di Roberto Ciccarelli
I mercati «si sono rivelati molto più resilienti del previsto» in occasione dei grandi appuntamenti politici del 2016: la Brexit, l’elezione di Trump e il «No» al referendum costituzionale voluto da Giorgio Napolitano, e perso da Matteo Renzi. Lo ha detto ieri il presidente della Bce Mario Draghi nella conferenza stampa al termine del Consiglio direttivo della Bce che ha confermato il «Quantitative Easing», il programma di acquisto di titoli pubblici e privati dell’Eurozona, fino alla fine del 2017. «Ci si aspettavamo ripercussioni importanti a livello globale e in tutti e tre gli eventi così non è stato», ha detto. Le borse confermano: ieri Milano ha chiuso a +1,6%.
Anche l’altro argomento dei sostenitori (non solo italiani) del «Sì» al referendum – la catastrofe bancaria – è stato liquidato da Draghi: «Penso che le vulnerabilità del sistema bancario e dell’Italia durino da molto tempo e che, quindi, debbano essere risolte. Sono fiducioso che il nuovo Governo saprà cosa deve fare e che questi problemi saranno risolti». Sulla possibilità che il prossimo governo ricorra a un prestito del meccanismo di stabilità europeo (Esm) Draghi ha detto di saperne «davvero poco», «dovreste chiedere al consiglio di sorveglianza della Bce, sulla base del principio della separazione dei compiti». Draghi ha citato l’articolo 3 del regolamento dell’Esm al quale si ricorre in «mancanza di soluzioni alternative» e nel caso in cui «non si riesca a colmare le necessità di capitale attraverso soluzioni private». Se non sarà percorribile la costosa soluzione ideata da Renzi e Padoan per salvare Mps, ci sarà lo scudo europeo a risolvere la situazione.
Una rassicurazione non molto rassicurante. Il prossimo governo potrà contare sul potere stabilizzante della Bce: quello che nel 2012 il presidente della Bce definì il «pilota automatico». E sarà commissariato. Draghi ha escluso «rischi per l’euro» derivanti dalla crisi in atto del sistema bancario italiano. E il commissario Ue all’Economia Pierre Moscovici ha confermato: «Non temiamo una crisi bancaria in Italia».
Il mercato, inteso come istituzione politica, il potere della Bce e l’alluvione monetaria che solleva gli stati membri Ue dal peso della spesa per gli interessi sul debito pubblico, il reticolo dei trattati sono il «potere che frena» l’instabilità politica prodotta dalla crisi. Come tutti i farmaci, anche il Qe produceretro-effetti pericolosi e indesiderati. Nel lungo periodo, infatti, è il veicolo di nuova instabilità finanziaria.
Senza contare i modesti risultati sull’inflazione, ben al di sotto del 2%: nell’Eurozona è allo 0,6%. Francoforte punta all’1,3% nel 2017, a 1,5% nel 2018 e a 1,7% nel 2019. Stime da confermare che tuttavia non risolvono i problemi strutturali. Il Qe è stato concepito per spingere i governi a fare le «riforme strutturali», evocate ieri con grande enfasi da Draghi. Si tratta, ad esempio, di provvedimenti come il Jobs Act che non producono effetti significativi su un mercato del lavoro ultra-precarizzato, sugli investimenti, sulla domanda.
Il farmaco politico di Draghi è anche velenoso: basta pensare all’uso scriteriato che Renzi ne ha fatto usando la flessibilità da 19 miliardi di euro in bonus, mance elettorali, provvedimenti anestetici come gli 80 euro. Nullo è stato l’effetto sui consumi e sui redditi, inesistente l’impatto su una ripresa che c’è, ma non si vede. La giornata di ieri era delicata per la Bce. Doveva comunicare una riduzione del programma di acquisto, ma anche escludere il «tapering». Rassicurare i mercati, ma anche dire che il Qe non è infinito. Così la Bce ha stabilito che fino a marzo acquisterà 80 miliardi di euro di titoli al mese. Fino a dicembre 2017 scenderà a 60. Poi si vedrà. È stato confermato il livello del principale tasso di rifinanziamento e mantenuto a -0,40% il tasso sui deposit. Il tasso sulle operazioni di rifinanziamento marginali è rimasto allo 0,25%.
Così il vero potere europeo si prepara al 2017, anno di instabilità massima con le elezioni in Francia, Germania e, forse, Italia. «I Paesi che hanno bisogno di riforme devono farle a prescindere dall’incertezza politica generale» ha detto Draghi. Questa è l’agenda. E non si cambia. I Renzi passano, i Draghi restano, mentre la crisi continua.
Fonte: Il manifesto
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