di Javier Tolcachier
Nell’argentina di macri - proprio così, tutto in minuscolo - la povertà aumenta perché i salari diminuiscono. L’indigenza sale alle stelle, come il prezzo del gas, della frutta, del latte. Il tutto, sotto una luce di media intensità, affinché il kilowatt non rechi dolore, così come reca dolore la chiusura degli esercizi commerciali. Affitto alle stelle contro consumi dimezzati. Nell’argentina- rimpicciolita- di macri, si aprono le porte alle importazioni mentre le fabbriche chiudono. Si aprono i bauli dei guadagni in moneta del latifondo, mentre i poveri chiudono portiere di auto per due spiccioli che non dureranno. O le lavano, per dieci, venti o cinquanta, mentre colui che ha il predominio e i suoi gregari fanno affari sporchi sulle loro spalle dieci, venti o cento volte tanto.
Nulla deve impedire gli affari, meno che mai la coscienza. E così, più che con, restiamo senza scienza, perché indagare costa e fa male, soprattutto al nord, che ha brevettato tutto fino a spaventare.
Nulla deve impedire gli affari, meno che mai la coscienza. E così, più che con, restiamo senza scienza, perché indagare costa e fa male, soprattutto al nord, che ha brevettato tutto fino a spaventare.
Nell’argentina senza oro, puro e semplice contenitore vuoto, la tv mente giorno e notte, schermo che non mostra ciò che accade a tutti. Libertà di espressione che espelle giornalisti, affoga la critica e stermina la democrazia, una bomba ogni volta sempre più strana. Questo schermo che nasconde, che fa sembrare nero ciò che è bianco, lasciando soprattutto un colore giallognolo. Magari cambiassimo- così, con la m minuscolissima- persino la bandiera, mettendo un dollaro al posto del sole, tra due strisce di mercato celestiale.
Nell’argentina di ieri- che cronologicamente è quella di oggi- al ribelle senza ragione se ne attribuisce una. Chi contraddice – cioè va contro-, subirà un processo e sarà tradotto in carcere, come comanda la giustizia degli occhi bendati e delle tasche aperte. E per chi non capisse, ci penserà il bastone, perché qui gli sperperi sono finiti.
Perché spreco vuol dire spendere affinché i bambini imparino ciò che c’è da imparare, la sanità sia per tutti e tutte, non un affare per pochi, che rubano ma vanno in moto. Spreco sono i rimedi per i vecchi che tanto prima o poi moriranno. Ora – per il fastidio delle casse degli oligarchi – più tardi possibile, ammesso che, nonostante gli auspici statistici, l’angoscia di vedere i propri figli morire di fame non li uccida prima.
Come dicono i numeri, in effetti la fame in argentina c’è; terra di risorse agricole, campagna infinita che non dà cibo agli stomaci che vagano per le città in cerca di pane per saziare la rabbia che si portano dentro. Debito sociale con chi non sa come onorarlo e debito infernale, di nuovo, mortale, con coloro che invece sanno come farlo.
Perché la sua missione è la sottomissione. Sottomettersi e inginocchiarsi, in quanto essere sovrano e libero significa andare incontro a problemi. Avere per amici i fratelli del sud vuol dire unire ciò che secondo il nord dev’essere diviso. Nord che ha nelle proprie viscere abbastanza elementi del sud e ora vuole esorcizzarli. Discriminazioni che imitano i codardi di qui, per somigliare ai codardi di là.
Lo potrei raccontare in cifre, come si raccontano di solito queste cose, ma oggi preferisco dirlo per esteso, sperando che lo si capisca meglio.
Così è l’argentina, posto minore, che sembra essere di macri, comandante tra i comandanti. E così è anche il brasile di temer, in cui la speranza è stata congelata per vent’anni. Il colorato paraguay, terra dal colore rossastro, mix di argilla e violenza, l’amato cile che, nonostante la situazione sia stata edulcorata, non può eliminare l’amaro gusto di pinochet e friedman, la colombia, in cui la pace è una smorfia quotidianamente assassinata da un sicario al soldo dei luogotenenti. E così è anche il messico degli indios e dei meticci, traditi da un malinche dal viso pallido e ingannati una volta di più, in questo caso da uno scortese yankee. E ora minacciano di stringere il laccio sul ribelle Ecuador, per trasformarlo in un simpatico cagnetto, come già col perù di kuczinski.
Il fatto è che sono tutti uguali e cercano le stesse cose. Non è casuale, è uguale; non è finzione, sebbene a volte lo sembri. Non è un errore o un’improvvisazione, ma un piano. E’ premeditazione e tradimento. A questo sono giunti. Sono la banca. E solo la banca.
Traduzione dallo spagnolo di Cristina Quattrone
Fonte: pressenza.com
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