fu un testo politicamente rilevante, consultato anche – quale contributo dei movimenti italiani – per la stesura dei programmi economici di Syriza in Grecia e di Podemos in Spagna.
Un segnale di grande attenzione dei movimenti europei per quel percorso che portò in Italia nel giugno del 2011 all'importante vittoria referendaria del Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua Pubblica, in cui 27 milioni di cittadini espressero con assoluta chiarezza la volontà di sottrarre i servizi pubblici alla privatizzazione globalizzata e garantire tutela certa ai beni comuni rispetto alle logiche mercatiste che li vorrebbero trasformare in beni remunerativi.
Quella grande vittoria, la prima in Europa dei movimenti altermondialisti, risultò essere un importante sprone per i movimenti europei che seppero cogliere – molto più che in Italia – la rilevanza e gli insegnamenti di quel risultato politico: mettere al centro del proprio agire la questione della democrazia, della democrazia diretta; saper unificare le vertenzialità territoriali in istanza unitaria; imparare ad aggregare trasversalmente le competenze e lo studio, su rivendicazioni chiare e radicali, dal basso, per creare diffusa egemonia culturale; saper modificare la dicotomia sinistra/destra anche con le pratiche basso/alto; introdurre nella consapevolezza popolare e nell'agenda politica la questione dei beni comuni.
In campo avverso, negli ultimi anni la politica europea si è distinta per la tenacia con cui ha perseguito politiche d’austerità finalizzate al contenimento della spesa sociale e all’introduzione di processi di privatizzazione e precarizzazione.
E se il consenso popolare a queste politiche di austerity era in vertiginosa caduta libera, ecco riemergere dal cilindro una teorizzazione, datata 1962, del teorico del turbo-liberismo Milton Friedman, “il debito rappresenta lo shock necessario a far diventare politicamente inevitabile tutto ciò che è socialmente inaccettabile”.
Per capirci, una teorizzazione che è stata sperimentata negli anni 70 nel Cile del dittatore Pinochet e poi applicata costantemente dal Fondo Monetario Internazionale sia nel continente africano che in Sud America, fino all'ultimo eclatante esempio della grande crisi Argentina, iniziata all' inizio degli anni '90, con picco tra il 2001 e il 2004, per poi vivere pure la crisi mondiali scoppiata nel 2007 con i mutui subprime. Bene, ora questa teorizzazione – già dimostratasi totalmente fallace e ripudiata anche da una parte dello stesso FMI – è approdata in Europa. Le ripercussioni della teoria dello “shock del debito”, oltre che sul versante economico-sociale, hanno conseguenze rilevantissime in tema di democrazia, traslando l'asse delle decisioni dagli organi democraticamente eletti a staff di tecnici, in Europa incarnati dalla cosiddetta Troika.
Oggi, come reso visibile prima dal caso greco e poi dal Brexit inglese, il processo europeo è in stato di irreversibile crisi non solo come modello economico ma anche per quanto riguarda consenso e legittimazione.
La tesi degli autori di questo libro è che sia urgente un Piano B e che debba partire dalla radicale messa in discussione della pervasività che il debito pubblico e privato ha raggiunto nell’economia contemporanea.
Il principale strumento proposto è quello dell’audit sui debiti pubblici, nella convinzione che non possa esserci democrazia senza trasparenza nella finanza pubblica, e che sia immorale chiedere ai cittadini di pagare un debito senza sapere come e perché sia stato contratto.
La traduzione italiana del rapporto della Commissione per la verità sul debito greco – che il Governo Tsipras avrebbe potuto utilizzare con forza di fronte alla Troika – evidenzia l’insieme dei problemi giuridici, sociali ed economici legati al debito, svelandone la natura in gran parte illegale per lo stesso diritto internazionale.
Più che consentire alla popolazione “di vivere al di sopra delle proprie possibilità” il sistema del debito ha permesso alle banche di fornire agli Stati periferici ingenti prestiti con tassi d’interesse strabilianti. Meccanismi simili sono svelati anche da audit locali nati in assemblee popolari in diverse città italiane, tra cui nel testo sono riportate Roma e Parma.
Ma l’audit sul debito è qui proposto non solo come strumento di analisi ma anche come leva per costruire possibili politiche alternative con al centro la sostenibilità ambientale e sociale, alternative di cui il libro mostra alcuni esempi, come il quantitative easing for the people e la costruzione di reti di autoproduzione “fuori mercato”.
Un Piano B dunque per uscire dall’impasse che sembra guidare l’Europa verso la disintegrazione sociale.
Ben più che derivante dalla spesa pubblica la crisi europea del debito sovrano è un epifenomeno della crisi dei mutui subprime del 2007, un effetto della finanza creativa dei principali istituti bancari europei, nonché un riflesso degli squilibri interni alla zona euro. Squilibri che impongono al debito delle periferie di continuare a crescere parallelamente al surplus tedesco. Mettere in discussione il debito è, oggi, un obiettivo strategico ineludibile. Non sono credibili politiche di discontinuità che non pongano quali pre-condizioni l'auditoria del debito e l'annullamento del debito illegittimo.
Denudare la geografia del potere che si nasconde dietro alla composizione del debito significa trasformare la visibilità della rete di interessi privati che sfruttano il debito ai propri fini, in una leva per rovesciare il rapporto di forza esistente. Ovunque l'audit sia stato portato avanti dal basso ha aperto a processi di mobilitazione sociale volti in primo luogo a rivelare e a scardinare gli interessi particolari che usano il debito per estrarre rendita dalla società.
Disvelare la geografia del potere che si nasconde dietro al debito e riprenderci ciò che è nostro, è questa la visione che ci guida. È solo con la rottura della gabbia del debito che possiamo dare scacco matto alle politiche liberiste, ed è ciò che intendiamo fare nei mesi a venire con tutti e tutte coloro che condividono questi obiettivi: dare seguito al radicale e diffuso bisogno di riappropriazione collettiva, perché in fondo si tratta, semplicemente,di riprenderci ciò che ci appartiene.
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 25 di Luglio-Settembre 2016 "Chi è in debito con chi?"
Fonte: Attac
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