di Daniela Preziosi
«Renzi faccia un passo indietro». A dirlo apertamente, per ora, sono solo quelli della minoranza bersaniana che, da sempre all’opposizione del segretario fino all’ultima battaglia referendaria per il No, non hanno bisogno di usare giri di parole per chiedergli di farsi da parte. Così ieri il senatore Miguel Gotor ha svolto un ragionamento esplicito: «Dobbiamo dare vita a un nuovo governo ispirandoci al comportamento adottato da David Cameron in occasione del referendum sulla Brexit: egli non ha sostenuto che il 48 per cento del Paese fosse con lui, ma si è dimesso da premier prendendo atto con serietà e realismo della sconfitta e ha consentito la nascita di un nuovo esecutivo guidato sempre da un esponente del suo stesso partito».
Più diplomatico, ma solo nella forma, Roberto Speranza ieri su La7: «Renzi ha detto che non è disponibile, credo alla sua parola. Renzi poteva non dimettersi, oggi che si è dimesso mi pare più complicato che possa far finta di nulla. Ma sarà lui a decidere».
Più diplomatico, ma solo nella forma, Roberto Speranza ieri su La7: «Renzi ha detto che non è disponibile, credo alla sua parola. Renzi poteva non dimettersi, oggi che si è dimesso mi pare più complicato che possa far finta di nulla. Ma sarà lui a decidere».
In queste parole c’è l’auspicio della minoranza: un governo affidato a una personalità del Pd,appoggiato dall’attuale maggioranza che al senato ha dimostrato di avere i voti fino all’ultima fiducia, e con Renzi ridotto (ma si fa per dire) all’unico ruolo di segretario, come da sempre proposto da Bersani e compagni.
Ma la proposta non rientra nelle due alternative che il segretario ha fatto nella direzione di mercoledì. La delegazione democratica che sabato pomeriggio salirà al Quirinale per le consultazioni ha il mandato di proporre, almeno a questo primo giro, o un governo «istituzionale sostenuto da tutti», o «elezioni subito». Due opzioni irrealizzabili: la prima perché notoriamente mai M5S la accetterebbero, la seconda perché la parola «subito» in questo caso non ha senso: dopo la sentenza della Corte sull’Italicum, in ogni caso il parlamento – a bicameralismo perfetto vigente – dovrà comunque rimettere mano alla legge elettorale per armonizzare i sistemi di camera e senato. E così quel «voto subito» di fatto significa almeno «voto in primavera», di qui la necessità di avere comunque un governo.
Fra l’altro il mandato è stato affidato ai quattro delegati (il vicesegretario Guerini, il presidente Orfini, i capigruppo Zanda e Rosato) senza nessuna obiezione da parte dei presenti, invitati a tacere. E senza un voto, cosa a cui Renzi è stato convinto dai ministri Franceschini e Orlando. Per non anticipare i tempi della discussione e della spaccatura. Renzi ha ancora la maggioranza della direzione, scelta dopo le primarie vinte da lui due anni fa esatti, ma alle camere il pallottoliere è ormai in movimento. A suo svantaggio.
Nei palazzi si moltiplicano i boatos su un «Renzi-bis», un’opzione che consentirebbe al premier di gestire la fase pre elettorale, facendone però il bersaglio di tutte le opposizioni per essersi rimangiato per l’ennesima volta la parola.
Per andare al voto subito invece ci sarebbe invece un modo, in linea teorica. Far passare rapidamente alla Camera il Consultellum che vige anche in Senato, votando l’abrogazione dell’Italicum anche prima dell’intervento della Consulta. Ieri lo ha ripetuto anche il franceschiniano Antonello Giacomelli: « C’è un problema di incertezza e incoerenza sulla legge elettorale tra Camera e Senato, come giustamente avverte il presidente Mattarella, e quindi bisogna intervenire provando a portare subito la riforma in parlamento, senza aspettare la Consulta. Ma l’obiettivo deve essere il voto prima possibile». Ma una dichiarazione non porta danno. Di fatto sarebbe un clamoroso cambio di verso per il Pd. Il proporzionale puro e costringerebbe i vincitori a un’alleanza fra grandi gruppi. E sarebbero comunque larghe intese visto che i 5 stelle non sono disponibili ad alleanze.
Ieri questa (finta) proposta ha cominciato a circolare nelle dichiarazioni di alcuni renziani osservanti. A incitare verso questa strada è anche il quotidiano il Foglio. Il Consultellum ha anche i suoi fan da sinistra, come Stefano Fassina, ormai convertito al proporzionale.
Ma per il Pd sarebbe una scelta in controtendenza totale con quanto detto e fatto fin qui. Peraltro l’operazione Pisapia, e cioè la proposta di Campo largo ispirata dallo stesso Renzi, rivela se ce ne fosse bisogno che il Consultellum non è quello su cui l’ex premier Renzi fa progetti. Non pensa al proporzionale, ha in mente una forma di coalizione: altrimenti avrebbe invitato l’ex sindaco di Milano a entrare nel Pd e non a mettere insieme uno scampolo di sinistra. Nel Pd l’opzione del «voto con il consultellum» è fumo negli occhi per tutti. Ma il segretario la agita per comunicare la sua nuova ma anche vecchia sfida: il fatto che lui «non ha paura di niente e di nessuno». È la «palude» che lo sta frenando.
Fonte: Il manifesto
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