La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 27 settembre 2015

Storia di Pietro. La democrazia di base tra masse e potere

di Guido Liguori
Negli anni in cui Pie­tro Ingrao pub­blica Masse e potere prima, nel 1977, e poi, l’anno seguente, il libro-intervista Crisi e terza via, con la intel­li­gente inter­lo­cu­zione di Romano Ledda e con la ami­che­vole col­la­bo­ra­zione di Pie­tro Bar­cel­lona, egli occupa un ruolo di grande pre­sti­gio e impor­tanza: è pre­si­dente della Camera, la terza carica isti­tu­zio­nale dello Stato italiano.
Ma il ruolo – pur così rile­vante, e rico­perto con grande cor­ret­tezza e rico­no­sciuta sen­si­bi­lità per tutte le com­po­nenti del Par­la­mento – non limita la ten­sione poli­tica di Ingrao. Egli non si fa «rin­chiu­dere» entro i con­fini del suo ruolo ma seguita, da pre­si­dente della Camera, a incon­trare ope­rai, stu­denti, asso­cia­zioni demo­cra­ti­che: masse orga­niz­zate di donne e uomini che cer­cano di agire per tra­sfor­mare il mondo. E con­ti­nua a riflet­tere sullo Stato, le isti­tu­zioni e la società, sul rap­porto tra il potere e le classi e i movi­menti, ani­mato dalla stessa domanda di sem­pre: quale rap­porto isti­tuire tra il potere e le masse, per ampliare la par­te­ci­pa­zione e per creare le con­di­zioni di una effet­tiva demo­cra­tiz­za­zione della poli­tica e, dun­que, dell’economia e della società? (…)
Balza subito agli occhi, leg­gendo i testi, come nella sua ana­lisi Ingrao non accetti la dico­to­mia Stato-società civile, che strut­tura tanta parte del dibat­tito anche di que­sti ultimi anni e che ha una forte impronta libe­rale. Anche un intel­let­tuale di grande sta­tura e aperto al dia­logo come Nor­berto Bob­bio, col quale Ingrao a lungo incro­cia la lama della disputa teo­rica, cul­tu­rale e poli­tica, resta interno a que­sto limite.
Ingrao invece – pur tanto attento a ciò che nella società si muove – parte da Gram­sci e dal con­cetto di «Stato allar­gato», o «inte­grale»: una visione dia­let­tica del nesso Stato-società, sfere della realtà pro­fon­da­mente con­nesse e in cui agi­scono gli stessi sog­getti col­let­tivi: le classi, i gruppi sociali, i movi­menti, i par­titi, gli aggre­gati di inte­ressi e di idee.
La cen­tra­lità del ruolo dello Stato – tanto forte nel Nove­cento – è esplo­rata con forte senso cri­tico: lo Stato dà luogo a una azione eco­no­mica estesa ma anche subal­terna e fun­zio­nale alla classe domi­nante. Non solo: esso – scrive Ingrao – tende a inglo­bare par­titi e sin­da­cati, cer­cando di neu­tra­liz­zare così l’azione inno­va­trice delle masse, che chie­dono di cam­biare a van­tag­gio dei molti gli equi­li­bri eco­no­mici e poli­tici del Paese. Per evi­tare que­sta azione di resi­stenza con­ser­va­trice delle isti­tu­zioni sta­tuali occorre che il par­tito delle classi subal­terne, il par­tito comu­ni­sta, non si con­fonda in toto con lo Stato, non perda il suo impeto tra­sfor­ma­tore e il suo carat­tere di anti­ci­pa­zione e di pro­getto, il suo «spi­rito di scis­sione», per usare le parole di Gram­sci. L’orizzonte, la meta cui ten­dere, è per Ingrao la socia­liz­za­zione della poli­tica, per dare con­cre­tezza alla democrazia. (…)
Ingrao vede in que­sto pro­cesso di dif­fu­sione e socia­liz­za­zione della poli­tica una grande occa­sione per sostan­ziare la stessa demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva. Non si tratta – nella sua visione – di ripro­porre una ormai anti­sto­rica con­trap­po­si­zione tra demo­cra­zia dele­gata e demo­cra­zia soviet­ti­sta, ma di ricer­care i sog­getti e le forme tra­mite cui allar­gare i con­fini della demo­cra­zia par­la­men­tare esi­stente, intrec­ciando isti­tu­zioni più tra­di­zio­nali e nuovi orga­ni­smi, voto e par­te­ci­pa­zione diretta, par­titi e movi­menti, allo scopo di orga­niz­zare la mobi­li­ta­zione poli­tica che viene dal basso e di rias­sor­bire gra­dual­mente il prin­ci­pio della delega a un ristretto corpo di poli­tici di pro­fes­sione o comun­que pro­fes­sio­na­liz­zati dalla con­sue­tu­dine, in una par­te­ci­pa­zione poli­tica di massa e permanente.
«Demo­cra­zia di massa», la chiama Ingrao, o «demo­cra­zia di base», spe­ci­fi­cando sia le dif­fe­renze con la «demo­cra­zia diretta», sia il fatto che gli orga­ni­smi di que­sta demo­cra­zia di base dovreb­bero essere intesi come «veri e pro­pri momenti isti­tu­zio­na­liz­zati di inter­vento e di deci­sione, che si col­le­gano e si intrec­ciano alla vita delle grandi assem­blee elet­tive, in modo da assi­cu­rare una pre­senza dif­fusa e orga­niz­zata delle masse, dando un colpo alla sepa­ra­tezza e al ver­ti­ci­smo delle assem­blee e degli stessi par­titi poli­tici. Dun­que: un intrec­cio orga­niz­zato tra demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva e demo­cra­zia di base, che favo­ri­sca la pro­ie­zione per­ma­nente del movi­mento popo­lare nello Stato, tra­sfor­man­dolo». Demo­cra­zia di base e demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva sono com­ple­men­tari, Ingrao lo riba­di­sce in pole­mica con Bob­bio e richia­mando tutti i limiti della demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva, se essa resta solo imper­niata sul «cit­ta­dino astratto».
Una visione uto­pica, sem­bre­rebbe oggi. Ma, allora, una aspi­ra­zione e una ricerca di massa, quella della par­te­ci­pa­zione poli­tica e della demo­cra­zia di base – una espe­rienza che certo venne poi scon­fitta, ma che riguardò per un decen­nio e più milioni di per­sone alla ricerca di una demo­cra­zia non solo for­male o addi­rit­tura fit­ti­zia, e comun­que non limi­tata al giorno delle ele­zioni. In que­sta ricerca di una demo­cra­zia diversa, più par­te­ci­pata e dif­fusa, che nella sto­ria del Pci del primo e anche del secondo dopo­guerra aveva impor­tanti pre­ce­denti, che non a caso Ingrao richiama e valo­rizza, egli fu cer­ta­mente uno dei poli­tici, dei diri­genti e dei teo­rici più impe­gnati e convinti.
Negli scritti di Masse e potere costanti sono la affer­ma­zione della neces­sità di una «socia­liz­za­zione della poli­tica», per dare «con­cre­tezza alla demo­cra­zia» e pro­ce­dere verso un «ordine nuovo»; la con­sa­pe­vo­lezza che la esal­ta­zione della «spon­ta­neità» (tanto dif­fusa in que­gli anni) è una illu­sione per­dente e che la carica inno­va­tiva deve attra­ver­sare le isti­tu­zioni non meno che la società; il rife­ri­mento a una neces­sa­ria riforma dello Stato, vista anche come «la prin­ci­pale riforma eco­no­mica da rea­liz­zare». Lo Stato, per le forze che si bat­tono per una sua pro­fonda tra­sfor­ma­zione, è luogo della lotta e insieme posta di que­sta lotta.
Ingrao riporta sem­pre i pro­blemi poli­tici alle loro radici sociali, e con­tem­po­ra­nea­mente illu­mina il ruolo dello Stato moderno nel deter­mi­nare la stessa com­po­si­zione di classe, ed egli lo fa senza mai cedere né alla ten­ta­zione della «auto­no­mia del poli­tico», né a quella, spe­cu­lare, della «auto­no­mia del sociale». (…)
Masse e potere e Crisi e terza via appar­ten­gono a un tempo che per molti aspetti oggi appare lon­tano. Eppure que­sti libri sono ancora ric­chi di inse­gna­menti, per­ché in primo luogo foto­gra­fano, sia pure in una tem­pe­rie sto­rica tanto diversa, la crisi della demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva, che oggi si è ulte­rior­mente accentuata.
Hanno pre­valso a par­tire dagli anni Ottanta, ma ancor più in Ita­lia negli anni della cosid­detta «seconda repub­blica», quelle posi­zioni politico-culturali che già prima (si pensi alle indi­ca­zioni della cele­bre «Tri­la­te­ral Com­mis­sion», fon­data nel 1973 da David Roc­ke­fel­ler, Henry Kis­sin­ger, Zbi­gniew Brze­zinsk e altri, o – se si pre­fe­ri­sce – ad alcuni punti del cele­bre “pro­gramma” della P2 di Licio Gelli) lamen­ta­vano un «eccesso di demo­cra­zia» – espres­sione che di per sé pre­sup­pone una valu­ta­zione nega­tiva della demo­cra­zia stessa – e la neces­sità di un mag­giore accen­tra­mento del potere poli­tico nell’esecutivo (risul­tato tena­ce­mente per­se­guito nel nostro paese e rea­liz­zato con il con­corso di tutti gli ultimi governi), a sca­pito del ruolo del Par­la­mento e ancor di più della reale par­te­ci­pa­zione alla vita poli­tica delle masse.
Ingrao crede nella cen­tra­lità del Par­la­mento, affian­cato dagli orga­ni­smi della demo­cra­zia di base, e invoca «più poli­tica», una poli­tica dif­fusa in tutto il corpo sociale. La sini­stra pren­derà invece una strada del tutto diversa, che avrà come tappe la fine del Pci e della idea stessa di un par­tito di massa, l’approdo al sistema elet­to­rale mag­gio­ri­ta­rio (quello dura­mente com­bat­tuto dai comu­ni­sti ai tempi della «legge truffa»), la per­so­na­liz­za­zione della poli­tica, l’accettazione del prin­ci­pio del raf­for­za­mento dell’esecutivo.
Erano dun­que quelle di Ingrao sem­plici «uto­pie», mere illu­sioni? Era un «volere la luna»? Una idea poli­tica – in que­sto caso l’idea di una demo­cra­zia par­te­ci­pata e dif­fusa, strada per avan­zare verso l’autogoverno poli­tico, eco­no­mico e sociale – viene spesso defi­nita in que­sto modo quando viene scon­fitta. E, senza dub­bio, nella con­giun­tura sto­rica degli anni Ottanta e Novanta ha vinto una diversa ege­mo­nia, un diverso «blocco sto­rico», fatto di inte­ressi e ideali oppo­sti rispetto a quelli per i quali ha lot­tato per tutta la vita Ingrao.
Non per que­sto le con­trad­di­zioni che egli indi­cava sem­brano supe­rate. «Non basta un libro a fare una rivo­lu­zione», afferma il nostro autore, ed è sicu­ra­mente vero. Serve che, sulla spinta di deter­mi­nate con­trad­di­zioni, masse di donne e uomini matu­rino con­vin­ci­menti col­let­tivi, si orga­niz­zino, cre­dano e lot­tino per cam­biare «lo stato di cose pre­senti», come scrive Marx. Non man­cano oggi i segnali che vanno in que­sta dire­zione, anche in Europa. Per chi vorrà con­tri­buire a tale ricerca e a tale lotta, le idee, i libri, l’esempio di Pie­tro Ingrao sono ancora estre­ma­mente preziosi.

Nota: quanto pub­bli­chiamo è un estratto dalla Intro­du­zione di Guido Liguori a P. Ingrao, «Masse e potere. Crisi e terza via» (Edi­tori Riu­niti, 2015, pp. 354, euro 23,50), un volume che rac­co­glie due dei più noti libri degli anni Set­tanta. Il volume, nei pros­simi mesi in libre­ria, è già repe­ri­bile presso il sito www​.edi​to​ri​riu​niti​.it.

Fonte: il manifesto 

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