La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 7 dicembre 2016

Il ceffone del popolo sovrano

di Massimo Villone
Quelli che la riforma è il meglio per il paese. Quelli che fa schifo ma bisogna votare Sì. Quelli delle «necessarie» riforme. Quelli che è tempo di cambiare. Quelli che aspettiamo la riforma da anni, e anzi la volevano già i costituenti. Quelli che è finalmente la volta buona. Quelli che non c’è alternativa. Quelli che il bicameralismo paritario è peggio della peste bubbonica. Quelli che una Camera nelle mani di un capo e un Senato di nominati doppiolavoristi ci rappresentano e rendono l’Italia un paese moderno ed efficiente. Quelli che basta un Sì. Quelli che il Sì ci regala una sanità uguale per tutti e strade più sicure. Quelli che il Sì mette il turbo al Pil e crea posti di lavoro.
Quelli che il No porta lacrime e sangue, ci indebolisce in Europa e nel mondo, affonda le banche, porta alle stelle lo spread, fa esplodere il debito pubblico e seppellisce i titoli di Stato. Quelli che in una democrazia decidente qualche bavaglio al dissenso ogni tanto ci vuole. Quelli che amano, riamati, i potenti dell’economia e della finanza. Quelli che una Costituzione si vende come una macchina usata. Quelli delle fritture di pesce.
Ci dispiace per loro. Ma li ringraziamo per aver dimostrato che il popolo sovrano è ancora capace di un grande ceffone collettivo, cui fa da contorno quello della Borsa che sale e dello spread che scende. Il voto del 4 dicembre è stato un lavacro di democrazia, e un ricollocarsi della sovranità là dove appartiene. Ci dice che nel tempo della crisi della politica e dei corpi intermedi il solo vero garante della Costituzione è il popolo, con buona pace dei costituzionalisti cui questo può suonare come un’eresia. Il ceto dei costituzionalisti non ha – come tale – fatto argine contro la riforma. Anzi.
Il voto di dicembre ci dimostra anche che istituzioni rappresentative e capaci di ascoltare sono le sole non consegnate a una fragile apparenza. Il punto più debole del disegno renziano è non aver capito che il paese stava andando da un’altra parte. Chi si è presentato come alfiere del futuro, dell’innovazione e del coraggio contro il passatismo e la paura, si scopre ora vincente solo nei segmenti più anziani e meno istruiti della popolazione. E vede il No prevalere massicciamente, con pochissime eccezioni, dappertutto.
Certo, sul risultato ha pesato il dato caratteriale di Renzi, la sua arroganza, e l’errore strategico di aver cercato il plebiscito su sé stesso. Ma troviamo anche un giudizio negativo sui contenuti della proposta renziana. Precisamente la consapevolezza che concentrare il potere nel governo e su chi comanda a Palazzo Chigi, normalizzando il dissenso nelle istituzioni e nel paese, sia un modello inidoneo ad assicurare stabilità e forza nei tempi difficili che viviamo, e ancor prima incompatibile con la lettera e lo spirito della Costituzione repubblicana. Che vuole istituzioni che seguono il paese, e non viceversa.
Un voto per la Costituzione e una diversa filosofia del governare, e non solo contro Renzi. L’elemento decisivo dell’alta affluenza ci mostra donne e uomini che vogliono esserci e contare sempre, e non nell’unico giorno in cui eleggono un esecutivo, per poi imbavagliarsi durante il mandato e fino al voto successivo per non disturbare il manovratore. Mai più Jobs Act, buona scuola, trivelle, acqua privata e simili. Per questo in tanti abbiamo votato No.
E per questo non è eludibile una nuova e diversa legge elettorale. L’Italicum presenta le stesse debolezze del Porcellum costituzionalmente illegittimo. Un cambio di guardia a Palazzo Chigi non lo renderebbe meno antidemocratico di quanto fosse fino a ieri. Personalmente ritengo che il modello tedesco sarebbe per il nostro paese il migliore compromesso. Ma serve in ogni caso una legge elettorale che apra l’istituzione parlamento alla più ampia e indistorta rappresentatività. I problemi politici si affrontano con la politica, e non con algoritmi e maggioranze taroccate.
Come nel 2006, l’assalto alla Costituzione è stato respinto. Ma non illudiamoci che sia finita, perché gli interessi in gioco sono potenti. Cogliamo l’occasione a sinistra per ricostruire, con coraggio e senza difese preconcette di piccoli recinti. Un punto focale per l’unità è che la Costituzione siamo noi, i nostri bisogni, i nostri diritti, è l’identità e la storia del paese. Per questo va difesa, sempre.

Fonte: Il manifesto 

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