di Ottavio Olita
Per incapacità o, piuttosto, per protervia alcuni dirigenti dei partiti politici italiani si ostinano a rifiutare una riflessione corretta sull’esito del voto di domenica 4 dicembre. E questo atteggiamento rischia di riversarsi, come un clamoroso e letale autogol, su tutta la politica. Cominciamo da quel che ha dichiarato il riccioluto Luca Lotti, uomo di fiducia di Renzi. “I 13 milioni e mezzo di voti per il Sì sono una solidissima base da cui ripartire”. Una dichiarazione del genere sottintende innanzi tutto il fatto che la materia del Referendum – la riforma della Carta Costituzionale – a questo signore proprio non importava.
Evidentemente intendeva il voto solo ed esclusivamente come una prova di legittimazione per Renzi – arrivato a Palazzo Chigi senza alcun vaglio dell’elettorato, con una operazione da vecchia ‘camarilla di palazzo’ – e per il suo governo.
Evidentemente intendeva il voto solo ed esclusivamente come una prova di legittimazione per Renzi – arrivato a Palazzo Chigi senza alcun vaglio dell’elettorato, con una operazione da vecchia ‘camarilla di palazzo’ – e per il suo governo.
Non solo. Quell’appropriazione indebita di voti, che esclude i milioni di elettori che idealmente fanno riferimento al Pd e che hanno votato legittimamente No, conferma quel che si sospetta da tempo sulla mutazione genetica di un partito che tende a respingere la propria componente di sinistra per privilegiare un ‘centro’ che esiste solo nei calcoli degli attuali dirigenti di quel partito.
Infine la considerazione più preoccupante, che non riguarda solo il Pd, ma anche gli altri partiti politici, dai più piccoli ai più grandi, e la quasi totalità degli organi di informazione.
La materia referendaria, praticamente ignorata negli slogan e invece affrontata soltanto nelle centinaia di dibattiti organizzati un tutt’Italia dai Comitati per il No, non è esistita prima e ancor di più non esiste oggi.
I trentadue milioni di italiani che si sono recati ai seggi l’hanno fatto perché era in gioco la Costituzione e per come essa era stata trattata nei lunghi mesi di discussioni e conflitti che hanno preceduto il Referendum.
Ora tutto viene ridotto a schemi di appartenenza partitica. Possibile che non si voglia capire che in questo modo si vanifica la passione democratica dei cittadini? Oppure si vuole proprio questo? Allontanarli dalla partecipazione perché in questo modo le decisioni potranno continuare a prenderle in pochi ed esclusivi salotti o vertici.
E i media? Quasi tutti al seguito dei partiti politici. Completamente oscurate durante la campagna referendaria, le migliaia di persone che hanno scelto di informarsi seguendo le assemblee e gli incontri organizzati dai Comitati del No, sono state assolutamente ignorate anche dopo l’esito del voto.
Che io sappia, soltanto il TG1, il giorno 5 dicembre, ha dedicato un servizietto di poche decine di secondi alla riunione di valutazione tenuta dal presidente del Comitato Nazionale, Alessandro Pace con i suoi più diretti collaboratori. Ma senza alcuna dichiarazione. Così come sono stati ignorati Arci, Anpi, Cgil, Giustizia e Libertà e tante altre associazioni di base, entusiastiche protagoniste della lotta per fare affermare il No
Questo è rispetto della democrazia? Questo è il modo corretto di rappresentare la straordinaria vivacità che si è finalmente determinata nella palude politica italiana?
Infine la corsa alle elezioni politiche. Ma davvero i 19 milioni e mezzo di cittadini che con il loro No hanno sepolto il progetto di riforma Renzi-Boschi- Verdini hanno una voglia sfrenata di tornare al voto? Addirittura ricorrendo a quella vergogna giuridica che è l’Italicum? O piuttosto non vorrebbero che venissero finalmente affrontati i problemi veri dell’Italia: la disoccupazione, la povertà crescente, la nuova emigrazione, il montante distacco della condizione economica tra Nord e Sud del Paese? Che finalmente ci fosse un sussulto di responsabilità reale per affrontare tutti insieme le drammatiche emergenze?
La totale autoreferenzialità dei partiti si traduce in una miopia devastante che rischia di minare alle radici il rapporto tra i cittadini e le loro rappresentanze democratiche.
Fonte: Il manifesto sardo
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